La Corte Costituzionale approva l'abrogazione dell'abuso d’ufficio

Maggio 12, 2025 - 11:30
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La Corte Costituzionale approva l'abrogazione dell'abuso d’ufficio

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La Corte Costituzionale ha messo un punto fermo sul dibattito che ha diviso politica e magistratura: l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, prevista dalla legge 114 del 2024 e fortemente sostenuta dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, non è contraria alla Costituzione.


A stabilirlo è una decisione della Consulta anticipata in un comunicato ufficiale, in attesa della pubblicazione integrale delle motivazioni nelle prossime settimane.

L’analisi dei giudici costituzionalisti

La Corte ha analizzato quattordici ricorsi provenienti da diversi tribunali italiani, inclusa la Corte di Cassazione, che sollevavano dubbi di legittimità costituzionale in merito alla riforma. L’unico profilo ritenuto meritevole di approfondimento ha riguardato il rispetto della Convenzione ONU contro la corruzione, nota come Convenzione di Merida, sottoscritta dall’Italia nel 2003. Le doglianze principali del ricorso presentato dall’avvocato Manlio Morcella ruotavano attorno all’idea che l’abrogazione potesse contrastare con l’obbligo internazionale di mantenere strumenti penali efficaci contro il malaffare nella pubblica amministrazione.

Tuttavia, la Corte ha respinto questa tesi: secondo i giudici costituzionali, la Convenzione non impone né l’introduzione obbligatoria del reato di abuso d’ufficio né tantomeno il divieto di eliminarlo dal sistema penale. L’interpretazione offerta conferma quanto sostenuto dall’Avvocatura dello Stato: l’Italia, anche in assenza di questo specifico reato, non viene meno agli impegni sottoscritti sul piano internazionale.

La Corte Costituzionale approva l’abrogazione dell’abuso d’ufficio

L’art. 323 c.p. (ora abrogato) puniva, con la reclusione da 1 a 4 anni, “il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto”.

Nonostante il chiaro intento di contrastare condotte illecite da parte della P.A., la norma era spesso criticata per la sua vaghezza interpretativa. In particolare, molti sindaci – indipendentemente dal colore politico – avevano denunciato come l’eccessiva incertezza normativa li esponesse a indagini per semplici errori burocratici o per decisioni amministrative controverse.

La “paura della firma”

Il clima di costante rischio giudiziario aveva generato la cd. paura della firma, inducendo molti amministratori locali a rinunciare a firmare atti e delibere, per timore di essere incriminati. Una situazione che ha rallentato la macchina amministrativa, contribuendo a creare ostacoli nella gestione ordinaria degli enti pubblici. Un dato eloquente: oltre il 90% dei procedimenti per abuso d’ufficio si concludeva con un’archiviazione o con un’assoluzione.

La sentenza, redatta dal giudice Francesco Viganò – considerato tra i massimi esperti in diritto penale all’interno della Consulta – conferma così uno dei capisaldi della riforma voluta dal Governo Meloni: la cancellazione dell’abuso d’ufficio è legittima e non lede né la Carta costituzionale né gli obblighi internazionali dell’Italia.

Le motivazioni ufficiali della decisione saranno rese pubbliche nelle prossime settimane e consentiranno di approfondire nel dettaglio il ragionamento seguito dai giudici costituzionali.

Il comunicato della Consulta

Di seguito, il comunicato fornito dalla Corte:

In esito all’udienza pubblica svoltasi ieri, la Corte ha esaminato in camera di consiglio le questioni di legittimità costituzionale sollevate da quattordici autorità giurisdizionali, tra cui la Corte di cassazione, sull’abrogazione del reato di abuso d’ufficio ad opera della legge numero 114 del 2024.

La Corte ha ritenuto ammissibili le sole questioni sollevate in riferimento agli obblighi derivanti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (la cosiddetta Convenzione di Merida).

Nel merito, la Corte ha dichiarato infondate tali questioni, ritenendo che dalla Convenzione non sia ricavabile né l’obbligo di prevedere il reato di abuso d’ufficio,
né il divieto di abrogarlo ove già presente nell’ordinamento nazionale.

La motivazione della sentenza sarà pubblicata nelle prossime settimane.

Qui invece i video dell’udienza pubblica della Consulta.

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