Una nuova leadership per la governance globale

di Giuseppe Lai –
Solo 10 -15 anni fa l’attuale scenario mondiale sarebbe apparso improponibile agli occhi degli analisti internazionali. Il quadro globale era caratterizzato da una relativa stabilità sul piano economico, istituzionale, tecnologico, ambientale. Nel corso dell’ultimo decennio, eventi quali il conflitto russo-ucraino, quello mediorientale, l’epidemia da Covid-19 e l’accentuarsi del riscaldamento globale hanno determinato, sul piano sociale, un clima di crescente incertezza collettiva e su quello geopolitico il progressivo affievolirsi degli spazi di collaborazione e cooperazione tra Stati e istituzioni internazionali. Tutti i settori sono stati interessati da un flusso di cambiamenti che hanno inciso e continuano a incidere sugli individui e sulle collettività. In campo economico, ad esempio, è tornato attuale il protezionismo commerciale, un fattore che tende a destabilizzare i rapporti tra i Paesi. Sul piano istituzionale si osservano le difficoltà di varie democrazie del mondo a resistere a tentazioni di derive populiste e autoritarie, con il rischio di incarnare pericolose tendenze illiberali nei propri ordinamenti, come avvenuto ad esempio in Turchia.
Non si può dimenticare la crisi in atto delle grandi istituzioni sovranazionali, che peraltro hanno dato un contributo determinante allo sviluppo globale nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale. Non mancano le preoccupazioni in campo tecnologico, dove l’ingente disponibilità di risorse finanziarie nelle mani di poche imprese ultra avanzate crea posizioni dominanti che condizionano i mercati mondiali. La questione climatica è costantemente in primo piano, per le sue implicazioni nel presente e sul medio-lungo termine. Brevi considerazioni che, tuttavia, fanno emergere ciò che oggi, e in prospettiva, appare come il denominatore comune dei fenomeni appena descritti: l’assenza di una leadership responsabile, aperta e visionaria in grado di affrontare e governare le sfide dell’attuale fase storica. Il riferimento è prioritariamente alla politica. Una caratteristica che accomuna vari leader contemporanei è quella di presentarsi agli elettori come “necessari”, circostanza emersa qualche mese fa con l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti.
Lo slogan trumpiano “Make America Great Again” è parte di una narrazione che tende a rappresentare in termini negativi la realtà americana di oggi rispetto a quella, spesso mitizzata, di un passato glorioso. I nemici che accerchiano la nazione o forze oscure che minacciano la sua identità culturale sono alcuni degli ingredienti della “politica della paura” che Trump ha sapientemente utilizzato in campagna elettorale per costruire l’immagine di un leader decisionista e “necessario”, una sorta di salvatore della patria che rimarca un elemento nostalgico per ottenere il consenso. Una simile dinamica si era verificata anche nel 2016 con la campagna pro-Brexit nel Regno Unito, incentrata sulla propaganda contro le politiche europee imposte dall’alto e che prefigurava l’Unione come una sorta di super-Stato totalitario. Queste politiche incentrate sulla paura e adottate da vari leader contemporanei, fanno sorgere un bisogno di sicurezza nelle collettività, che spesso si correla a un aspetto pericoloso: la negazione della complessità. In tale correlazione si evidenziano due aspetti.
Da un lato esiste una generale tendenza degli elettorati a dar credito a soluzioni semplici e soprattutto tranquillizzanti, rimuovendo tutto ciò che appare complesso. In altri termini, si è più propensi a ragionare in bianco e nero piuttosto che concentrarsi sulle sfumature di grigio. L’altro aspetto riguarda i leader, che invece di dare risposte a problematiche complesse intercettano gli umori dell’elettorato inneggiando a soluzioni semplici e dal facile consenso. Il messaggio che arriva da loro è tanto rassicurante quanto fuorviante: il mancato raggiungimento degli obbiettivi, magari promessi in campagna elettorale, non è dovuto alla complessità dei problemi da affrontare ma alla mancanza di determinazione da parte di chi dovrebbe decidere o dall’inutile tendenza a trovare compromessi tra parti politiche contrapposte.
Dunque, se le risposte ai problemi sono semplici e occorre solo avere il coraggio di realizzarle, diventa vincente l’idea del leader forte, decisionista e “privo di dubbi” che indica la road map da seguire. A ben vedere tuttavia, proprio il disconoscimento del dubbio apre la strada ad un indebolimento delle democrazie liberali.
Qualsiasi decisione politica incorpora inevitabilmente i dubbi e i timori di una collettività, alimentando fisiologicamente lo spirito critico e la possibilità che, in una successiva tornata elettorale, emergano soluzioni differenti per le sfide presenti e future. Il dubbio è il motore della sperimentazione, il fondamento dell’evoluzione scientifica e della crescita sociale e le società aperte non possono ignorarlo ne reprimerlo, pena l’affermazione di un pensiero unico che conduce alla “dis-intermediazione”, l’essenza del populismo. In tale contesto la leadership tende a emanciparsi dai filtri rappresentativi per parlare direttamente agli elettori e ottenerne il sostegno, promettendo una politica nuova e meno vincolata a regole e cavilli burocratici, in altri termini meno complessa. In realtà, una politica fondata sull’emotività e su ricette semplicistiche genera frammentazione sociale, poiché ogni questione che insegue la semplificazione si trasforma in una sorta di referendum popolare basato su nozioni superficiali e spesso inesatte. Farsi interprete della complessità diventa dunque prioritario per una leadership che intende guardare alle sfide contemporanee con un approccio innovativo, in grado di cogliere le innumerevoli correlazioni tra economia, politica, società, tecnologia. In questa visione si possono intravedere quattro aspetti, che costituiscono le fondamenta di un pensiero orientato alla complessità: la dimensione sistemica, globale, diacronica e normativa.
La visione sistemica presuppone la conoscenza degli elementi di un dato sistema (politico, economico, ecc.) e l’individuazione delle relazioni esistenti tra di essi. Le dimensioni globale e diacronica prevedono una gestione non settoriale delle problematiche che riguardano l’intero sistema mondiale e incorporano una visione a lungo termine, nella consapevolezza che le azioni presenti determineranno in gran parte le situazioni future anche remote. Infine, la dimensione normativa si propone di individuare obiettivi chiari e raggiungibili. La politica necessaria ai nostri tempi richiede la piena consapevolezza di queste dinamiche da parte dei leader ma la sua efficacia è correlata a un approccio culturale alla complessità, elemento essenziale per una partecipazione critica e attiva delle collettività alla vita democratica.
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