La sinistra francese implode tra riforme sospese e divisioni (chissà da chi ha preso)

Invidiosi dei danni alla Tafazzi che Maurizio Landini e Elly Schlein hanno inflitto a sé stessi e alle flebili speranze della sinistra minacciando la patrimoniale, i socialisti francesi li hanno superati in dabbenaggine e hanno ottenuto la sospensione della riforma delle pensioni del 2023. Un bel problema per le finanze pubbliche e soprattutto un collasso culturale di una gauche del tutto insensibile alle ragioni del bilancio e che sostiene oggi che il lavoro è un disvalore.
Dunque, in Francia si torna ad andare in pensione a sessantadue anni, anziché a sessantaquattro. Roba da far crepare d’invidia Matteo Salvini, che ogni volta che prova a sospendere la Fornero, Giorgia Meloni gli dà bacchettate sulle dita.
Si consolida così la tendenza suicidale delle sinistre europee socialdemocratiche, che un tempo si distinguevano dai dogmatici comunisti perché erano riformiste e oggi invece si mettono in mostra perché affossano le giuste riforme portate in porto dai concorrenti, o addirittura da loro stesse.
Non è più il tempo di un Gerhard Schröder che con la sua Vision 2010 – taglio della indennità di disoccupazione e delle pensioni e profondi, radicali e impopolari mutamenti del mercato del lavoro – ha garantito un ventennio di sviluppo economico alla Germania. Ventennio di cui ha profittato Angela Merkel, dissipandone gli effetti.
Oggi è il tempo di una sinistra europea che spregia le riforme e sgretola la sua stessa tradizione. In Spagna, Pedro Sánchez si regge sul doppio dogmatismo dell’estrema sinistra e sulle follie autonomistiche di quel mattacchione di Carles Puigdemont; in Italia il Partito democratico di Elly Schlein chiama al referendum contro il Jobs Act che era stato inventato e imposto dallo stesso Partito democratico, ma di Matteo Renzi, e ora si mobilita contro la riforma della Giustizia che tutti i suoi illustri maestri hanno sempre auspicato.
In Francia, la gauche riesce a dividersi tra i socialisti che vogliono la sospensione della riforma delle pensioni e la France Insoumise che pretende il suo annullamento totale. Il tutto, in un clima di tregenda parlamentare perché il bilancio francese 2026 non è un progetto organico presentato dal governo di Sébastien Lecornu, ma viene formato letteralmente alla carlona con una serie di caotiche votazioni parlamentari. È un folle e disorganico bilancio assembleare. Il tutto, con la benedizione di Marine Le Pen, che lascia fare, che non vota le mozioni di censura e lascia che il governo malamente galleggi, pronta a incassare i dividendi di una leadership centrista fallimentare, segnata dal declino di Emmanuel Macron.
Si è disgregata anche la compagine presidenziale: Édouard Philippe, ex primo ministro nei primi tre anni di Emmanuel Macron, tra il 2017 e il 2020, licenziato per invidia perché troppo popolare, sindaco amato di Le Havre, leader di Horizons (trentaquattro deputati), ha rotto l’alleanza col blocco del presidente e chiede a gran voce elezioni presidenziali anticipate appena approvato il bilancio.
Un parricidio bello e buono: intende correre per l’Eliseo e non è detto che non vinca, se funzionerà ancora il ricatto anti-Le Pen.
Uno spettacolo triste a cui si aggiunge la cupa sindrome di Maria Antonietta in un Paese di tricoteuses, i giornalisti in primis, che non si accontenta del regicidio e pretende il sangue della donna del re.
Pare proprio infatti secondo alcuni spifferi di Palazzo di Giustizia che anche Carla Bruni possa finire in galera. Sempre per la tragicomica vicenda dei finanziamenti di Gheddafi al marito. Finanziamenti di cui non si è trovata traccia concreta, non un dollaro, ma questa, secondo la scuola di pensiero italiana, è considerata dai magistrati solo un’inezia a fronte del diabolico gusto di umiliare con la galera un ex presidente. E soprattutto sua moglie.
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