Le ragioni per cui la Russia trova ancora utile continuare la guerra

Dicembre 1, 2025 - 19:00
Dicembre 1, 2025 - 20:34
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Le ragioni per cui la Russia trova ancora utile continuare la guerra

«In generale, abbiamo raggiunto i nostri obiettivi.» Così Vladimir Putin ha descritto il disastro siriano della Russia nel dicembre 2024, dopo che Bashar al-Assad – un dittatore che il Cremlino aveva sostenuto per decenni – era stato rovesciato. Quell’“in generale” stava facendo un lavoro enorme per Putin, che, nella più antica tradizione di zar e commissari, presentava una sconfitta come se fosse una vittoria. Lo stesso Vladimir Putin, ricercato per crimini di guerra, ogni giorno si sveglia davanti a una scelta binaria: continuare la guerra di aggressione contro l’Ucraina o porvi fine. Negli ultimi undici anni ha scelto la prima opzione.

Perché? Mosca potrebbe fermare in qualsiasi momento la sua guerra volontaria – dichiarare “missione compiuta” e lasciare che i media controllati dallo Stato, gli unici che esistono in Russia, celebrino un trionfo glorioso. In fondo, un uomo che monopolizza lo spazio dell’informazione e mente con facilità non è certo vincolato da inezie come i fatti.

La popolazione tirerebbe un sospiro di sollievo e festeggerebbe. Una vasta maggioranza di russi sostiene la guerra, ma sempre meno uomini in età da combattimento sembrano disposti a morire per essa. In un sistema costruito sulla paura e sull’obbedienza, accettare la linea del partito è sempre stato più sicuro che avere un’opinione – per non parlare di esprimerla. Perché non consolidare i guadagni e smettere o quantomeno fare una pausa?

Gli analisti continuano a scervellarsi, scambiando i sintomi per le cause. Alcuni indicano un’economia bloccata su un assetto di guerra; altri le aspettative popolari di vittoria, alimentate da anni di propaganda. Tutti questi fattori contano, ma sono derivati di forze più profonde: un freddo calcolo geopolitico; un regime che ha bisogno della messa in scena del potere – inscenando perennemente il “ritorno alla grandezza” della Russia per mascherare saccheggi e degrado interno; e la legittimità di un sistema imperiale esteso su undici fusi orari, in cui le guerre di aggressione si autoimpongono e investono il “capo” del compito di condurle.

Consideriamo il calcolo dalla prospettiva di Mosca. Potrebbe davvero essere alla ricerca di un motivo per fermarsi – basta guardare allo stato dell’economia russa – ma ogni volta che Washington e i suoi alleati non agiscono con fermezza, il Cremlino non resiste alla tentazione di andare avanti. Lenin consigliava: «Sonda con la baionetta: se incontri l’acciaio, fermati; se incontri la poltiglia, spingi.» Oggi, il sondare di Mosca è esitante, quasi stanco, e tuttavia la poltiglia che incontra in Occidente è così invitante e cedevole che non può fare a meno di premere ancora.

In termini puramente costi-benefici, il regime di Putin si sta comportando in modo razionale – giungendo alla conclusione che più aggressione porterà più guadagni. Quello che chiamiamo “gestione dell’escalation” è, di fatto, un incoraggiamento all’escalation. Rifiutandoci di inviare un segnale fermo e inequivocabile – chiudere i cieli sopra l’Ucraina, trasferire gli attivi della banca centrale russa per rafforzare le difese ucraine, interrompere gli acquisti di greggio, imporre sanzioni “infernali”, inviare missili Tomahawk e Taurus – creiamo quel vuoto che continua a trascinare la violenza russa verso occidente.

Il secondo fattore è il mandato del regime – per quanto possa sembrare strano in una dittatura. Per due decenni, la promessa di una Russia “risorta dalle sue ginocchia” ha richiesto il sacrificio dei diritti e il rinvio della prosperità. L’apparato di sicurezza dello Stato, gli oligarchi di corte e la burocrazia della propaganda traggono tutti il loro scopo dal conflitto; la pace, al contrario, ne rivelerebbe l’irrilevanza. Alla conferenza stampa del 2024, Putin ha lasciato cadere la maschera: «Quando tutto è calmo, misurato, stabile, ci annoiamo, ed è allora che tutti vogliono azione». Non era una battuta. Questo regime teme l’immobilità più di qualsiasi altra cosa.

La terza forza dietro la scelta del Cremlino di continuare a combattere in Ucraina è la legittimità stessa del sistema imperiale russo. Questa macchina di saccheggio, oppressione e controllo è l’unica che lo Stato-Frankenstein conosce fin dai tempi della Moscovia, nata come esattore delle tasse per i khan mongoli. Per il Cremlino, l’espansionismo non è un’astrazione accademica; è un virus intrecciato nel Dna dello Stato, impossibile da isolare perché ne definisce l’essenza.

Il dominio di Mosca sulle sue colonie interne, dal Caucaso alla Siberia, dipende dalla costante rappresentazione del potere. Il mito del centro benevolo che protegge e guida la periferia è sempre stato usato per giustificare la repressione interna.

Una Russia in pace si troverebbe davanti a una domanda insopportabile: perché i suoi cosiddetti “soggetti federali” dovrebbero restare sotto il dominio di Mosca? Le invasioni del 2014 e poi del 2022 non sono solo tentativi di riconquistare l’Ucraina, ma anche un modo per rassicurare i popoli della Russia sul loro posto nella gerarchia imperiale. Non si tratta di politica, ma di identità. La sconfitta in Ucraina sarebbe negativa per Putin, ma la sconfitta in Russia sarebbe catastrofica.

Tre forze potenti inclinano la bilancia tra guerra e pace. Nessuna strategia occidentale potrà avere efficacia finché queste non saranno pienamente riconosciute e le politiche calibrate di conseguenza. Il calcolo dei costi e dei benefici è interamente sotto il nostro controllo. Sappiamo come cambiarlo; ci manca la determinazione.

La seconda forza – la sopravvivenza del regime – non è affar nostro. La Russia sotto Putin è un’impresa terroristica che conduce una guerra, un atto criminale secondo la Carta ONU, e lavora attivamente per indebolire le istituzioni americane, europee e globali e dividere le nostre società. In modo particolarmente grave, il Cremlino gioca con minacce nucleari – alimentando il caos e indebolendo la non proliferazione globale – pur sapendo perfettamente di bluffare. Xi Jinping, al quale Putin ormai risponde di fatto, ha escluso l’uso delle armi nucleari.

La terza forza – il software imperialista che alimenta il sistema operativo centrato su Mosca – è la più difficile da scardinare. Non possiamo aspettarci che i russi la affrontino finché l’Occidente non avrà purgato il proprio discorso dalle false narrazioni di Mosca. I russi non possono sfuggire all’autoinganno imperiale mentre noi in Occidente ci rifiutiamo di affrontarlo – tollerando la propaganda del Cremlino nei nostri spazi digitali e i tropi imperiali nella nostra stessa produzione accademica.

Come i droni russi nei cieli polacchi, la disinformazione è una minaccia alla sicurezza nazionale. Accanto ad armi e sanzioni, il Mondo Libero deve finanziare contro-programmazioni in lingua russa, rendere più robuste le piattaforme contro le manipolazioni coordinate, e sostenere una ricerca onesta che smascheri i miti perniciosi su cui poggiano le illusioni di grandezza di Mosca.

Se vogliamo davvero vedere la fine della guerra russa contro l’Ucraina, dobbiamo abbandonare il linguaggio del “finché sarà necessario”. Ogni mezzo passo occidentale e ogni mancata azione possono essere ricondotti a questa frase controproducente. Quando l’aritmetica che premia la malizia di Mosca finalmente si invertirà, il volano della violenza rallenterà.

Putin ha bisogno di una ragione solida per porre fine alla guerra della Russia. E il Mondo Libero deve dargliela. Il Cremlino trasformerà la ritirata in trionfo, ma solo quando proseguire diventerà più rischioso che fermarsi. L’Ucraina può e deve ripristinare i suoi confini. Perché l’alleanza transatlantica continui a inciampare sulla propria forza – sembrando più spaventata dalla sconfitta della Russia che dalla sua vittoria – resta un mistero.

Articolo originariamente pubblicato su The New York Post 

L'articolo Le ragioni per cui la Russia trova ancora utile continuare la guerra proviene da Linkiesta.it.

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