I vincoli del ponte sullo Stretto secondo il TAR Sicilia
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In questo approfondimento l’Avvocato Maurizio Lucca analizza con particolare attenzione una recente sentenza del TAR Sicilia che traccia le linee guida sui vincoli relativi al Ponte sullo Stretto.
La sez. V Catania del TAR Sicilia, con la sentenza 5 novembre 2025 n. 3127 (estensore Sidoti), postula la piena legittimità del diniego di un intervento edilizio (premesso di costruire per l’edificazione di una media struttura di vendita) in presenza di vincoli di inedificabilità per la costruzione del ponte sullo “Stretto”, non potendo l’Amministrazione disporre in difformità con la reiterazione del vincolo imposto dalla legge («il collegamento stabile viario e ferroviario tra Sicilia e continente ed opere connesse è opera prioritaria e di preminente interesse nazionale… Ai fini della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera sono reiterati, ad ogni effetto di legge, i vincoli imposti con l’approvazione del progetto preliminare dell’opera e successivamente prorogati», ex comma 487, dell’art. 1, delle legge 29 dicembre 2022, n. 197, Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), vincolo riportato nel certificato di destinazione urbanistica (CDU)[1], per sé sufficiente e ragionevole a motivare il rigetto dell’istanza.
I vincoli urbanistici
È noto, in via generale che i vincoli urbanistici, se di natura espropriativa, imposti dallo strumento urbanistico generale su beni determinati hanno per legge durata limitata: in linea generale, cinque anni, alla scadenza dei quali, se non è intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera prevista, il vincolo preordinato all’esproprio decade [2]: la presenza di localizzazione, caratterizza il carattere espropriativo, ossia quando l’atto di pianificazione impone un vincolo su uno o più beni determinati e nei confronti di soggetti ben individuati impedendone la piena liberalità di interventi privati.
La decadenza dei vincoli urbanistici preordinati all’esproprio comporta l’obbligo per il Comune di “reintegrare” la disciplina urbanistica dell’area interessata dal vincolo decaduto con una nuova pianificazione: l’adempimento dell’obbligo di conferire la nuova qualificazione urbanistica non può essere eluso per ragioni di opportunità, determinando il protrarsi di una situazione incompatibile con le garanzie costituzionali che assistono il diritto di proprietà [3].
Di converso, il carattere conformativo dei vincoli urbanistici (di durata) non dipende dalla collocazione in una specifica categoria di strumenti urbanistici, ma soltanto dai requisiti oggettivi, per natura e struttura, dei vincoli stessi, ricorrendo in particolare tale carattere ove gli stessi vincoli siano inquadrabili nella zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche o del rapporto, per lo più spaziale, con un’opera pubblica: non è soggetto a decadenza, né da esso nasce obbligo di indennizzo [4].
In questo senso, non incide direttamente e in modo permanente su un singolo bene ma in funzione generale sulla destinazione di un’intera zona, mentre il vincolo espropriativo, legato alla localizzazione di un’opera pubblica, postula una temporaneità limitazione del diritto reale (funzionale alla realizzazione dell’intervento pubblico) che non può coesistere con la proprietà privata, esponendo la sua natura espropriazione, che inevitabilmente scadrà (quale limitazione della proprietà) se l’opera non viene a compimento, valorizzando il fatto che il vincolo contiene previsioni attuabili esclusivamente attraverso intervento pubblico [5].
Una volta decaduto il vincolo espropriativo per inutile decorso del tempo, non si verifica alcuna reviviscenza della pregressa destinazione, confermando la natura espropriativa del vincolo che ne implica la sua temporaneità: l’inutile decorso di un quinquennio, in difetto di una legittima reiterazione, ne comporta, la decadenza ma l’area già vincolata, tuttavia, non riacquista automaticamente la propria antecedente destinazione urbanistica, ma si configura come area non urbanisticamente disciplinata, ossia come c.d. zona bianca
Rispetto a tali zone, allorché cessino gli effetti dei preesistenti vincoli, l’Amministrazione comunale deve esercitare la discrezionale propria potestà urbanistica, attribuendo agli stessi una congrua destinazione [6].
Il criterio per differenziare o individuare il vincolo può essere così riassunto:
- si è in presenza di zonizzazione quando, anche a fronte di un vincolo conformativo molto stringente, il proprietario del fondo conserverà un margine di libertà, potendo comunque procedere a realizzare opere edilizie sul proprio fondo secondo le limitazioni previste dallo strumento urbanistico, quando il suo contenuto, ancorché ben determinato, è tale da non precludere in toto l’iniziativa edificatoria del privato;
- si è in presenza di localizzazione, quando il vincolo urbanistico comporta un divieto assoluto di edificazione in capo al privato, svuotando di fatto il contenuto del diritto di proprietà, in funzione non della destinazione complessiva dell’area, bensì della realizzazione di una determinata opera pubblica (preceduta dalla dichiarazione di pubblica utilità).
Il precipitato dell’esegesi porta a valutare la natura espropriativa o conformativa del vincolo con una verifica non in astratto, ma in base alla disciplina urbanistica concreta impressa ai singoli suoli, al fine di accertare se la destinazione conferita agli stessi si risolva in una sostanziale ablazione oppure non svuoti di contenuto i diritti dominicali dei proprietari [7].
Zona bianca
In materia di edilizia ed urbanistica deve ritenersi che si ha una “zona bianca” quando in un’area del territorio comunale non vige alcuna previsione dello strumento urbanistico locale.
Siamo alla presenza di una evidente lacuna nella pianificazione dell’attività edilizia sul territorio che si verifica in tre casi:
- il territorio comunale è totalmente sprovvisto di strumenti di pianificazione;
- pur essendoci uno strumento urbanistico generale, una parte del territorio è stata “dimenticata” in fase di pianificazione, ovvero non è ricompresa nella zonizzazione urbanistica;
- l’area è interessata da un vincolo preordinato all’esproprio o di un vincolo di inedificabilità assoluta, decaduto e non legittimamente reiterato. In
La qualificazione di un’area quale zona bianca viene soggetta alle rigide prescrizioni edilizie, di cui all’art. 4 ultimo comma, della legge n. 10 del 1977 confluito nell’art. 9, Attività edilizia in assenza di pianificazione urbanistica, del DPR n. 380/2001 [8].
Elementi fattuali
Dalla documentazione, a fondamento del diniego del Comune, risultava che la costruzione insisteva in un’area incompatibile per la destinazione urbanistica (destinata al risanamento) e nella quale vi era imposto vincolo da variante di PRG per il progetto preliminare del Ponte dello Stretto: condizioni (alternative) ex se inficianti al rilascio del titolo edilizio, atteso che nel certificato di destinazione urbanistica l’aera (ovvero, la particella) ricadeva totalmente all’interno in parte all’interno di quella destinata a cantiere e in parte fascia di rispetto per collegamenti stradali e ferroviari.
Merito
L’approdo porta stabilire l’infondatezza del ricorso, avendo l’Amministrazione motivato il diniego (già nel preavviso di rigetto) sull’inidoneità del sedime rientrante:
- all’interno del progetto di esecuzione delle infrastrutture relative al Ponte (come dimostrato agli atti);
- incompatibile con la destinazione di zona (ambito di risanamento in zona destinata a servizi di quartiere-attrezzature sportive).
Le motivazioni del GA annotato:
- l’atto finale risulta un atto plurimotivato, ove vengono riscontrare autonome ragioni del rigetto, sufficiente per dare riscontro della legittimità del provvedimento [9], rilevando che la motivazione può presentarsi anche per relationem di altri atti, come consentito, tale modus operandi [10], dall’art. 3, comma 3, della legge n. 241/1990 («Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell’amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l’atto cui essa si richiama») [11];
- l’area risulta all’interno del progetto preliminare del Ponte sullo Stretto e dal certificato di destinazione urbanistica in atti non contestato efficacemente risulta che la particella interessata è sottoposta “totalmente” al relativo vincolo urbanistico (reiterato dalla legge finanziaria 2023, vigente al momento del diniego, valendo il principio tempus regit actum), e, pertanto, non può considerarsi lambita dalle opere o libera (come sostenuto ma non dimostrato dalla parte ricorrente), non potendo l’Amministrazione sottrarsi al vincolo, costituendo ragione sufficiente e ragionevole per accertare la legittimità del rigetto dell’istanza, essendo preclusa all’ente qualsivoglia ulteriore valutazione;
- invero, se il certificato di destinazione urbanistica ha carattere meramente dichiarativo-cognitivo di atti pubblici preesistenti, e non anche costitutivo, la parte ricorrente infatti, non ha fornito idonea prova a supporto della tesi dell’inesistenza del vincolo al momento della proposizione dell’istanza di permesso di costruire e della decisione su di essa;
- in ogni caso, anche ove tali vincoli fossero decaduti, la decisione dell’ente non sarebbe censurabile a fronte di zona c.d. bianca, trovando naturale applicazione il principio normativo, vigente anche nell’ordinamento siciliano, che prescrive non la reviviscenza della precedente destinazione urbanistica, bensì la riconduzione a zona bianca (che esclude l’intervento) [12].
Osservazioni
La questione affrontata dal giudice si presenta lineare quanto scontata in presenza di una chiara destinazione dell’area non idonea ad “ospitare” edificazioni fuori contesto, quello definito dallo strumento urbanistico, inoltre in presenza di un vigente vincolo espropriativo non è pensabile una degradazione del diritto a vantaggio del privato, visto che l’utilità pubblica (l’interesse generale) consente di comprimere lecitamente il diritto di proprietà (ex comma 3 dell’art. 42 Cost.) nel rispetto della sua procedimentalizzazione.
Nello sfondo della sentenza, un riflesso (specchio) di contingente attualità dove le scelte di pianificazione sono espressione di un’amplissima valutazione discrezionale, insindacabile nel merito, e dove le scelte politiche di realizzazione delle infrastrutture strategiche (di uno Stato) costituiscono atti incensurabili, espressione di una potestà della legge che non può che appartenere alla sfera elettiva, all’interno di regole del diritto precostituite dove i controlli preventivi, in astratto e in concreto, poco si addicono con la loro funzione (su questo ed altro) [13].
Note
[1] Vedi, LUCCA, Chiarimenti sulla natura del certificato di destinazione urbanistica, lentepubblica.it, 24 marzo 2025, dove si analizza la natura del certificato di destinazione urbanistica: carattere meramente dichiarativo della regolamentazione cui è soggetta una determinata area non avendo di natura provvedimentale, disponendo unicamente sulla base dei piani urbanistici, non potendo considerare le pattuizioni tra le parti private, precisando che le prescrizioni generali (quelle che contengono vincoli e destinazioni) una volta approvate e pubblicate hanno un’efficacia assistita da una presunzione legale di conoscenza da parte dei suoi destinatari.
[2] I vincoli urbanistici, preordinati all’esproprio, decadono automaticamente dopo il decorso del termine quinquennale previsto dalla legge, senza necessità di un atto formale di revoca, e gli enti locali sono obbligati a procedere alla riqualificazione urbanistica delle aree interessate, TAR Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 5 agosto 2025, n. 386.
[3] TAR Sicilia, Palermo, sez. IV, 24 febbraio 2025, n. 450.
[4] Cfr. Cass. civ., sez. I, ordinanza 21 febbraio 2024, n. 4691.
[5] TAR Lazio, Roma, II Stralcio, 28 giugno 2024, n. 13088.
[6] Cons. Stato, sez. IV, 24 agosto 2016, n. 3684.
[7] Cons. Stato, sez. II, 8 maggio 2024, n. 4146.
[8] TAR Campania, Salerno, sez. II, 22 dicembre 2023, n. 3034.
[9] Cons. Stato, sez. I, parere n. 11/2023; sez. III, 14 febbraio 2025, n. 1248.
[10] Invero, anche la tecnica redazionale della motivazione di una sentenza ob relationem agli scritti difensivi di parte, è pienamente legittima (Cass. civ., SS.UU. un., n. 642 del 2015) e rispettosa del dovere di sinteticità imposto dagli artt. 3, comma 2, e 88, comma 2, lett. d), c.p.a. non solo alle parti ma anche al giudice, Cons. Stato, sez. IV, 21 aprile 2022, n. 3022.
[11] Anche il mero richiamo ad atti può costituire la giustificazione della decisione da porre a base motivazionale del provvedimento: la motivazione risulterà esaustiva perché dal complesso degli atti del procedimento sono evincibili le ragioni giuridiche che supportano la decisione, in modo da consentire, non solo al destinatario di contrastarle con gli strumenti offerti dall’ordinamento, ma anche al GA, ove investito della relativa controversia, di sindacarne la fondatezza: nell’ambito del procedimento amministrativo, il provvedimento amministrativo può essere legittimamente motivato «ob relationem» ad altro atto, di cui non è peraltro necessaria l’allegazione, ma è sufficiente che sia messo a disposizione del destinatario del provvedimento stesso, cioè che esso possa essere acquisito utilizzando il procedimento di accesso ai documenti disciplinato dalla legge n. 241 del 1990, Cons. Stato, sez. VII, 25 febbraio 2025, n. 1655; sez. VI, 24 marzo 2023, n. 3001; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 8 luglio 2025, n. 651. Ai fini della motivazione per relationem è sufficiente che siano indicati gli estremi o la tipologia dell’atto richiamato, mentre non è necessario che esso sia allegato materialmente o riprodotto, dovendo piuttosto essere messo a disposizione ed esibito ad istanza di parte; tuttavia il provvedimento deve ritenersi illegittimo ove l’atto al quale si è fatto riferimento ai fini della motivazione per relationem non sia stato messo a disposizione, né siano stati indicati gli estremi dello stesso, in tal modo rendendo estremamente difficoltoso per il destinatario comprenderne il contenuto essenziale ed esercitare consapevolmente le sue prerogative partecipative, Cons. Stato, sez. V, 4 agosto 2017, n. 3907.
[12] Cfr. CGA n. 51 del 2023.
[13] Vedi, BALDUCCI, Ponte? Il controllo preventivo della Corte dei Conti è anacronistico, startmag.it, 30 ottobre 2025, dove si analizza il meccanismo del controllo preventivo: nella disamina si osserva che «il controllo preventivo di tipo formale-giuridico di fatto è una sorta di invito al controllore a giustificare la sua esistenza (ingiustificabile) imponendo il suo potere di veto».
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