La nuova serie di Ryan Murphy, che conta nel cast i nomi di Kim Kardashian e Naomi Watts, ha suscitato reazioni contrastanti tra il dissenso della critica e il successo dei numeri

Dicembre 2, 2025 - 12:02
 0
La nuova serie di Ryan Murphy, che conta nel cast i nomi di Kim Kardashian e Naomi Watts, ha suscitato reazioni contrastanti tra il dissenso della critica e il successo dei numeri

Sentenza definitiva: le recensioni della critica su All’s Fair, la nuova serie di Ryan Murphy con Kim Kardashian protagonista, sono impietose.

Kim Kardashian a Venezia 2025 con due look audaci

Appena approdata su Disney+, questo legal drama patinato ha subito raccolto uno 0% di gradimento su Rotten Tomatoes, evento talmente raro da far parlare persino i grandi quotidiani internazionali. The Times la definisce «la peggior serie televisiva di sempre», stroncando la sceneggiatura come «degna di un bambino che non sa scrivere nemmeno “culo” sul muro», mentre altre testate hanno assegnato il voto zero, commentando con sgomento: «Non pensavo fosse ancora possibile fare una serie così brutta… terribile in modo affascinante, incomprensibile, esistenziale».

In sintesi: un massacro unanime, tanto che All’s Fair è descritta come un crimine contro l’umanità televisiva, così orrenda da sembrare uno scherzo. Eppure, incredibilmente, è già stata confermata per una seconda stagione. 

Kim Kardashian e Naomi Watts sul set di “All’s Fair”, la nuova discussa serie di Ryan Murphy approdata su Disney+ (Courtesy of Disney+)

Ai confini della decenza

Sulla carta sembrava avere tutte le carte in regola per il successo: Murphy immaginava un legal drama glam e camp, una via di mezzo tra Suits e The Good Wife al femminile. Tre avvocate brillanti (Kim Kardashian, Naomi Watts, Niecy Nash-Betts) fondano uno studio per difendere donne in cerca di divorzio dai mariti ricchissimi. Il risultato doveva essere un trionfo di girl power e lusso, con dialoghi frizzanti e vendette al veleno: insomma, terreno ideale per il melodramma kitsch e trash tipico di Murphy. Ma la resa sullo schermo è tutt’altra. All’s Fair si rivela subito per quel che è: un pasticcio sgradevole dove nulla funziona, dai dialoghi ai personaggi stereotipati, fino a una recitazione tanto artificiale da risultare involontariamente comica.

Le battute, che vorrebbero essere pungenti, spesso scivolano nel ridicolo: «Il mio volo è stato turbolento come il mio umore», dice Liberty (Naomi Watts) entrando in scena. «Lui è possessivo come un lupo», sospira una cliente parlando del marito milionario.

Per “All’s Fair” Murphy immaginava un legal drama glam e camp: tre avvocate brillanti (Kim Kardashian, Naomi Watts, Niecy Nash-Betts) fondano uno studio per difendere donne in cerca di divorzio dai mariti ricchissimi (Courtesy of Disney+)

La recitazione non migliora il quadro. Kardashian, al suo primo ruolo da protagonista, è inespressiva come previsto: inutile ma innocua come un comodino. Watts si limita a pose e smorfie, mentre Sarah Paulson è costretta a urlare battute nonsense che metterebbero in difficoltà anche un’attrice navigata.

Nemmeno Glenn Close riesce a salvarsi. Lo script e la regia sono altrettanto disastrosi, tanto che un recensore si domanda: «Come si può avere Glenn Close, Naomi Watts e Sarah Paulson in una serie che riesce comunque a fare schifo al punto da meritare 0%?».

Divorzi in #adv e scollature da pretura

La serie, invece di approfondire le dinamiche legali e personali, si perde in una sfilata di product placement e ostentazione di ricchezza: ogni scena è un tributo a marchi di lusso e capricci da super-ricchi, in una celebrazione dello sfarzo fuori tempo massimo. «Prendiamo quei beauty-case Goyard e cominciamo a riempire!», esclama una, mentre un’altra si entusiasma per un pezzo di antiquariato glamour.  A Kim Kardashian/Allura Grant non è richiesto di recitare, ma solo di apparire tosta in hi-res, cosa che potrebbe fare tranquillamente dormendo su Instagram.

Se la critica ufficiale ha demolito All’s Fair, il pubblico si è sbizzarrito in meme e commenti sarcastici. Scene particolarmente assurde sono subito rimbalzate sui social, accompagnate da battute al vetriolo. «È talmente brutto che sto ridendo fino alle lacrime», scrive qualcuno. «Fa sembrare Beautiful roba da Emmy», ironizza un altro. Su Reddit, qualcuno ha osservato: «Ha Glenn Close e Naomi Watts, ma sta comunque allo 0%… Nessuno vuole vedere una miliardaria che non sa recitare andare in giro in Ferrari».

In Italia, c’è chi paragona la serie alla mitologica The Lady di Lory Del Santo: il trash è talmente surreale da provocare uno straniante piacere nello spettatore. Persino Rolling Stone ha notato che la serie è «così esageratamente levigata ed errata da sembrare una parodia intenzionale».

Ma la domanda resta: com’è possibile che sia stata già rinnovata? La risposta, purtroppo, è nei numeri: nei primi tre giorni dal debutto ha totalizzato oltre 3,2 milioni di spettatori in streaming, il miglior esordio su Hulu negli ultimi tre anni. Il clamore, anche negativo, ha portato a un successo di pubblico; la curiosità morbosa ha spinto molti a guardarla, un po’ per gusto trash, un po’ per far parte della conversazione online. Ha cavalcato il clamore ordinando subito nuovi episodi.

La serie ha suscitato non poche critiche da parte dell’opinione pubblica e della critica, ma il successo le è stato comunque garantito dai numeri: nei primi tre giorni dal debutto ha totalizzato oltre 3,2 milioni di spettatori in streaming, il miglior esordio su Hulu negli ultimi tre anni (Courtesy of Disney+)

C’è poi una riflessione più profonda: Ryan Murphy, autore navigato, potrebbe averlo fatto apposta. Si dice spesso che “non esiste cattiva pubblicità”, e qui di pubblicità ne è stata fatta eccome. Murphy ha scelto la celebrità più discussa come protagonista, circondandola di stelle di prim’ordine, forse proprio per creare un evento pop trash destinato a far parlare. Il risultato è un cocktail stridente che diventa irresistibile per la conversazione collettiva.

Femminismo o travestitismo?

Ma sotto la superficie scintillante c’è un messaggio pseudo-femminista distorto: in teoria All’s Fair dovrebbe essere un inno alla sorellanza, donne forti che aiutano altre donne a liberarsi da mariti prevaricatori. In pratica, però, il risultato è offensivo: l’empowerment femminile diventa caricatura, una parata di donne bellissime, vestite di tutto punto, che agiscono in modo superficiale e meschino.

Solidarietà e crescita personale lasciano il posto a figurine patinate che ottengono ciò che vogliono con l’inganno e il ricatto, esattamente come gli uomini che dicono di combattere. Le caratterizzazioni sono antiquate, come quella di Emerald (Niecy Nash), scritta nel solito stereotipo della Black Woman forte, vistosa e rumorosa.

Kim Kardashian, invece, sembra una Wonder Woman senz’anima, talmente perfetta da sembrare creata da un’intelligenza artificiale. Il momento clou, quando il suo personaggio Allura (no, non è slang milanese) confessa «Ho fallito, odio fallire», dura giusto il tempo di una storia Instagram, prima di tornare a marciare verso il prossimo jet privato.

Kim Kardashian e Niecy Nash in “All’s Fair” (Courtesy of Disney+)

L’idea di empowerment è talmente distorta da far vergognare perfino le Spice Girls: più che Girl Power, sembra un fantasy reazionario dove l’emancipazione femminile diventa macchietta.

All’s Fair non è solo una brutta serie, ma è potenzialmente dannosa: prende temi fondamentali come sessismo, diritti delle donne e squilibri di potere, li trasforma in un cocktail tossico di cliché e cattivo gusto, e li serve come se fossero emancipazione. In realtà il messaggio che passa è l’opposto, quasi una parodia creata da chi odia il femminismo. Viene il sospetto che proprio questo sia uno dei motivi del suo successo sotterraneo: chi mal digerisce le conquiste delle donne trova in All’s Fair la conferma rassicurante che le cosiddette femministe sono in fondo ipocrite assetate di denaro e vendetta.

A fronte del discusso successo della prima, “All’s Fair” è stata rinnovata per una seconda stagione (Courtesy of Disney+)

In definitiva, All’s Fair è il cavallo di Troia perfetto: si presenta con buone intenzioni progressiste, ma dentro nasconde un contenuto velenoso che ridicolizza le stesse donne che pretende di celebrare. Arriva in un’epoca in cui la rappresentazione femminile in TV ha fatto enormi progressi e il pubblico chiede personaggi complessi e autentici. All’s Fair sembra ignorare tutto ciò, travestendo la frivolezza da empowerment e usurpando il linguaggio della parità per vendere un prodotto regressivo. Il risultato è un circo kitsch dove i valori femministi vengono svuotati e stereotipati, facendo il gioco di quel contraccolpo conservatore che ama dipingere i movimenti per la parità come barzellette estreme.

Alla fine, resta solo una domanda: perché continuare a dare spazio a prodotti che fingono di sostenere una causa progressista e invece la tradiscono? All’s Fair avrà pure fatto parlare di sé, divertito e scandalizzato, ma se questo è il futuro del femminismo pop in TV, c’è da preoccuparsi.

The post “All’s Fair”: una catastrofe (anti)femminista di successo appeared first on Amica.

Qual è la tua reazione?

Mi piace Mi piace 0
Antipatico Antipatico 0
Lo amo Lo amo 0
Comico Comico 0
Furioso Furioso 0
Triste Triste 0
Wow Wow 0
Redazione Redazione Eventi e News