“Cattivi”, il podcast di Antigone sulle voci liberate dei ragazzi prigionieri

Novembre 29, 2025 - 00:00
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“Cattivi”, il podcast di Antigone sulle voci liberate dei ragazzi prigionieri

Si parla molto, in questi tempi, di giustizia minorile. Ne parla il Governo, sostenendo politiche dal pugno duro, spingendo per una deriva sempre più punitiva. Ne parla la stampa, adottando toni allarmistici e semplificazioni, contribuendo a creare un clima di crescente insicurezza. Come spesso succede, a rimanere in silenzio sono i diretti interessati. I ragazzi e le ragazze coinvolti nei percorsi di giustizia penale, lasciati ai margini della conversazione, dietro statistiche e slogan, ridotti a categorie astratte. Coloro che più di tutti vivono le conseguenze delle scelte politiche e del racconto mediatico, raramente trovano spazio per esprimersi, per condividere ciò che significa davvero entrare in contatto con il sistema penale in giovane età.

Da qui nasce “Cattivi. Le carceri dei ragazzi viste da dentro”, un podcast di Antigone e Next New Media pensato per raccontare il sistema penale minorile partendo dalle storie di chi l’ha vissuto. Attraverso le testimonianze di cinque ragazze e ragazzi, Cattivi racconta gli effetti che il carcere ha avuto su ognuno di loro. Effetti che fanno fatica a scomparire, anche al termine della detenzione. Così racconta A. nella prima puntata “Se fai anni di carcere la tua adolescenza l’hai passata in carcere, quindi la tua educazione l’hai presa lì. In carcere l’educazione che puoi imparare è un’educazione da carcere. Il problema più grosso è che dopo qualche anno ti abitui al carcere e solo quando esci ti accorgi che è stato un problema”. Diventare adulti in carcere, lontani dal mondo esterno, dai propri cari, significa costruire la propria identità in un ambiente chiuso, regolato da ritmi imposti e da relazioni complesse. La battitura, la sveglia alle 6 del mattino, le lunghe ore in celle sovraffollate, le perquisizioni: sono tutti aspetti che lasciano segni evidenti.

Se la privazione della libertà genera un forte impatto su chiunque la sperimenti, quando avviene in fase di crescita l’impatto può avere effetti enormi. Per questo il sistema penale minorile ha sempre visto la detenzione come ultima ed estrema ratio. Recentemente, però, questa consapevolezza sembra essersi incrinata. Con l’entrata in vigore del Decreto Caivano, ad ottobre 2023, il Governo ha spinto per un ricorso più frequente al carcere anche nel sistema minorile, riducendo di fatto lo spazio per strumenti alternativi. Una politica che ha rapidamente mostrato i suoi effetti, con un aumento di circa il 50% delle presenze negli Istituti penali per minorenni (IPM) in soli due anni. Per la prima volta il sovraffollamento è arrivato anche nel sistema minorile, portando all’utilizzo di materassi a terra, a sezioni sempre più fatiscenti, alcune volte in stato di puro abbandono.

Molti immaginano che a riempire le carceri minorili siano i ragazzi più pericolosi, quelli che hanno commesso i reati più gravi, i più violenti. La realtà è però diversa. Come si racconta nella seconda puntata, gran parte dei ragazzi finisce in carcere a causa di condizioni di fragilità e marginalità sociale. La mancanza di risorse e di alternative facilita l’ingresso negli IPM, anche a fronte di reati di minore entità. È ad esempio quanto accade nel caso dei minori stranieri non accompagnati. Ragazzi arrivati in Italia dopo lunghi viaggi migratori, spesso costretti alla vita di strada e, in assenza di sostegni e tutele, a incorrere in episodi di piccola delinquenza. Affrontano povertà, isolamento e in molti casi sviluppano dipendenze da psicofarmaci. Portano sui corpi i segni della sofferenza, parlano come se ormai non avessero più nulla da perdere, come se non nutrissero più nessuna speranza per il futuro. Sono i ragazzi che avrebbero bisogno di più supporto, e che invece ricevono poco o nulla dal sistema.

In queste situazioni in particolare, il carcere, per gli adulti così come per i minori, finisce per trasformarsi in catalizzatore di sofferenze. Situazioni già di per sé complesse assumono forme più acute e difficili da gestire, amplificando fragilità psicologiche, isolamento sociale e senso di disperazione. F., protagonista della terza puntata, è una giovane donna con alle spalle un lungo percorso tra IPM e comunità. Ha affrontato momenti difficili tra autolesionismo e abuso da psicofarmaci. F. racconta come l’ambiente carcerario abbia influito sulla sua condizione, portandola vicina a conseguenze estremamente pericolose.

“In carcere ti senti proprio in gabbia, sei buttato dentro e gettata la chiave [..] Ero depressa nel vedere altri depressi. Altrimenti non mi sarebbe venuto in mente di provare a tagliarmi, di provare a impiccarmi. Uno non ci pensa, ma quando sei con persone che fanno questo, e tu già stai male, ti viene di farlo”. Il contesto che vivono molti ragazzi negli IPM, secondo F., è un peso enorme da gestire: “Lo diventi (depresso) a stare lì dentro, ed è lì che dopo uno arriva a fare cose per cui rischia di morire e di non uscire più da là”. Le parole di F. non possono non far pensare alla tragica storia di Danilo Rihai, deceduto lo scorso agosto nell’IPM di Treviso. Minore straniero non accompagnato proveniente dalla Tunisia, il 9 agosto Danilo viene arrestato a Vicenza dopo alcuni tentativi di furto. Fonti di stampa raccontano come al momento dell’arresto, nonostante un evidente stato di agitazione, Danilo sia stato immobilizzato con l’utilizzo del taser e successivamente condotto nell’IPM di Treviso, uno degli Istituti più sovraffollati d’Italia. Dopo poche ore si è impiccato con i suoi jeans all’interno di una cella del centro di prima accoglienza. Danilo è poi deceduto il 13 agosto, dopo un ricovero di alcuni giorni. La storia di Danilo Rihai è testimonianza profonda della crisi di un intero sistema, incapace, oggi più di ieri, di proteggere i più fragili. L’ultimo episodio di un ragazzo che si era tolto la vita in IPM risaliva al 2003.

“Cattivi. Le carceri dei ragazzi viste da dentro”, si chiude con la storia di Y., entrato per la prima volta in carcere a soli quattordici anni. Y. ha poi girato numerose carceri per minori e per adulti, trasferito da un istituto a un altro, a volte a centinaia di chilometri dalla sua famiglia. Negli ultimi mesi di detenzione ha avuto accesso a un percorso fuori dal carcere in un appartamento con altri ragazzi, dove si è diviso tra studio e volontariato. “Nel mio percorso sono stati gli incontri che mi hanno aiutato – racconta – ho provato a cogliere quello che si stava facendo per me, ma non è stato facile e non lo è ancora”. In un carcere sempre più affollato e sotto pressione, dove le risorse scarseggiano e le chiusure abbondano, le possibilità di incontro rischiano di perdersi, rendendo più difficile la costruzione di legami, di momenti di ascolto e di accesso a nuove opportunità. In queste condizioni, non può che crescere nei ragazzi il senso di abbandono, il senso di sfiducia. Se continua così, non ci crederanno più. “Cattivi. Le carceri dei ragazzi viste da dentro” è un podcast in quattro puntate disponibile su Spotify e su altre piattaforme.

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