Gli anni Ottanta, ossia quando il Natale non era Natale senza le pubblicità

Dicembre 2, 2025 - 21:30
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Gli anni Ottanta, ossia quando il Natale non era Natale senza le pubblicità

La fiammella della candela trema nel buio, altre ne appaiono poco più in là, e poi il volto sorridente di una ragazza, e tanti, tanti altri ragazzi che cantano, candele in mano, disegnando un grande albero di Natale sul fianco di una collina. La musica? Indimenticabile quanto il testo: «Vorrei cantare insieme a voi in magica armonia, auguri Coca-Cola e poi un coro in armonia». Non negate, lo avete letto cantandolo. Perché è un classico, da annoverare tra le melodie di Natale né più né meno che Jingle Bells o Astro del ciel. La pubblicità della Coca-Cola è andata in onda per la prima volta in Italia nel 1983 (il look innegabilmente anni Settanta e un po’ figli dei fiori dei ragazzi è dovuto al fatto che lo spot girava in America già da tempo, slegato dal Natale), e ha continuato a entrare nelle nostre case per le feste lungo una decina d’anni. E per i bambini e i ragazzi di quegli anni oggi è una specie di portale magico capace di aprirsi su un mondo di ricordi.

Il Natale in quegli anni era luccicante, colorato, dolcissimo. Le pubblicità di pandori, panettoni, cioccolatini e golosità varie non sentivano la necessità di parlarci di ingredienti di qualità e sapienza artigiana: non c’erano firme di chef né pistacchi di Sicilia, e il lievito madre era un curioso grado di parentela. Ci interessavano le lucine, le confezioni colorate, i bambini con le bocche spalancate per lo stupore, le ballerine (s)vestite in costumi babbonataleschi, le feste per i grandi e i balocchi per i piccoli. C’erano concorsi a premi per sognare macchine veloci e vacanze di lusso e c’erano notti stellate e tetti innevati per sognare un mondo in cui tutti fossimo più buoni.

Anzi, chi parlava di ingredienti e ore di lievitazione era visto come una stranezza. Come il signor Bistefani che nella pubblicità del 1984 apostrofava l’immancabile Carlo al grido di «Qui alla Bistefani ci sbagliamo sempre!», furibondo perché i panettoni venivano impastati troppe volte: «ma siamo pazzi? Cinque impasti, soli rossi d’uovo e addirittura il miele? Ma chi sono io, Babbo Natale?». Immancabili barba e cappello calavano dal cielo a incorniciare il faccione del capo, mentre altri panettoni cadevano dall’alto e Carlo abbracciava festante il suo principale.

Tutta giocata su buoni sentimenti, condivisione e tenerezza la pubblicità del pandoro Bauli, quella di bababababbabababababba, con il tenero signore barbuto e i bambini che cantavano in coro «baciamoci con Bauli».

E se vi dicessimo «Bonsoir mes amis!»… quanti di voi non penserebbero immediatamente alla pubblicità del Tartufone Motta? Festaiola e divertente, tra donne bellissime che svenivano rapite dalla bontà del panettone e un animatore dalla pelle scura vestito di bianco, era percorsa da una vena di razzismo neanche troppo sottile, che oggi la renderebbe improponibile: in una delle prime versioni addirittura il protagonista (Derek Griffiths) indicava sé stesso dicendo «è marrone», riferito ovviamente al dolce. Ma il politicamente corretto era lontano, tanto quanto le discussioni sulla provenienza della vaniglia che aromatizzava l’impasto, e al centro dei nostri cuori restano una cantilena metà italiana e metà francese, con rime perfette e una voglia di cioccolato che non si sazia mai.

Tra panettoni e pandori non si possono dimenticare gli spot della Melegatti con Franca Valeri che enumerava premi tra cui Ferrari rosse fiammanti e cucine Scavolini: «La fortuna lo sai con Melegatti è più dolce che mai» era il jingle capace di consolare anche un depresso Babbo Natale, apostrofato come «demotivato miscredente».

Tra i testimonial più noti va annoverato anche Nino Frassica che, vestito da frate come nel mitico “Quelli della Notte”, decantava le qualità del Gran Nocciolato Maina, «che buono che buono che buono». Dal Nocciolato al Mandorlato: quello balocco, pubblicizzato da una spumeggiante Heather Parisi in body rosso che si esibiva in una versione natalizia di “Cicale”. Sulle note di «il mandorlato ci piace glassato glassato», a sgambettare con la bionda soubrette i più attenti ricordano due dei Ricchi e Poveri.

E poi c’era Nino Manfredi vestito da Babbo Natale che portava i regali alla sua Natalina, ma non resisteva al caffè Lavazza; i Pan di Stelle che non potendo diventare più buoni a Natale diventavano più belli (ed erano preparati da soldatini, orsacchiotti e altri giocattoli); il Vecchia Romagna Etichetta Nera che creava un’atmosfera anche per chi sciava in montagna. E per finire un altro albero di Natale, quello liscio, gassato o Ferrarelle della pubblicità dell’acqua minerale. Memorabile, anche se il Natale in quegli anni, ricchi e spensierati, era decisamente gassato.

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Redazione Redazione Eventi e News