L’articolo di Bill Gates sul clima è un assist per la destra riduzionista

Dalla newsletter settimanale di Greenkiesta (ci si iscrive qui) – La conseguenza climaticamente più pericolosa del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca non è la dismissione delle politiche energetiche e ambientali di Joe Biden e Barack Obama, ma la sua capacità di rendere di nuovo fertile il terreno del negazionismo e del riduzionismo.
Per “riduzionismo” intendiamo un cambio di narrazione orientato alla minimizzazione e alla demonizzazione di un fenomeno: il riscaldamento globale esiste ma non è una priorità, e le soluzioni applicate finora rappresentano uno sforzo inutile per le nostre economie. In pochi mesi, il presidente degli Stati Uniti ha cavalcato e amplificato il sentimento di sfiducia mondiale nei confronti delle misure di mitigazione climatica (riduzione delle emissioni), fornendo l’assist perfetto a chi non vedeva l’ora di gettare la maschera.
In un altro momento storico, Bill Gates non avrebbe mai pubblicato un articolo dal tono così diverso rispetto al passato: il senso d’urgenza è sparito, lasciando spazio a rassicurazioni che nascondono ingombranti interessi imprenditoriali. La sua filantropia climatica, il suo eccessivo affidamento alle tecnologie e la sua ostinazione a ignorare le responsabilità dell’un per cento più ricco del pianeta (che emette la stessa quantità di emissioni del sessantasei per cento più povero) hanno sempre avuto dei lati oscuri, ma finora alcune questioni di base – e scientificamente condivise – non erano mai state messe in discussione.
Ora, approfittando del fermento creato dalla Cop30, il fondatore di Microsoft ha sentito il bisogno di mettere nero su bianco le sue «tre dure verità» sul clima. Apparentemente, il suo pezzo non ha nulla di problematico e rivoluzionario, come nei passaggi in cui dice che la salute, la prosperità e la lotta alla mortalità infantile sono priorità strettamente connesse alla nostra capacità di reagire agli eventi meteorologici estremi. È vero, grossomodo, ma scavando c’è molto di più.
La «verità numero uno» di Bill Gates è che il «cambiamento climatico è un serio problema, ma non causerà la fine dell’umanità»: in superficie sembra un bel messaggio di speranza, ma in profondità ha l’aspetto di una minimizzazione allineata all’attuale contesto politico. Il catastrofismo climatico è controproducente ed è giusto contrastarlo, ma Gates ha sottovalutato la scivolosità di un’affermazione del genere in un periodo del genere, soprattutto se pronunciata da lui.
E infatti il suo messaggio è stato travisato e strumentalizzato ad hoc. Dice bene Ryan M. Katz-Rosene, professore di Geografia, Ambiente e Geomatica all’Università di Ottawa, in un articolo su The Conversation: «Gates ha lanciato una “granata” nel dibattito politico sul clima».
Per dire, il presidente degli Stati Uniti non ha esitato un secondo ad applaudire il fondatore di Microsoft, pubblicando su Truth un post ai confini della realtà: «Abbiamo appena vinto la guerra contro la bufala del cambiamento climatico. Bill Gates ha finalmente ammesso di essersi completamente sbagliato sulla questione. Ci è voluto coraggio per farlo, e per questo gli siamo tutti grati».
La «verità numero due» è quella che sta avendo, e avrà, più conseguenze in termini politici e diplomatici: «La temperatura non è il modo migliore per valutare i nostri progressi climatici». È la sua personalissima pietra tombale sulle soglie di sicurezza dell’accordo di Parigi (+1,5°C e +2°C) e sulle politiche di mitigazione, considerate ormai meno urgenti rispetto alle strategie di adattamento (centrali alla Cop30).
Bill Gates, però, si dimentica che adattamento e mitigazione sono in egual modo importanti: devono proseguire nella stessa direzione e creare nuove sinergie. La coda del clima è lunga, inerziale: anche se smettessimo oggi, di punto in bianco, di affidarci a gas, petrolio e carbone, gli effetti del riscaldamento globale continuerebbero per decenni. È quindi necessario capire immediatamente come ridurre l’impatto degli eventi meteorologici estremi, attraverso – per esempio – un trionfo della natura all’interno della progettazione urbana. Questo è l’adattamento.
Ma senza la mitigazione non c’è adattamento che tenga. La situazione degenererebbe a un ritmo tale da non concederci margine di manovra. Ogni innovazione, ogni invenzione, ogni strategia sarebbe sprecata. Come scrive il noto climatologo statunitense Michael E. Mann, questa eccessiva attenzione alle «soluzioni tecnologiche per il clima» rischia di «condurci su una strada pericolosa». Ridurre le emissioni oggi è la chiave per un pianeta vivibile domani. La generazione di Bill Gates non ha mai avuto abbastanza lungimiranza per capirlo. E all’orizzonte, evidentemente, non ci sono inversioni di tendenza.
L’articolo di Bill Gates è già diventato l’appiglio della destra che, sulla scia del «drill, baby, drill» trumpiano, vuole stracciare decenni di progressi climatici. Uno degli esempi più recenti è il discorso di Antonio Tajani, vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, al vertice dei leader che ha anticipato i negoziati della Cop30 sul clima, la cosiddetta «Cop dell’attuazione» o «Cop della verità», chiamata a concretizzare tante belle parole scritte o pensate negli anni passati.
Giorgia Meloni ha saltato l’appuntamento, affidando la trasferta a un Tajani che aveva lo stesso entusiasmo dei bambini costretti a ripetere le poesie a memoria davanti ai parenti al pranzo di Natale. «La persona è al centro di ogni nostra azione di tutela della natura. È la stella polare che ci deve guidare; salute e prosperità sono le migliori difese contro il cambiamento climatico: lo ha riconosciuto nei giorni scorsi lo stesso Bill Gates», ha detto il leader di Forza Italia, che ha poi elencato ogni possibile tecnologia pur di non soffermarsi sulla necessità di abbandonare i combustibili fossili e ridurre i consumi energetici.
L’intervento di Tajani conferma inoltre che la destra, oggi, rispolvera la «questione sociale» solo quando può usarla come pretesto per indebolire le politiche “verdi”. Politiche “verdi” che, se implementate in tempo e con un approccio multidisciplinare, creano posti di lavoro e riducono i costi a carico dei cittadini. Il discorso è terminato con un pensiero ai quasi ottocento anni dalla morte di San Francesco d’Assisi, che – prosegue Tajani – «ispira l’azione» dell’Italia «contro il cambiamento climatico»: una iniezione di italianità probabilmente non necessaria, e accolta dalla folla con un timido applauso. Ma questa è un’altra storia.
Il punto è che la mitigazione e l’adattamento dovrebbero inserirsi in un cambio di paradigma che nel 2021 (cinque, non cinquant’anni fa), nel libro “Clima. Come evitare un disastro”, Gates aveva quantomeno tentato di inquadrare. L’articolo pubblicato di recente sembra innocuo, con tanti punti d’interesse, ma è l’ennesima ventata di sfiducia ai danni di una comunità scientifica esasperata e inascoltata.
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