Il consiglio musicale del mese: Robert Wyatt, Rock Bottom
Per il consiglio musicale del mese di novembre, vi porto indietro nel tempo, al 1974: l’anno in cui Robert Wyatt pubblica Rock Bottom. Si tratta di un album considerato da molti fondamentale nella storia del rock, di certo uno dei pilastri della cosiddetta “scena Canterbury”, insieme a In the Land of Grey and Pink dei Caravan, uscito nel 1971. E certo, a sua volta, la scena Canterbury è stata seminale per l’intero panorama rock contemporaneo e successivo. Osannato da molti critici, e praticamente all’unanimità da tutti i musicisti, di qualsiasi ambito e genere, Rock Bottom è però spesso definito come un album “non per tutti”. Invece secondo me dovrebbe essere proprio per tutti: ecco perché proverò a inserire in questo racconto qualche indicazione di ascolto che possa aiutare gli ascoltatori più in difficoltà ad entrare in sintonia con i brani.
Ma prima un po’ di contesto. Robert Wyatt era il batterista e fondatore dei Soft Machine, band che univa il rock e il jazz con un impeto di sperimentazione mai eguagliato da nessuno nell’ambito della fusion. Fu proprio la necessità di mantenere viva e centrale la sperimentazione, senza cedere alle facili convenzioni di un genere, a far decidere a Wyatt di lasciare il gruppo nel 1971. Già nel 1970 Wyatt aveva pubblicato il suo primo album solista, The End of an Ear, in cui la dissoluzione delle strutture musicali, vicina al free jazz, rende effettivamente ostico l’ascolto per chi non è disposto ad aprire l’orecchio alla pura anarchia musicale. L’album viene comunque paragonato alle sperimentazioni di Miles Davis e Wyatt viene affiancato da una serie di musicisti della scena prog, Canterbury e jazz nella formazione dei Matching Mole. Il nome del gruppo deriva da un gioco di parole: dalla traduzione letterale di Soft Machine in francese, Machine Molle, per assonanza si arriva a Matching Mole. E la talpa, in inglese “mole”, tornerà anche in Rock Bottom! Nel 1973, durante una festa, Wyatt precipita dalla finestra di un bagno, con conseguenze drammatiche: da allora rimane paralizzato dalla vita in giù e non potrà più suonare la batteria. Ma invece di scoraggiarsi, sostenuto da una schiera impressionante di musicisti, Wyatt trova nuovi modi di fare musica e l’anno successivo fa uscire l’album di cui vi parlo oggi: Rock Bottom.
Tra i tanti musicisti che sostennero l’attività musicale di Wyatt, troviamo anche Nick Mason, batterista dei Pink Floyd, che figura come produttore dell’album. I Pink Floyd e i Soft Machine erano state, alla fine degli anni Sessanta, le due band emergenti di punta della scena musicale londinese. Questo, invece di portare alle rivalità che potremmo immaginare noi, abituati alla provincialità della nostra scena musicale, fu motivo di stima, rispetto, collaborazione addirittura. Non è un caso che la band che suona su Madcap Laughs, album visionario del 1970 realizzato da Syd Barrett, siano proprio i Soft Machine. D’altra parte, gli intrecci musicali non erano certo una novità per Wyatt: già il secondo album dei Matching Mole era stato prodotto da Robert Fripp dei King Crimson. Alla realizzazione di Rock Bottom presero parte tra gli altri anche Hugh Hopper e Richard Sinclair, che si alternano al basso, Mike Oldfield alla chitarra, Fred Frith che suona la viola e il poeta e attore Ivor Cutler: una combriccola eterogenea quanto straordinaria!
Rock Bottom, abbiamo detto, è considerato un album fondamentale un po’ da tutti i musicisti, nel pop, nel rock, nel progressive, nel metal… E molti non si sono limitati a citarlo e lodarlo, ma ne hanno anche realizzato delle cover. In particolare, il brano più reinterpretato dell’album è Sea Song.
Sea Song è la traccia di apertura di Rock Bottom, caratterizzata da una melodia lunga, articolata e complessa, anche da cantare direi. Sotto questa melodia, una tastiera dal suono un po’ acido crea linee di contrappunto melodico che fanno da collante e tengono insieme tutto il tessuto sonoro. I momenti di sosta, quasi di attesa, cadono praticamente tutti su accordi diminuiti molto dissonanti, di forte tensione, su cui Wyatt si sofferma a lungo, senza mai risolverli, facendoli diventare la base per parti di improvvisazione jazz. Sulla coda finale, inoltre, il ritmo armonico, il ritmo dato dai cambi di accordo, segue una sequenza irregolare, mentre la melodia vocale si va a intrecciare con quella della tastiera in maniera quantomeno ardita. Dal punto di vista dell’alternanza dei bassisti, una delle caratteristiche meno evidenti dell’album, in Sea Song troviamo Richard Sinclair al basso. Durante il celebre concerto di presentazione dell’album al Theatre Royal su Drury Lane nel 1974, con la partecipazione di moltissimi grandi musicisti, una lunga improvvisazione proprio su Sea Song farà paragonare l’album a Bitches Brew di Miles Davis da parte di alcuni critici.
Un album che trascende i generi
Rock Bottom è una pietra miliare del Canterbury, ma il Canterbury che genere è? Spesso associato al progressive, contiene di solito elementi di jazz e di rock, di glam rock, pop, psichedelia e cantautorato squisitamente britannico e non di rado ironico. È davvero difficile definirlo come genere, se pensiamo a quanto due capisaldi del Canterbury come Rock Bottom di Wyatt e In the Land of Grey and Pink dei Caravan suonino diversi e lontani. Eppure entrambi contengono melodie elaborate, discorsive e potenti, al servizio di testi che dipingono scene di vita più o meno quotidiana e che appena ne hanno l’occasione si lanciano in giochi di parole e associazioni ironiche e assurde. In Rock Bottom vari generi si incontrano, si scontrano, si mescolano. Ma non per dare vita a un nuovo genere, quanto per mettere in discussione ogni certezza che i vari generi musicali potrebbero creare e dare quindi spazio a una musica libera dalla necessità di conformarsi alle convenzioni. Non è un caso che anche i musicisti che hanno collaborato alla realizzazione dell’album e anche del concerto al Theatre Royal siano di estrazioni molto diverse. In Rock Bottom troviamo il jazz, il rock, il prog, l’ironia, ma soprattutto una grande liricità, con una particolare importanza data alle melodie.
Nel secondo brano dell’album, A Last Straw, provate a concentrarvi sulla melodia vocale iniziale: una melodia che farebbe invidia ai migliori Genesis, i quali però l’avrebbero utilizzata e sviluppata in maniera differente. Qui la melodia diventa l’ossatura su cui sviluppare un’evoluzione armonica atipica, che per certi versi ricorda passaggi di accordi tipici dello space rock, ma che è sostenuta dalla sezione ritmica di Laurie Allan alla batteria e Hugh Hopper al basso che ci toglie tutti i riferimenti più classici, in un’interpretazione che oscilla tra jazz e fusion.
Un concept album, a suo modo
Nei testi di Rock Bottom ci sono temi ricorrenti, per quanto apparentemente assurdi, come quello dei ricci che vengono messi sotto dalle macchine o quello delle talpe (eccole che tornano!) che, nascoste sotto terra, distruggono cavi, telefoni, televisori, come se tramassero piccoli atti di insurrezione. C’è chi ha visto in questi testi metafore dell’impegno politico comunista di Wyatt. C’è invece chi ha cercato riferimenti al suo recente e drammatico incidente. Ma il materiale inciso in Rock Bottom era in lavorazione da ben prima dell’incidente. E, sebbene di fondo ci possa essere un pensiero politico nel senso più ampio del termine, Wyatt ha dimostrato in altre occasioni di saper essere molto esplicito quando vuole fare affermazioni politiche. Ma soprattutto, ciò che lega tutti i brani è la presenza costante di Alfreda Benge, la moglie di Wyatt, che è anche l’artista che ha realizzato la copertina dell’album e compare come voce recitante in Alifie, la quinta traccia di Rock Bottom.
Se i primi due brani dell’album compaiono distinti e separati, i restanti quattro sono chiaramente e indissolubilmente collegati fra loro. Little Red Riding Hood Hit the Road e Little Red Robin Hood Hit the Road denotano una grande similitudine già nei titoli. Posti entrambi a chiudere ciascuno una facciata del vinile, fanno però anche da cornice agli altri due brani inclusi nell’album, incastonati nello spazio fra loro: Alifib e Alifie. Di nuovo, già dall’assonanza dei titoli possiamo vedere quanto siano legati.
I testi qui sono prevalentemente giochi di suoni, tra l’infantile, l’intimo di un linguaggio privato di una coppia e la semplice alterazione di parole, spesso in senso onomatopeico. E così i titoli, Alifib e Alifie, non sono altro che alterazioni di Alfie, diminutivo appunto di Alfreda.
Se in Alifib questi suoni liberi si sviluppano su una melodia struggente accompagnata da un giro armonico questa volta ben definito, e per questo volutamente diluito nella maniera in cui viene suonato, nel suo seguito Alifie gli stessi suoni sono quasi improvvisati, balbettati, parlati sopra un’improvvisazione di sassofono di Gary Windo.
Il giro di accordi è simile, ma stavolta è più veloce e scandito soprattutto dal pianoforte. E alla fine compare proprio Alfreda Benge, con un testo recitato che richiama ancora l’idea dei suoni prima delle parole. Questo uso libero della lingua e di suoni senza un significato preciso era anche una caratteristica di Ivor Cutler che, come vedremo, ha collaborato alla realizzazione di questo album. Qui di seguito vi propongo l’ascolto di Alifie, il secondo dei brani in sequenza esplicitamente dedicati ad Alfreda Benge. Nell’alternanza al basso di Hugh Hopper e Richard Sinclair, troviamo una nuova linea di connessione fra i brani: in Alifib e Alifie il basso è di Hugh Hopper, mentre negli altri due è Richard Sinclair a suonare le quattro corde.
Un album da non prendere troppo sul serio
In conclusione, io direi che Rock Bottom è un album estremamente serio, ma che non deve essere preso troppo sul serio. Credo che spesso sia questo l’errore più comune, che impedisce a molti di entrare in sintonia con questo capolavoro: l’idea di volerci trovare a tutti i costi qualcosa di profondo, di serio. Ebbene, vi rivelo un segreto, o meglio una mia convinzione: la cosa più profonda e seria che c’è qua dentro è proprio l’atteggiamento sbarazzino, i giochi infantili con le parole, i riferimenti alla favola di Cappuccetto Rosso e poi per assonanza a Robin Hood.
Little Red Riding Hood Hit the Road e Little Red Robin Hood Hit the Road sono due brani indissolubilmente legati, come abbiamo detto. Entrambi chiudono un lato del vinile. Entrambi si avvalgono del basso di Richard Sinclair. Entrambi presentano un riff in una parte del brano. Entrambi sono caratterizzati dalla voce recitante di Ivor Cutler. E nel testo recitato c’è addirittura una parte che viene ripetuta in entrambi i brani.
Qui mi concentrerò sul secondo, Little Red Robin Hood Hit the Road, che chiude l’album. Il brano è organizzato come una sorta di piccola suite, con tre momenti ben distinti. L’inizio è caratterizzato subito da un’altra melodia particolarmente incisiva, intonata immediatamente dalla voce e poi ripresa dalla chitarra. “Nel giardino d’Inghilterra, talpe morte giacciono nei loro buchi… non è un peccato?”: questa è la dichiarazione iniziale del brano. Poi arriva una parte basata su un riff, che in questo caso è affidato alla voce, come nella migliore tradizione del free jazz. Infine, si fa strada un accompagnamento dall’aria folk, su cui compare la voce recitante e monofonica di Ivor Cutler, che con il suo accento fortemente scozzese sembra interpretare la parte del lupo di Cappuccetto Rosso. E qui pare che il lupo e il riccio si alleino per intralciare le macchine di passaggio, passando la giornata a bucare più ruote possibili: un drastico cambio di prospettiva rispetto all’inconsolabile disperazione dell’autista che ha messo sotto un riccio in Little Red Riding Hood Hit the Road! In questo brano conclusivo di Rock Bottom, troviamo anche la chitarra di Mike Oldfield e Fred Frith che suona la viola.
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