Hope, il volto sociale delle Misericordie
Quando si parla di Misericordie e dei suoi numerosi volontari, si pensa quasi sempre al trasporto socio-sanitario, casomai alla protezione civile.
La più antica organizzazione di volontariato d’Italia, che deriva infatti alle confraternite sorte a Firenze nel 1200, è anche attiva direttamente nel settore sociale come attestano i dati di una ricerca sulle “Case del noi”, i presidi territoriali che la Confederazione nazionale delle Misericordie d’Italia ha organizzato negli ultimi due anni a beneficio dei più fragili, nell’ambito del progetto Hope, sostenuto dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali (qui la notizia che VITA dette al momento di lancio).
“Case del noi”, 222 in 16 regioni
Si tratta di una rete importante, che risponde su bisogni spesso drammatici come la povertà alimentare, quella sanitaria, quella educativa, offrendo soluzioni di primo intervento, ma anche attivando sostegni che puntano a emancipare le persone bisognose dai contesti di povertà, come le attività di microcreadito. E non sono mancati peraltro anche alcuni interventi di supporto alle vittime della violenza di genere,

«Nate nel periodo post-pandemico», spiegano alle Misericordie d’Italia, «per rispondere alle fragilità emerse nelle comunità, sono oggi luoghi di relazione e prossimità, in cui il sostegno alle persone si traduce in percorsi di accompagnamento e crescita».
Le Misericordie hanno comunicato in questi giorni una ricerca che trae un bilancio delle attività svolte dalle 222 Case fra giugno 2024 e giugno 2025, un documento prezioso che dà la misura di questo rilevante aspetto dell’azione di sostegno sociale di questa ampia comunità di volontari, che in quell’intervento di rete danno vita anche a 61 empori solidali e 29 banchi alimentari.


Nel periodo considerato sono stati infatti registrati oltre 107 mila accessi presso la rete “Casa del noi”. Tra i servizi più richiesti figurano il supporto alla povertà alimentare (29.661 accessi), alla povertà sanitaria (9.391 accessi) e alla povertà estrema (7.338 accessi), insieme ai servizi per i bisogni essenziali come docce, lavanderia e cambio abiti (4.507 accessi).
«Significativa anche l’attività degli sportelli di ascolto, con 9.163 momenti di accoglienza e orientamento», spiegano dalle Misericordie.
«Le “Case del noi” non sono semplici luoghi di servizi, ma comunità che si prendono cura delle persone nella loro interezza, riconoscendo in ciascuna una storia e una dignità», spiega Domenico Giani, presidente delle Misericordie d’Italia, ricordando come «in una società attraversata da solitudini e precarietà, qui la prossimità si faccia gesto quotidiano e la solidarietà diventa legame».

Nuovi bisogni: fragilità economica e violenza di genere
Accanto al supporto materiale, si stanno consolidando appunto nuovi ambiti di intervento: attività di sostegno alle donne vittime di violenza (248 accessi) e percorsi di inclusione nel volontariato rivolti a persone in situazione di fragilità, che trovano nella partecipazione sociale un’opportunità di riscatto e autonomia.
«”Casa del noi” è nata per rispondere a un’emergenza che rischiava di lasciare indietro tante persone», sottolinea Gionata Fatichenti, direttore dell’Area emergenze della Confederazione. «Oggi rappresenta un presidio stabile nelle comunità grazie alle Misericordie che hanno scelto di formarsi, riorganizzare spazi e mettere la relazione al centro», conclude Fatichenti.
Fantichenti fa parte del team di ricerca che ha lavorato all’analisi dei dati. Gli altri componenti sono Martina Della Bella, Chiara Pagni, Alessia Zantedeschi e Ginevra Gagliardi.
Nella foto di apertura, dell’Ufficio stampa Misericordie d’Italia, volontari della Misericordia di Empoli (Firenze) ritirano pasti pronti da distribuire agli indigenti.
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