Il dilemma della Fura, come stare al passo con un mondo impazzito e restare se stessi

Dicembre 2, 2025 - 21:30
 0
Il dilemma della Fura, come stare al passo con un mondo impazzito e restare se stessi

Signora mia, non ci sono più gli sfrontati provocatori di una volta. A meno che, dimostrare di saper fare anche altro, sia essa stessa una provocazione. Nel ritorno milanese della Fura Dels Baus c’è anche questo. Al pubblico viene consigliato di indossare abiti comodi che potrebbero anche sporcarsi, memori delle passate rappresentazioni della celebre compagnia catalana, capace di tutto e anche di più. 

Invece SONS, il nuovo spettacolo (in programma fino al 14 dicembre a Milano, dopo Buenos Aires e Malaga), da questo punto di vista delude: nessun borghese capitalista verrà maltrattato. Indossate pure quel che vi pare, al limite vi toccherà un po’ d’acqua spruzzata o sputata (ma con delicatezza) e nel finale un tocco di fango, se proprio non riuscite a fare a meno di strusciarvi agli attori/performer. La missione dello spettacolo è resa esplicita nel sottotitolo: Ser o no ser, essere o non essere, cioè una rivisitazione dell’Amleto di Shakespeare. Lo spettacolo si annuncia come “immersivo” e lo è come promesso, a cominciare dalla scelta di fare del pubblico parte della rappresentazione stessa.

Niente poltrone, ma tutti in piedi, scenografia digitale, attori che si aggirano per la sala facendosi strada tra la “folla”, spintonando, sussurrando o gridando, seguiti da videocamere che proiettano sulle pareti la performance e le reazioni degli spettatori, a loro volta protagonisti, coro involontario. Lo spazio post industriale della Fabbrica del Vapore accoglie con le fattezze di una foresta livida: Amleto torna in patria e il fantasma del padre, ucciso dallo zio e tradito dalla moglie, gli viene incontro a chiedere giustizia.

E questo, si sa, è il prologo di una tragedia rappresentata milioni di volte, la Fura però la racconta a modo proprio e la infarcisce di attualità. Il principe di Danimarca si muove in un mondo funestato dai virus, dalle migrazioni, dalle guerre per le risorse vitali. Lo spettacolo si carica di un insistito simbolismo anti-capitalista e persino il monologo più famoso della storia del teatro diventa un invito a uscire dalla propria comfort zone, magari rivolto alla stessa Fura in cerca di nuove forme drammaturgiche.  

Lo sforzo degli attori è enorme: recitano in italiano (e non lo sono), volteggiano a lungo a qualche metro d’altezza imbragati e avvolti nel cellophane. Lottano a colpi di bottiglioni, si arrampicano, strisciano infangati nella scena finale, perché non bisogna dimenticarlo nell’Amleto tranne Orazio muoiono tutti. «È una riflessione collettiva e fisica sul nostro tempo» ha detto il regista e cofondatore della compagnia Carlus Pedrissa, ma è quando lo spettacolo torna all’essenza del testo che dà il meglio. Nel monologo di Amleto, sospeso a mezz’aria e costretto in una simbolica cover di plastica o nella morte di Ofelia, annegata in una vasca trasparente colma d’acqua. O ancora nella scelta di reinserire i siparietti comici della più antica tradizione shakepeariana, con la rottura della quarta parete affidata a un finto tecnico di sala che spiega al pubblico il senso dell’essere o non essere. Finalmente in parole povere.

L'articolo Il dilemma della Fura, come stare al passo con un mondo impazzito e restare se stessi proviene da Linkiesta.it.

Qual è la tua reazione?

Mi piace Mi piace 0
Antipatico Antipatico 0
Lo amo Lo amo 0
Comico Comico 0
Furioso Furioso 0
Triste Triste 0
Wow Wow 0
Redazione Redazione Eventi e News