Indie Soul – Episodio #26
La bellezza di una rubrica come Indie Soul sta nella sua capacità di mettere insieme racconti ed esperienze molto diversi tra loro. È successo nell’ultima puntata, che potete recuperare a questo link, e allo stesso modo avviene anche oggi con il terzetto che vi mostriamo nel nuovo episodio della rubrica di GameSoul.it dedicata ai titoli indipendenti.
Partiamo con il ritmo giusto fondendo musica e roguelite nelle battaglie di Devil Jam per poi fare un grande respiro, rallentare, ed entrare in sintonia con il mondo quasi silenzioso di A Pizza Delivery. La chiusura invece è affidata a 1998: The Toll Keeper Story, un titolo costruito su tensione ed empatia.
Vi ricordiamo che questi giochi sono disponibili solo in digitale, ma che da gamelife potete acquistare credito per PlayStation Store, Nintendo eShop, Microsoft Store e Steam, in negozio e online.
Ora è tempo di scoprire questo terzetto di indie: via con il ventiseiesimo appuntamento di Indie Soul!
Da quando Vampire Survivors è esploso come un meteorite nel panorama videoludico, il genere dei cosiddetti “survivor-like” si è moltiplicato a velocità diabolica. È bastato un piccolo titolo indipendente per far rinascere la voglia di sopravvivere a ondate di nemici apparentemente infinite, armati solo di potenziamenti e un pizzico di follia. Ed è proprio in questa scia infernale che arriva Devil Jam, un titolo firmato dai belgi di Rogueside, che prende l’essenza del genere e la butta dritta in un frullatore pieno di chitarre distorte, riff assassini e demoni coi capelli lunghi. Già dal titolo capisci che non si tratta del solito clone di Vampire Survivors: Devil Jam è un omaggio urlante e sguaiato all’estetica metal, un viaggio sonoro e visivo nel cuore dell’inferno, dove ogni colpo che infliggi e ogni esplosione che scateni si fonde perfettamente con il ritmo della musica.
Il protagonista, un antieroe che sembra uscito da un concerto dei Pantera dopo aver rubato il guardaroba a Dante di Devil May Cry, si ritrova catapultato in arene infernali, circondato da orde di peccatori, mostri e vari riferimenti ai Sette Peccati Capitali. L’obiettivo, come sempre, è sopravvivere il più a lungo possibile, ma in Devil Jam la sopravvivenza è solo la base: qui si tratta di distruggere a tempo di musica. L’idea geniale del gioco è proprio questa: ogni arma e abilità che sblocchi viene collocata su una griglia — che ricorda una chitarra — e ogni slot della griglia rappresenta una “nota”. Quando tutto si allinea, le armi si attivano al ritmo della colonna sonora, creando un’armonia visiva e sonora che trasforma l’arena in un concerto infernale. È un bullet heaven nel senso più letterale possibile: proiettili, esplosioni e urla metal si fondono in un caos ritmico che riesce a essere stranamente ipnotico.

C’è un sistema di livellamento e progressione ben più profondo di quanto sembri a prima vista. All’inizio, come da tradizione del genere, si muore tanto e spesso, ma ogni sconfitta ti restituisce una valuta che può essere spesa per sbloccare nuove abilità, armi o potenziamenti permanenti. Con il passare delle partite, la tua griglia si riempie di amplificatori, riff, passivi e modificatori che interagiscono tra loro in modi sempre più complessi. Posizionare correttamente le abilità diventa una vera e propria arte: basta spostare un potenziamento di una casella per ottenere effetti completamente diversi, e trovare la sinergia perfetta fra strumenti, buff e poteri diventa il cuore pulsante del gameplay. Non c’è bisogno di mirare o premere tasti furiosamente: il vero segreto è sentire il ritmo, seguire la musica e far sì che il tuo arsenale suoni come una sinfonia di distruzione.
Il lato artistico è un altro punto forte: Devil Jam è completamente disegnato a mano, con uno stile 2D che mescola ironia e inferno gotico. Le animazioni sono semplici ma funzionali, e il design dei nemici, ispirato ai peccati capitali, va dal grottesco al quasi comico. Ogni livello sembra uscito da una copertina di album metal anni ’90, pieno di croci infuocate, demoni tatuati e chitarre che grondano sangue. E naturalmente, la colonna sonora è il vero motore dell’esperienza: ogni run è accompagnata da riff martellanti, assoli urlanti e un groove infernale che cresce d’intensità man mano che la battaglia si scalda. È impossibile non muovere la testa a tempo mentre si disintegra un’orda di mostri sulle note di un breakdown.

Certo, Devil Jam non è privo di difetti. Le prime partite possono sembrare lente, quasi scoraggianti, e il sistema di progressione iniziale dà l’impressione di farti arrancare prima di raggiungere la piena potenza. Ma una volta sbloccate le prime sinergie e riempita la tua “fretboard” con armi e amplificatori, il gioco decolla. È quel genere di titolo che ti costringe a dire “solo un’altra run” e poi ti ritrovi a guardare l’orologio alle tre del mattino, con un sorriso e un fischio nelle orecchie. In un panorama ormai saturo di survivor-like, Devil Jam riesce a distinguersi per stile, ritmo e identità. È rumoroso, esagerato, a tratti caotico — ma tremendamente divertente.
Devil Jam è attualmente disponibile su Steam, ma è in arrivo in futuro anche su console.
A cura di Amedeo Davit
A Pizza Delivery è l‘opera prima dello sviluppatore Eric Osuna, che ha voluto esordire con un’esperienza incentrata sulle connessioni e, in particolare, sul concetto della memoria e della capacità di lasciar andare, di muoversi oltre quel qualcosa che ci tiene ancorati lì dove siamo – un limbo tutto nostro nel quale attardarci, ancora legati a quel ricordo o evento che ci impedisce di proseguire. Temi tutt’altro che semplici, o facili da restituire, nei quali lo sviluppatore si muove abbastanza bene, seppur non sempre riuscendo a trasmettere la profondità del discorso o della connessione che nei panni della protagonista sviluppiamo con i vari personaggi.
Il gioco ci porta a vestire i panni di B, una fattorina in procinto di consegnare l’ultima pizza della giornata. Guidata, tramite chiamate da un telefono pubblico, dal suo committente a una destinazione che non sembra mai avvicinarsi davvero, B attraversa ambientazioni diverse e che sembrano rappresentare degli stadi: non mi è chiaro se della vita, o se siano un riflesso del suddetto percorso di accettazione che vede la stessa B coinvolta, ma è evidente come sia una graduale progressione dal giorno alla notte fino a una nuova alba. Ciascuno di questi momenti porta con sé un breve incontro con un personaggio, al quale possiamo anche offrire una fetta di pizza come a esortarlo ad andare avanti, a non lasciarsi incatenare dal suo passato.

Nel corso dell’intera esperienza, della durata di circa un paio d’ore se ci si perde anche nella ricerca dei vari collezionabili, B dovrà inoltre risolvere più o meno semplici puzzle, alcuni dei quali anche facoltativi, per proseguire il suo viaggio o scoprire segreti nascosti. Sono enigmi che non richiedono particolare pensiero laterale, solo una buona capacitò di osservazione per trovare quanto ci serve a proseguire. In sella al nostro fidato scooter, che solo in alcuni brevissimi frangenti non è utilizzabile obbligandoci a muoverci a piedi, intraprendiamo un viaggio in un mondo surreale, uno spazio liminale dove, appunto, troveremo altri come noi e impareremo che i nostri trascorsi ci definiscono ma non devono trattenerci.
Le ambientazioni e le musiche sono piuttosto suggestive, mentre il loop di gameplay è un po’ limitato, non accordandosi spesso alla profondità narrativa; quest’ultima, a sua volta, pur toccando alcune corde avrebbe beneficiato di un po’ meno cripticità a carattere generale e di un tempo maggiore in compagnia dei vari personaggi sul cammino di B, per permettere alle loro storie (raccontate sia a parole sia attraverso i loro oggetti) di sedimentare meglio dentro di noi. Il rischio è che si trasformino in incontri troppo di passaggio, quasi dei passaggi obbligati nella nostra strada verso la meta finale.

A Pizza Delivery risulta, nel complesso, un gioco dal quale traspaiono le intenzioni dell’autore ma che non sempre, nel breve tempo necessario a completarlo, riesce a tenere fede alle stesse. Cionondimeno può regalare qualche momento di introspezione, coadiuvato dalle sue ambientazioni e dalla musica che accompagna la nostra ultima consegna.
A Pizza Delivery è disponibile su Steam, PlayStation5 e Xbox Series
A cura di Alessandra Borgonovo
1998: The Toll Keeper Story è un chiaro tributo a un famosissimo gioco del 2013: Papers, please. Per chi non conoscesse questa chicca indie di Lucas Pope, si tratta di un gioco di simulazione in cui i giocatori vestono i panni di un ispettore di frontiera, addetto al controllo immigrazione in un paese fittizio piagato da una difficile situazione politica. Ovviamente la posizione del protagonista è fondamentale e a seconda delle decisioni prese può influenzare in svariati modi lo sviluppo della storia: tra terroristi, spie e famiglie in fuga, le scelte morali non mancano.
In 1998: The Toll Keeper Story, cambia il lavoro, ma non il concetto. Questa volta la protagonista è un giovane donna incinta di nome Dewi, addetta al casello di una tratta autostradale nel paese di Janapa. Ispirandosi ai momenti di tensione vissuti durante la crisi finanziaria del 1998 nel SudEst asiatico, lo studio di sviluppo indonesiano GameChanger ha voluto raccontare la storia della nascita e la crescita dei tumulti, delle proteste studentesche e delle riforme del periodo.

Ogni giorno, Dewi si reca a lavoro, ogni giorno una nuova nota del suo molesto boss la informa di una neo-introdotta regolamentazione volta a frenare le proteste: controlla i documenti, ispeziona le auto che superano un certo peso, segnala chi è in possesso di banconote false. Ogni giorno il parto si avvicina, l’affitto aumenta, la situazione si fa sempre più instabile e pericolosa. Sempre più persone arrivano al casello senza abbastanza soldi per pagare, con targhe truccate e protestanti a bordo.
Impiegando i vari strumenti messi a disposizione, i giocatori dovranno assicurarsi che tutto sia a norma, ed ogni trasgressione che falliranno di notare costerà una detrazione dalla paga giornaliera. Sarà anche possibile aiutare le persone in difficoltà aggiungendo i soldi in cassa direttamente dal portafoglio di Dewi: di fatto, ogni scelta avrà un costo e una conseguenza, che si paleserà con il giornale del mattino. La narrazione avanzerà così, tra una pagina di giornale, una chiacchierata al casello (che però attenzione, costa tempo e quindi denaro), e delle sequenze in stile visual novel alla fine di ogni giornata lavorativa. A incorniciare il tutto, il diario che Dewi scrive ogni sera.

Sicuramente 1998: The Toll Keeper non è un gioco “divertente”, ma piuttosto “tassante”, che mostra un periodo storico difficile cercando di fare empatizzare i giocatori con chi ha vissuto quei momenti di incertezza, paura e riforma. A questo scopo la scelta della protagonista è magistrale, mettendo davanti agli occhi non un eroe stellato pieno di sentimento patriottico, ma piuttosto una donna che desidera solo una vita tranquilla e un figlio sano, e vive invece nel terrore che tutto ciò che ha costruito fino a quel momento possa svanirle tra le dita. Quanto è importante mantenere l’integrità morale quando il pericolo è di non riuscire a pagare l’affitto? Il cibo? Le cure mediche per un figlio nascituro?
Sta a voi decidere. Quali battaglie sceglierete di combattere? Quali persone deciderete di aiutare? Ne varrà la pena? Se ve la sentite, mettete alla prova la vostra morale e il vostro giudizio in 1998: The Toll Keeper; un semplice gioco di simulazione, in cui il futuro di una donna, la sua famiglia e forse un intero paese sono nelle vostre mani. Auguri, e figli sani!
1998: The Toll Keeper Story attualmente è disponibile su Steam
A cura di Giada Mattiolo
Al prossimo appuntamento con Indie Soul!
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