Ue, pratiche sleali in agrifood: si registra qualche miglioramento
Roma, 2 dic. (askanews) – Si registra in Europa qualche miglioramento sul fronte delle pratiche commerciali sleali nel settore agrifood, anche se c’è ancora molta strada da fare. E’ quanto emerge dallo studio condotto da Aretè per la DG Agri della Commissione UE, appena pubblicato, a supporto della valutazione della Direttiva UE 2019/633 sulle pratiche commerciali sleali nel settore agri-food, che proibisce o regola 16 pratiche ritenute contrarie ad una buona condotta commerciale. Lo studio restituisce il quadro di una Direttiva che, seppur con dei limiti e ancora un periodo relativamente breve di applicazione, ha avuto un ruolo fondamentale nel migliorare la situazione rispetto al periodo precedente e nel fornire in quadro più chiaro e omogeneo per gli operatori UE.
La direttiva prevede la protezione dei fornitori più deboli nei confronti degli acquirenti più forti, vietando comportamenti quali ad esempio il pagamento oltre 30 giorni dalla consegna di prodotti deperibili, modifiche unilaterali dei contratti da parte del compratore e la richiesta ai fornitori di pagare fees non collegate alle prestazioni concordate.
Il tempo trascorso dall’effettiva implementazione delle leggi nazionali di trasposizione è tutto sommato ancora limitato (l’ultimo Paese si è allineato a fine 2022) quindi molti aspetti possono considerarsi ancora in fase di consolidamento. Tuttavia, dallo studio già emerge come la Direttiva sia stata finora moderatamente efficace nel prevenire e combattere le pratiche sleali, ma molto efficace nel promuovere una cultura imprenditoriale più equa nel settore agri-food.
I pagamenti oltre 30 giorni per prodotti deperibili e oltre 60 giorni per gli altri prodotti agri-food restano tra le pratiche “sleali” più diffuse – anche se in calo rispetto alla situazione pre-Direttiva – assieme alle modifiche unilaterali del contratto da parte dell’acquirente. Nei diversi Paesi UE tra il 2021 e il 2023 sono state chiuse 1.887 indagini su pratiche commerciali sleali, il 26% delle quali ha portato all’accertamento di un’infrazione mentre 385 indagini (20%) hanno portato all’imposizione di una sanzione pecuniaria.
I margini di miglioramento ci sono, spiega Aretè, soprattutto in termini di consapevolezza dei singoli operatori sulla protezione esistente da queste pratiche e di rassicurazione circa il timore di subire ritorsioni, due fattori che sembrano limitare il numero di reclami presentati davanti alle autorità.
Secondo le analisi presentate nello studio, i costi per gli operatori commerciali che agiscono come fornitori (cioè, gli attori protetti dalla Direttiva) sono almeno proporzionati ai benefici ottenuti. Solo un 7-8% di agricoltori e trasformatori ha riferito un aumento dei costi a causa della Direttiva. Per gli agricoltori, i benefici sembrano superare di gran lunga i costi. Maggiori costi operativi sono stati invece riportati in capo ai distributori (grossisti, retailer), ma senza implicare danni economici particolarmente gravi e/o serie implicazioni operative per gli operatori interessati.
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