Vittoria (preliminare) per Sánchez: l’amnistia dei separatisti catalani non viola il diritto comunitario, dice l’Avvocato generale UE
Bruxelles – Il premier spagnolo Pedro Sánchez può tirare un sospiro di sollievo, almeno temporaneo. Dean Spielmann, Avvocato generale della Corte di Giustizia dell’UE (CGUE), ha difeso la controversa amnistia per i separatisti catalani adottata da Madrid l’anno scorso, grazie alla quale il premier socialista era riuscito a rimanere in sella al governo per un terzo mandato di fila. Manca ancora la sentenza definitiva, ma per l’esecutivo di minoranza è già un successo politico (seppur preliminare) a livello europeo.
Nell’opinione non vincolante pubblicata ieri (13 novembre), che consiste in realtà di due pareri distinti, viene riconosciuto che nella sua attuale formulazione la norma spagnola non viola le leggi comunitarie. Nello specifico, i due casi riguardavano da un lato le accuse di terrorismo rivolte dai pubblici ministeri spagnoli agli organizzatori dei referendum unilaterali sull’indipendenza del 2014 e 2017, mai riconosciuti da Madrid, e dall’altro l’appropriazione indebita di fondi pubblici per il finanziamento dell’agenda indipendentista.
In sintesi, Spielmann “salva” la bontà della legge in esame (le cui maglie sono volutamente ampie, coprendo una lunga serie di illeciti contestati a diverse centinaia di imputati), sostenendo che un’amnistia volta a placare una crisi costituzionale può essere mantenuta a patto che rispetti i paletti fissati dall’UE in materia di terrorismo, di tutela del bilancio a dodici stelle e di indipendenza giudiziaria. In altre parole, l’opinione dell’avvocato generale riconosce un’ampia discrezionalità alle autorità statali nell’adozione e l’applicazione di un provvedimento di questo genere, demandando all’apparato giudiziario nazionale un rigido controllo sui singoli casi.

Sul primo punto, ragiona Spielmann, spetta alle corti spagnole valutare se gli atti etichettati come terroristici abbiano causato “danni gravi” (la soglia fissata dal diritto europeo), in modo tale che una legge di amnistia non diventi una foglia di fico tramite cui i governi possano esimersi dai propri doveri ai sensi del diritto internazionale e comunitario.
Quanto al secondo punto, l’Avvocato generale osserva che Bruxelles può intervenire solo quando una grazia rischia di compromettere le garanzie finanziarie dell’Unione. Siccome nel caso in questione non c’è prova che tra i soldi pubblici che i separatisti sono accusati di aver sottratto indebitamente tra il 2011 e il 2017 figurino anche fondi europei, la questione è di competenza esclusiva della magistratura spagnola.
Infine, Spielmann ravvisa un genuino intento di ricucire lo strappo tra lo Stato centrale e la Comunitat autònoma. “Sembra essere stata adottata in un contesto autentico di riconciliazione politica e sociale“, sostiene Spielmann. Ciò per giungere ad una “normalizzazione” dell panorama politico-istituzionale.
Per Sánchez, alle prese con una crisi politica in patria legata in parte al rapporto coi partner catalani, l’opinione emessa ieri è una ventata d’aria fresca. Si tratta del primo vero test europeo della legge sull’amnistia, dato che finora il dibattito sul provvedimento era rimasto confinato al livello nazionale. Sebbene il parere emesso ieri non imponga automaticamente ai giudici della Corte di uniformarsi alle medesime conclusioni, la prassi indica che spesso le sentenze della CGUE seguono le linee guida tracciate dall’avvocatura generale.
Al centro della contesa legale, che dalle latitudini iberiche ha raggiunto la massima Corte dell’Unione, c’è la controversa norma con la quale il leader del PSOE ha concesso l’amnistia ai fautori dell’indipendenza di Barcellona, soprattutto per i disordini seguiti al referendum unilaterale sulla secessione della Comunitat celebrato nell’ottobre 2017. In base a questo provvedimento, oltre 300 persone incriminate per reati penali e amministrativi sono state graziate.

La legge, messa sul tavolo da Sánchez nell’autunno 2023 per “ricucire le ferite” tra Madrid e Barcellona e ottenere il sostegno dei partiti separatisti catalani – Junts, di centro-destra, guidato da Carles Puigdemont, e la sinistra di Esquerra Republicana (ERC), capitanata da Orio Junqueras – al suo terzo esecutivo, è entrata in vigore nel giugno 2024, il mese successivo alle elezioni regionali catalane in cui, per la prima volta in 20 anni, Junts ed ERC hanno perso la maggioranza a vantaggio proprio degli alleati di Sánchez. A giugno 2025 è arrivato il disco verde dalla Corte costituzionale.
Da allora, le opposizioni conservatrici – i cristiano-democratici del Partido popular (PP) e l’estrema destra di Vox – hanno cercato ripetutamente di impugnare la legge e di far cadere il primo ministro, facendo leva sulla questione catalana per alienare i partner della vecchia maggioranza. Non ci sono ancora riusciti, ma da qualche settimana il Sánchez ter è diventato un esecutivo di minoranza (146 seggi sui 350 totali al Congreso, la Camera bassa del legislativo di Madrid), dopo che Junts ha ritirato il sostegno esterno a PSOE e Sumar.
Tale decisione aveva a che fare proprio con quella che il partito ritiene un’attuazione parziale dell’amnistia (Puigdemont è ancora ricercato dalla giustizia spagnola per appropriazione indebita di fondi statali, ed è pertanto in esilio volontario in Belgio) – nonché per il mancato riconoscimento del catalano come lingua ufficiale dell’UE, un’altra battaglia che il premier socialista si era intestato a Bruxelles come previsto dall’accordo di coalizione del 2023.
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