La responsabilità sulla nomina dell’ufficio di staff in aspettativa e senza laurea
lentepubblica.it
In una recente pronuncia della Corte dei Conti, analizzata dall’Avvocato Maurizio Lucca, si fa luce sulla responsabilità sulla nomina dell’ufficio di staff in aspettativa e senza laurea.
La sez. I Appello della Corte dei conti, con la sentenza n. 187 del 27 novembre 2025 (relatore LONGO), conferma la responsabilità per l’illegittima nomina dell’ufficio di staff (ex art. 90, Uffici di supporto agli organi di direzione politica, del d.lgs. n. 267/2000, TUEL) da parte della giunta comunale e del dirigente che ha assistito ed espresso il parere favorevole, confermando, altresì, la piena giurisdizione contabile sulle scelte quando sono contrarie alle regole del diritto (nello specifico, i canoni della buona amministrazione, dovendo le scelte ispirarsi ai criteri di economicità, di efficienza e di efficacia, che costituiscono specificazione e corollario del più generale principio sancito dall’art. 97 Cost. e assumono rilevanza sul piano della legittimità, non della mera opportunità), equiparando il trattamento economico a quello di un dirigente pur non avendone il titolo (la laurea) [1].
A ben vedere, il Giudice erariale non ha compiuto (traslando il potere) alcuna diretta e concreta valutazione dell’opportunità e della convenienza dell’atto, senza alcuna invasione sul limite dell’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali (c.d. riserva di amministrazione), ex art. all’art. 1, comma 1, della legge n. 20 del 1994, avendo applicato la legge.
La valutazione delle scelte
Sotto questo ultimo aspetto, è sufficiente rammentare che l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali compiute da soggetti sottoposti, in astratto, alla giurisdizione della Corte di Conti, non ne comporta la sottrazione a ogni possibile controllo.
Infatti, l’insindacabilità nel merito non priva la Corte dei conti della possibilità di accertare la conformità alla legge dell’attività amministrativa, verificandola anche sotto l’aspetto funzionale, in ordine, cioè, alla congruità dei singoli atti compiuti rispetto ai fini imposti, in via generale o in modo specifico, dal legislatore: un accertamento che l’attività svolta si sia ispirata a criteri di ragionevole proporzionalità tra costi e benefici, con la conseguenza che non sussiste nessuna violazione dei limiti esterni qualora il Giudice erariale censuri, non già la scelta amministrativa adottata, bensì il modo con il quale quest’ultima è stata attuata, profilo che esula dalla discrezionalità amministrativa, dovendo l’agire amministrativo comunque ispirarsi a criteri di economicità ed efficacia [2].
La condotta censurata
In questo senso, la Corte d’Appello rigetta il ricorso contro la decisione di primo grado, confermando la responsabilità della giunta comunale (a titolo di dolo) e del dirigente (colpa grave in presenza di una lettura della norma sufficientemente chiara, nel senso contrario a quello assentito) di modifica dell’ufficio di staff del Sindaco con l’inserimento di una figura apicale [3], dove un dipendente dell’Amministrazione (collocato in aspettativa) è stato assunto con un contratto a tempo determinato, con riconoscimento di un trattamento retributivo in misura difforme rispetto ai contratti collettivi, analoga a quella dirigenziale, pur in assenza del prescritto titolo di studio, in violazione, anche sotto questo aspetto, delle previsioni di legge che esigono la laurea:
- il dipendente doveva essere collocato (doveva rimanere) nella qualifica di appartenenza (categoria D) e non in quella dirigenziale (aspetto disciplinato direttamente del TUEL);
- il dipendente doveva essere assegnato all’Ufficio di staff, con il mantenimento della propria qualifica e retribuzione.
In termini diversi, è stata censurata l’anomala collocazione in aspettativa e il trattamento economico dirigenziale rispetto all’ordinaria destinazione, con atto interno, del dipendente all’ufficio di staff, senza operare una «ingiustificata ed illegittima duplicazione del rapporto di lavoro tra il Comune» e dipendente: «in caso di collocamento in aspettativa, infatti, il rapporto di lavoro non viene meno, né si interrompe: l’istituto dell’aspettativa, come è noto, pone il rapporto di lavoro in una fase di quiescenza, sospendendo l’obbligo di resa della prestazione lavorativa e, in taluni casi, anche quello della controprestazione economica, con diritto alla conservazione del posto di lavoro» (aspetto contrario anche alla disciplina generale, ex art. 65, Divieto di cumulo di impieghi pubblici, del DPR 3 gennaio 1957, n. 3 (richiamato dall’art. 53 del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165).
Invero, la normativa sul pubblico impiego prevede per l’assunzione di incarichi presso altre (non certo, di norma, in quella di appartenenza) Amministrazioni, l’impiego degli istituti giuridici:
- del collocamento “fuori ruolo” (ex 58, DPR n. 3/1957);
- dell’“aspettativa” (ex 23 bis del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165).
Criteri seguiti anche dalla disciplina regolamentare del Comune, che indicava come criterio prioritario l’assegnazione con personale interno, salvo il ricorso all’esterno con contratto a tempo determinato e in possesso dei titoli di studio richiesta dal posto da ricoprire [4].
La norma gemma un criterio di priorità per il ricorso al personale interno, poiché gli uffici in questione devono essere costituiti da dipendenti dell’Ente, e anche ove ammette il ricorso a collaborazioni di soggetti esterni, salvo che per gli enti dissestati o strutturalmente deficitari, considera che la scelta di tali soggetti possa cadere su dipendenti di altra pubblica amministrazione: in sostanza, un criterio di gradualità, che privilegia il personale già in forza all’Ente (e alla PA) e che appare del tutto coerente con l’esigenza di un contenimento della spesa pubblica, esplicitamente affermata a proposito degli enti dissestati o strutturalmente deficitari ma che non può ritenersi limitata a questi ultimi [5].
L’aspettativa
A rafforzare la decisione il precedente [6], secondo il quale l’art. 90 TUEL, quando cita la «possibilità di collocazione in aspettativa senza assegni del personale assunto con contratto di lavoro a tempo determinato», deve intendersi riferito ai dipendenti di una PA diversa da quella che ne dispone l’assunzione temporanea presso l’ufficio di diretta collaborazione.
Nell’insieme, viene chiarito che la nomina, con il trattamento economico dirigenziale, oltre a violare le norme di legge, si pone in contrato con la disciplina interna, la quale viene interpretata (nell’insieme) in modo del tutto erroneo.
Condotta dolosa
Il Giudice di seconde cure, conferma la condotta dolosa dei componenti di Giunta comunale che hanno espresso voto favorevole (all’unanimità), in base alle seguenti considerazioni fattuali e giuridiche:
- una serie di indicazioni scritte da parte Segretario comunale che l’incarico dirigenziale esige il possesso del titolo di studio (presupposto indelebile di legge);
- le segnalazioni della Procura regionale relative a ben tre richieste istruttorie attinenti alla responsabilità amministrativa in relazione al suddetto incarico dirigenziale, ex 110 del TUEL, al dipendente sprovvisto di laurea (anche con invito a dedurre);
- la singolare interpretazione del dato normativo operata nel provvedimento giuntale per collocare in aspettativa il proprio dipendente e stipulare con il medesimo un contratto di lavoro a tempo determinato, con retribuzione dirigenziale;
- la determinazione “sartoriale” dei requisiti per il conferimento, escludendo la necessità del diploma di laurea, pur attribuendo la retribuzione dirigenziale;
- l’adozione della deliberazione «il giorno dopo la cessazione dal servizio del segretario comunale… senza attendere l’entrata in servizio del nuovo segretario comunale» (sic), con parere del dirigente preposto, e copertura finanziaria per un incarico ex 110 (già ricoperto dal dipendente), in luogo dell’art. 90 TUEL.
La prova del dolo (“coscienza e volontà”) viene ancorata al modus procedendi, a quell’apprezzamento dell’intera vicenda e delle sue circostanze attraverso le quali viene acclarato l’atteggiamento teso a raggiungere, secondo comuni regole di esperienza (id quod plerumque accidit), la rappresentazione univoca e la volontà del fatto illecito [7].
Il quantum del danno
Il danno viene parametrato all’esborso tra la qualifica dirigenziale e quella dovuta per la qualifica effettivamente ricoperta, al lordo delle ritenute fiscali Irpef operate a titolo di acconto sugli importi liquidati a tale titolo, non accogliendo una presunta utilità per l’Amministrazione.
La compensatio lucri cum damno esige:
- l’accertamento dell’effettività dell’utilità eccepita;
- la riscontrabilità di un medesimo fatto generatore determinante sia del danno che del vantaggio, in relazione dunque con la condotta contestata;
- la valutazione-appropriazione dell’utilità da parte della PA;
- la rispondenza dell’utilità ai fini istituzionali dell’Ente.
Valutando che l’incarico di staff non esige attività di natura gestionale, attività quest’ultima effettuata in precedenza dal dipendente, ed inoltre la spesa ha contribuito a sforare il tetto di spesa del personale a tempo determinato, costituendo “illecito disciplinare e determina responsabilità erariale” (ex art. 9, comma 28, DL. 78/2010), mancando i presupposti e la richiesta della difesa viene respinta, compresa la richiesta di riduzione dell’addebito (esimente politica per l’oggettivo disvalore della condotta), mentre viene corretto l’errore materiale sulla quantificazione del dovuto.
Osservazioni
La vicenda e i fatti, che hanno suscitato un evidente clamore, non merita ulteriore commento, serve solo annotare che la mancata applicazione del potere riduttivo in presenza di condotta dolosa manifesta tutta la forza negativa nell’immagine operosa della PA, dove la piena consapevolezza dell’antigiuridicità, considerata anche la reiterazione delle condotte illecite, non ha impedito di arrestare l’azione, con un solare ripensamento.
La retribuzione dirigenziale non poteva essere erogata, ma ugualmente veniva riconosciuta attraverso un artificioso e illegittimo impiego dell’istituto giuridico previsto dall’art. 90 del TUEL, una specchiata elusione, un disprezzo alle regole di disciplina (o forse altro, sicuramente non una fatalità).
Note
[1] Cfr. Corte conti, sez. III Appello, 12 luglio 2017, n. 352. Vedi, LUCCA, Danno erariale di un’assunzione di un dirigente senza laurea, lentepubblica.it, 11 dicembre 2023, a commento della sentenza Corte conti, sez. I Appello, 1° giugno 2023, n. 252.
[2] Cass. civ., SS.UU., sentenza n. 6462 del 2020.
[3] La previsione dell’art. 90 del d.lgs. n. 267/2000, in materia di contratti a tempo determinato per uffici posti alle dirette dipendenze degli organi politici (Sindaco, Presidente della Provincia, Giunta o Assessori), configura una disciplina speciale rispetto alla normativa generale sui contratti a termine, disciplinata dal d.lgs. n. 368/2001: l’intuitus personae e la funzione fiduciaria caratterizzano tali contratti, rendendoli non soggetti ai limiti temporali e alle condizioni del citato decreto legislativo, Cass. civ., sez. lav., Ordinanza, 7 agosto2024, n. 22334.
[4] Gli incarichi di staff se affidati all’esterno possono essere conferiti esclusivamente tramite contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, e non di lavoro autonomo, stante, peraltro, il riferimento normativo alla necessaria applicazione, ai suddetti rapporti, del CCNL del personale degli enti locali; inoltre, alla luce dell’espresso disposto del comma 2 della stessa norma, devono avere carattere necessariamente oneroso, Corte conti, sez. contr. Lombardia, delibera 18 dicembre 2019, n. 444.
[5] Cass. civ., sez. lavoro, Ordinanza 18 ottobre 2023, n. 28918. Vedi, SPAGNUOLO, Uffici di staff ex art. 90 Tuel e responsabilità erariale, Rivista della Corte dei conti, 2023, n. 6, pag. 84, ove la migliore dottrina annota che l’«assetto normativo appare coerente non solo con la ratio intrinseca del richiamato art. 90, ma anche con il complessivo assetto ordinamentale in materia di spesa del personale e di vincoli di finanza pubblica, secondo cui la possibilità di utilizzare lo strumento del contratto di lavoro subordinato a tempo determinato non si pone come mera alternativa all’utilizzo di personale già in servizio presso l’ente, ma come scelta residuale, subordinata alla previa verifica dell’assenza di personale idoneo all’interno della dotazione organica dell’ente. Tale condizione costituisce, quindi, l’ulteriore, indefettibile, presupposto per il ricorso all’assunzione di professionalità esterne, onde evitare effetti espansivi della spesa non giustificati da benefici diretti in favore della collettività».
[6] Corte conti, sez. III Appello, 21 aprile 2020, n. 76.
[7] L’accertamento del dolo si sostanzia nell’inferire fatti interni o spirituali attraverso un procedimento che parte dall’id quod plerumque accidit e considera le circostanze esteriori, caratteristiche del caso concreto, che normalmente costituiscono l’espressione o accompagnano o sono comunque collegate agli stati psichici, Cass. pen., SS.UU., 18 settembre 2014, n. 38343.
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