Emma Monzeglio: «Continuo a salvare vite, nonostante non possa fermare le stragi nel Mediterraneo»

Novembre 11, 2025 - 16:30
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Emma Monzeglio: «Continuo a salvare vite, nonostante non possa fermare le stragi nel Mediterraneo»

«Se pensi di cambiare il mondo, allora è vero, fare volontariato non serve a niente. Ma per me è un modo per affrontare insieme agli altri i problemi di questo mondo: è un fatto politico, insomma. E in questo senso, a me serve moltissimo». Emma Monzeglio ha 25 anni ed è volontaria di Emergency dal 2023. La prima volta che è salita a bordo della “Life Support”, la nave dell’organizzazione, è stata a gennaio 2025. Ha già fatto tre missioni di ricerca e soccorso. «Durante il salvataggio passavo l’acqua e due coperte ad ogni persona portata a bordo: una cosa semplice, ma ne sentivo tutto il valore», dice. Il volontariato, per Emma, è affrontare insieme agli altri le ingiustizie che vede intorno a sé, pur nella consapevolezza che “sortirne” sia difficile: un pensiero che somiglia molto a quello del priore di Barbiana, quando diceva che «il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia».

L’importante, per Emma, è esserci in prima persona: lo ha capito fin da quando aveva 16 anni e ha iniziato a fare volontariato in un doposcuola, nel quartiere milanese di San Siro. «Poi ho fatto parte di Libera e del collettivo liceale e a 18 anni sono entrata nell’associazione Casa magica, di cui oggi sono coordinatrice. Quello con Emergency è un amore iniziato alla scuola elementare, dove ogni anno i volontari venivano in classe a parlarci di quello che facevano. Io li guardavo come dei supereroi e per tutto l’anno portavo appeso allo zaino lo “straccetto della pace” che ci regalavano», racconta. Molti anni dopo, nel 2023, quando già studiava Giurisprudenza all’Università, Emma è entrata di nuovo in contatto con l’organizzazione, partecipando a “Rise Up!”, il campo estivo che Emergency propone ai giovani. 

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A bordo, finalmente 

All’inizio di quest’anno, ad Emma si è presentata una grande occasione, che era anche una grande sfida: «Mi hanno chiamato le mie referenti e mi hanno chiesto se fossi interessata a salire sulla nave di ricerca e soccorso di Emergency, la Life Support, per una missione. Io ero piena di impegni, universitari e non solo, ma ho risposto di sì, senza pensarci troppo, di pancia insomma. E sono contenta di averlo fatto. Pensavo che sarebbe passato molto tempo prima che quella possibilità si concretizzasse, invece il 4 marzo ero a Livorno, a bordo della Life Support. E ci sono rimasta fino all’11 aprile». Prima la formazione a distanza, poi l’addestramento a bordo, con la nave ancora in porto. Quindi, l’8 marzo, la partenza: «In quella prima missione, abbiamo soccorso e messo in salvo 35 persone, per la maggior parte giovani ragazzi e una famiglia. Io ero, tecnicamente “Extra 2”, avevo cioè una funzione di supporto alla logistica e, in caso di bisogno, ai mediatori culturali. Praticamente, durante il salvataggio passavo l’acqua e due coperte a ogni persona che saliva a bordo e indicavo a ciascuno dove sedersi. Il mio compito era molto semplice, ma ne sentivo tutto il valore e non mi sono mai sentita inutile. Soprattutto, quello che mi veniva spontaneo fare era sorridere ed essere più gentile possibile: volevo che capissero chiaramente che la situazione era sicura, che non dovevano avere paura di noi. Ci fu assegnato il porto sicuro di La Spezia, dove i ragazzi sono scesi. A quel punto, c’era bisogno e voglia di ripartire velocemente: io ero già a bordo, evidentemente non mi ero comportata male, quindi mi hanno chiesto se fossi disponibile per un’altra missione. Sono stata molto felice di poter ripetere quell’esperienza».

Soprattutto, quello che mi veniva spontaneo fare era sorridere ed essere più gentile possibile: volevo che capissero chiaramente che la situazione era sicura, che non dovevano avere paura di noi. Emma Monzeglio, volontaria Emergency

Mi sono sentita tanto piccola

La seconda missione è stata molto diversa dalla prima: i salvataggi sono stati tre, per un totale di 215 persone. «Nella prima ero riuscita a parlare con tutti, mi ero dedicata tanto alle relazioni. Nella seconda, ha prevalso l’impegno pratico e logistico. Ci sono stati anche momenti molto tristi, come quando ci è stato detto, durante il secondo salvataggio, che alcune persone erano cadute in acqua due ore prima e se ne erano perse le tracce. È stato un momento molto forte, in cui mi sono sentita tanto piccola. Ma avevo accanto persone estremamente capaci, sia a livello professionale che umano. Questo mi ha permesso di non essere sopraffatta dalla frustrazione e dal dolore e continuare a rendermi utile».

Quest’estate, Emma ha ripetuto ancora l’esperienza: «Loro avevano bisogno e io avevo voglia di esserci. Anche stavolta c’è stato un momento duro: un’evacuazione medica. Ma ancora una volta, le persone che erano con me sono state di grande aiuto. Certo, vivere queste missioni fa sentire forte l’ingiustizia e l’indignazione per il modo in cui queste persone sono costrette ad arrivare. Il mio sogno è che un giorno non ci sia più bisogno di Emergency, delle sue navi e di noi volontari, perché il mondo sarà diventato un po’ più giusto».

La forza dei legami

A Rise Up!, il campo estivo che Emergency propone ai giovani e che ha segnato una svolta nella sua vita, Emma si era iscritta perché «mi sembrava un bel modo di passare una settimana del mio agosto, tra incontri e approfondimenti su temi che mi sono sempre interessati». È stata un’esperienza «fantastica: ho incontrato ragazzi e ragazze meravigliosi e ho deciso, in quel momento, che volevo continuare a fare parte di qualcosa di cui facevano parte anche loro. Alcuni già erano volontari, altri hanno iniziato allora, come me. È nato un legame che per me è prezioso e che è una delle ragioni per cui sono volontaria di Emergency».

A Rise Up! ho incontrato ragazzi e ragazze meravigliosi e ho deciso, in quel momento, che volevo continuare a fare parte di qualcosa di cui facevano parte anche loro Emma Monzeglio, volontaria Emergency

L’azione di chi non parte

Perché il volontariato, Emma ne è convinta, si fa innanzitutto per se stessi, perché ciò che si riceve veramente è più di quel che si dà: «Anche dal punto di vista degli studi che ho scelto e della professione che immagino, l’esperienza con Emergency mi dà molto: mi permette di affrontare a livello pratico ed emotivo ciò che altrimenti studierei solo sui libri. È un campo di sperimentazione personale di grande valore».

Fare volontariato in Emergency consiste soprattutto nel promuovere incontri ed eventi di formazione, informazione e sensibilizzazione: «Abbiamo ascoltato persone che ci raccontavano i progetti di Emergency nelle diverse parti del mondo, poi abbiamo organizzato eventi di sensibilizzazione e raccolta fondi, soprattutto all’università. Ultimamente, abbiamo ideato e realizzato una rivista, “Say YEP”, interamente scritta da noi, in cui ciascuno ha portato il proprio modo di vedere il mondo. Ora  vorremmo diffondere il numero zero in giro per l’Italia e poi realizzare altri numeri, periodicamente».

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In apertura e nell’articolo, Emma Monzeglio, volontaria a bordo della Life Support di Emergency. Foto di Dario Bosio, da ufficio stampa Emergency

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