Il piano di pace di Trump va cambiato e reso accettabile da parte dell’Ucraina, dice Crosetto

Il sistema internazionale si sta ristrutturando attorno a nuove linee di frattura: il piano di Donald Trump per l’Ucraina, la guerra in Medio Oriente, l’instabilità che attraversa l’Europa. In questo scenario, non possiamo dimenticare che dietro queste storie di crisi ci sono i civili, persone che dalla guerra e dalle crisi vengono investite senza possibilità di risposta. È l’approccio con cui il ministro della Difesa Guido Crosetto ha parlato al Corriere della Sera: «Noi dobbiamo ricordare che da milletrecento giorni muoiono in guerra tra i milleduecento e i millecinquecento russi e ucraini ogni giorno», dice. E il dato dà subito il tono dell’intervista.
Crosetto ha parlato durante la quinta edizione di CasaCorriere Festival presso il Palazzo Reale a Napoli. Sul piano Trump, Crosetto non lo respinge del tutto. Ne vede i limiti, ma anche la necessità: «Ho sentito molte critiche, io stesso ne ho fatte. Il tema è che si inizia sempre da qualcosa. Quindi la parte buona è che qualcuno abbia deciso di provare a discutere su una proposta. Ora va cambiata, va resa accettabile da parte dell’Ucraina in primis. Ma dobbiamo farlo a tutti i costi». La posizione è pragmatica: la pace non nasce dal desiderio, ma da un negoziato che abbia due parti disposte a riconoscersi. E la Russia in questo non ha mai dimostrato aperture.
Quando gli viene chiesto se le inchieste per corruzione che hanno colpito Kyjiv indeboliscano Zelensky al tavolo negoziale, il ministro non si sottrae. Dopotutto l’inchiesta è prova di vitalità istituzionale, non di fragilità. «C’è un’Ucraina che ha grandissimi spazi di corruzione e che ha gli anticorpi per colpirla», dice Crosetto, e definisce la scelta dell’ex capo di gabinetto Yermak – «ok mi dimetto immediatamente, sono innocente, aspetto la verità, ma mentre aspetto la verità vado a combattere al fronte come soldato» — è il modo giusto di reagire. E questo ha dato più forza a Zelenksy. Un passaggio che suona, indirettamente, come un segnale anche per l’Europa: chi invoca la trasparenza deve poi riconoscere quando questa lavora davvero.
Poi si torna sull’Italia, sulle tensioni diramate dalla situazione a Gaza, con gli attacchi ai giornali (a partire da quello alla Stampa di sabato) e la violenza ai margini delle manifestazioni. Qui Crosetto è categorico, senza sfumature: «Non posso spiegarmelo anche perché in gioco ci sono le garanzie costituzionali che concedono a ognuno di noi il diritto e il dovere di rappresentare le proprie idee ma che hanno dei limiti: la sicurezza altrui, la proprietà altrui, la libertà degli altri. Io non penso che esista alcuna idea, se non quelle che mi auguravo fossero cancellate per sempre del nazismo e del fascismo, secondo cui per affermare le proprie convinzioni bisogna entrare nella redazione di un giornale e distruggere quel giornale o gridare “diamo una lezione ai giornalisti”. Non si danno lezioni ai giornalisti, non si danno lezioni ai politici con la violenza, non si danno lezioni ai poliziotti, ai carabinieri, a nessuno».
L’intervista è una sorta di manifesto di metodo: autonomia di giudizio, durezza di analisi, e la volontà di riportare la politica e l’opinione pubblica a un terreno di responsabilità. Si vede quando definisce «un’occasione mancata» la scelta dell’Università di Bologna di non aprire un corso agli ufficiali dell’esercito. O quando parla della leva volontaria, dopo le discussioni della settimana scorsa. Per Crosetto «l’idea è quella di una forza che si attiva in caso di necessità, non necessariamente militare. Penso a un attacco cyber che paralizza una centrale elettrica, un acquedotto, un aeroporto e ho necessità di specialisti, anche civili, che intervengano».
Ma in ogni caso siamo nelle fasi embrionali dell’idea. «Porterò in Consiglio dei ministri una proposta costruita dai tecnici della Difesa da approvare in Parlamento», ha concluso il ministro. «Bisogna fare in fretta, io sono disponibile a essere presente per due mesi. Ascolteremo i tecnici, ma voglio che tutte le informazioni che ho io, tutte le paure anche che ho io, siano trasferite a chi ha il compito di rappresentare il popolo, che è il potere legislativo, e inviterò loro ad assumersi la responsabilità di decidere insieme come costruiamo la difesa del futuro, come diamo sicurezza all’Italia non adesso, non domani, ma nella prospettiva dei prossimi 10 e 20 anni. Penso che questa sia una cosa che non riguarda una maggioranza, non riguarda un partito politico, ma riguarda la sicurezza di una nazione».
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