Automazione, le previsioni per il 2026: si attende un ‘rimbalzo’ degli ordini, ma resta il rischio volatilità

Novembre 29, 2025 - 15:30
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Automazione, le previsioni per il 2026: si attende un ‘rimbalzo’ degli ordini, ma resta il rischio volatilità

SCENARI

Automazione, le previsioni per il 2026: si attende un ‘rimbalzo’ degli ordini, ma resta il rischio volatilità



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Il mercato dell’automazione industriale guarda al 2026 con cauto ottimismo, prevedendo un rimbalzo degli ordini precedentemente ritardati. Questa ripresa è minacciata dall’incertezza geopolitica tra USA e Cina e dal monopolio cinese sulle terre rare. La conseguenza principale è il rischio di un allungamento dei tempi di consegna a causa delle tensioni sulla supply chain. Lo studio di Interact Analysis

Pubblicato il 28 nov 2025



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Immagine creata dall'AI.

La volatilità macroeconomica e le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina stanno ridisegnando gli scenari a breve termine per il mercato dell’automazione industriale.

Le attuali politiche tariffarie e le contromisure sulle esportazioni di materie prime strategiche hanno innescato una fase di attesa, portando a uno slittamento degli investimenti in beni strumentali.

Secondo le rilevazioni di Interact Analysis, molti degli ordini originariamente previsti per l’anno in corso stanno subendo ritardi, con la prospettiva di concretizzarsi nel 2026.

Un potenziale rimbalzo della domanda che rischia tuttavia di scontrarsi con nuove criticità nella catena di approvvigionamento, in particolare per quanto riguarda la componentistica dipendente dalle terre rare, elemento centrale nella disputa geopolitica in atto.

Ne abbiamo parlato con Blake Griffin, Responsabile della ricerca presso il gruppo di analisi di mercato Interact Analysis.

Mercato dell’automazione, le attese per gli ordini nella prima parte del 2026

Sebbene nel 2025 gli OEM non abbiano registrato crolli drammatici degli ordinativi, la crescita è rimasta contenuta, con una parte significativa degli ordini messa in stand-by a causa dell’incertezza generale.

“Gli OEM hanno riferito di aver avuto ordini ritardati per tutto il 2025 e l’aspettativa è che questi si concretizzino nel 2026”, spiega Griffin.

La previsione è che tali commesse possano sbloccarsi e concretizzarsi nel corso del prossimo anno, generando un potenziale picco della domanda.

“Dai confronti con le imprese emerge un cauto ottimismo sui prossimi mesi. La volatilità dei mercati è tale che, tuttavia, resta comunque difficile fare previsioni di medio-lungo periodo”, aggiunge.

L’escalation geopolitica come fattore di instabilità

Tra i fattori che hanno contribuito all’attuale fase di incertezza, spicca per rilevanza l’inasprimento della politica commerciale statunitense, che ha innescato una significativa escalation geopolitica.

L’amministrazione Trump ha impresso una forte accelerazione sul fronte tariffario, in particolare con le misure annunciate lo scorso aprile – durante il cosiddetto “Liberation Day” – e con gli ulteriori dazi introdotti a ottobre.

“In risposta a questa pressione, Pechino ha sfruttato il proprio monopolio minerario come arma strategica nel tavolo delle trattative, trasformando le risorse critiche in una merce di scambio”, spiega Griffin.

La risposta cinese non si è limitata a un blocco tout court, ma ha introdotto un sofisticato sistema di licenze per l’export: un meccanismo burocratico che impone controlli aggiuntivi, permettendo al governo di decidere arbitrariamente a chi fornire materiali strategici.

Nello specifico, le restrizioni sono iniziate nel dicembre 2024 colpendo minerali per la produzione di chip (come il gallio), per poi espandersi ad aprile – in diretta risposta ai dazi americani – includendo terre rare e magneti permanenti e ampliarsi ulteriormente a ottobre.

“Sebbene i recenti negoziati abbiano portato a una sospensione annuale delle restrizioni di dicembre e ottobre, il blocco relativo ai magneti permanenti introdotto ad aprile rimane pienamente in vigore ed è l’area che impatta maggiormente i fornitori di automazione industriale”, precisa Griffin, sottolineando come proprio questo componente sia il più esposto al rischio di irreperibilità.

Le contromisure industriali e il ritorno della “Lead Time Economy”

Di fronte a questo scenario la filiera sta già tentando di correre ai ripari, sebbene con margini di manovra limitati.

Da un lato, i costruttori di macchine hanno ripreso ad accumulare scorte di magazzino, in particolare di motori e componenti che integrano terre rare, replicando in tono minore le dinamiche di accumulo viste nel recente passato.

Dall’altro, i fornitori di componentistica sono impegnati in una complessa ricerca di fornitori secondari per diversificare il rischio.

“Questa strategia si scontra con il monopolio di fatto detenuto da Pechino. Se si opera su larga scala, non ci sono molte opzioni reali: l’offerta è quasi interamente estratta e prodotta in Cina e ci vorrà tempo prima di avere una disponibilità significativa che non transiti da lì”, aggiunge Griffin.

La vera criticità emergerà nel 2026: se il previsto rimbalzo della domanda si concretizzerà, l‘impossibilità di scalare rapidamente un’offerta alternativa porterà a un inevitabile allungamento dei tempi di consegna.

Perché non sarà un blocco sistemico come nella crisi generata dalla pandemia

È fondamentale distinguere l’attuale scenario dalle turbolenze vissute nel biennio post-pandemico.

“Le condizioni macroeconomiche sono infatti profondamente diverse rispetto a quelle che portarono alla paralisi della supply chain dei semiconduttori“, spiega Griffin.

La crisi del 2021-2022 fu “una tempesta perfetta” scatenata dalla convergenza di due shock estremi: un lato dell’offerta quasi azzerato dai blocchi produttivi globali e, contemporaneamente, una domanda esplosiva alimentata da tassi di interesse prossimi allo zero.

Oggi l’equazione è mutata. Sebbene persistano rischi legati alla disponibilità fisica dei componenti a causa delle tensioni geopolitiche, la domanda non è minimamente così forte come nel 2021″, spiega.

Il tempo di consegna tornerà ad essere la discriminante tra gli OEM

Pur non prevedendo un blocco totale paragonabile alla crisi dei semiconduttori del 2021 – scatenata da una combinazione irripetibile di fermi produttivi globali e tassi di interesse a zero –, Griffin avverte che il tempo di consegna (lead time) tornerà ad essere il fattore determinante per l’acquisizione di quote di mercato.

Come accaduto durante l’ultima crisi della supply chain, le quote di mercato rischiano di spostarsi non tanto sulla base del prezzo o della fedeltà al marchio, quanto sulla pura capacità di garantire la disponibilità fisica del prodotto, premiando chi sarà riuscito a blindare le proprie forniture.

La “morsa” cinese sul mercato dell’automazione in Europa

Mentre gli Stati Uniti rappresentano l’epicentro dell’impatto diretto delle restrizioni all’export, l’Europa si trova a fronteggiare una dinamica collaterale ma altrettanto incisiva: l’ingresso aggressivo dei fornitori cinesi nel mercato locale.

“A fronte di una domanda interna in Cina che ristagna da circa un quadriennio, molti produttori di componentistica stanno cercando sbocchi esteri per sostenere la crescita, identificando nel mercato europeo il primo terreno di approdo”, spiega Griffin.

Non si tratta più solo di competizione sul prezzo: i vendor cinesi stanno aggredendo il mercato con prodotti tecnologicamente maturi e sempre più competitivi.

Un fenomeno che, sebbene distinto dalla “guerra dei dazi”, rischia di alterare gli equilibri competitivi nel Vecchio Continente proprio mentre le aziende locali navigano l’incertezza della supply chain.

Il vantaggio della specializzazione per il Made in Italy

In questo scacchiere complesso, i costruttori italiani sembrano godere di un vantaggio strutturale: l’iper-specializzazione. Sebbene i dazi colpiscano trasversalmente, l’impatto non è uniforme per tutte le tipologie di macchinari.

Secondo l’analisi di Griffin, chi produce tecnologie “general purpose”, come i pallettizzatori robotici standard, è più esposto al rischio di sostituzione da parte di soluzioni ingegnerizzate localmente negli USA.

Al contrario, i segmenti ad alto valore aggiunto tipici del Made in Italy, come il packaging o il food processing, appaiono più protetti.

“Alcuni macchinari costruiti in Europa, pur avendo un prezzo più alto a causa delle tariffe, continuano a essere acquistati semplicemente perché non c’è nessuno negli Stati Uniti che produca qualcosa di simile”, conclude.

Blake Griffin, responsabile della ricerca presso il gruppo di analisi di mercato Interact Analysis.

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