Caselli contesta Borsellino: “Nella Procura di Palermo non c’era un nido di vipere”

Agosto 2, 2025 - 10:30
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Caselli contesta Borsellino: “Nella Procura di Palermo non c’era un nido di vipere”

L’inchiesta mafia e appalti non può essere collegata alla morte di Paolo Borsellino, la Procura di Palermo non ha avuto una cattiva gestione, da parte del generale Mario Mori c’è un risentimento rancoroso. Cosi ha parlato ieri Giancarlo Caselli, ex procuratore di Palermo, chiamato in audizione davanti alla Commissione antimafia che sta indagando sulle stragi del 1992-93. In pratica quella di ieri (l’audizione proseguirà dopo l’estate, ndr) è stata una difesa a tutto campo da “critiche pregiudiziali e ingenerose” degli ex colleghi, ad iniziare da Roberto Scarpinato, il primo ad affermare che la strage di via D’Amelio non era legata all’indagine dei carabinieri del Ros. “Il mio affetto per i familiari di Borsellino è sincero e profondo, legato a eventi che hanno cambiato l’Italia e le nostre vite”, ha esordito Caselli, ma “di fronte alle critiche rispetto al mio operato da procuratore non posso che formulare alcune osservazioni”.

Caselli ha quindi iniziato il suo intervento ripercorrendo quanto accaduto in quegli anni, dove la magistratura di Palermo era in prima linea per impedire che il “nostro Stato diventasse assoggettato alla mafia e la nostra democrazia venisse travolta”. A riprova di ciò il magistrato ha elencato il grande numero di mafiosi che dopo le stragi si erano pentiti ed avevano iniziato a collaborare con la giustizia. “Come ci ha insegnato Falcone, il mafioso si pente e collabora con la giustizia quando comincia a fidarsi dello Stato: anche in virtù delle confessioni rese dai pentiti siamo riusciti a catturare un numero importante di mafiosi latitanti”, ha ricordato Caselli. “Agli arresti sono seguiti i processi, basati sempre su prove consistenti: l’ala militare di Cosa nostra è finita alla sbarra, con 650 ergastoli e centinaia di condanne da trent’anni in giù; mai ce ne sono state così tante nella storia di Palermo. Si è inoltre impostata una nuova strategia d’attacco al lato oscuro del sistema mafia, indagando le relazioni esterne con settori della società civile e dello Stato, così da affrontare anche la cosiddetta criminalità dei potenti”, ha aggiunto. “Nessuno pretende – ha precisato – che i pm di Palermo vengano pensati come salvatori della patria, ma di sicuro hanno diritto a un rispetto autentico: mettere in funzione macchine che spargano dubbi non è certo compito di una commissione parlamentare”.

Il clima in procura non era dunque quello velenoso e pericoloso descritto da Borsellino: “Nessuno ha remato contro di me, ma abbiamo tutti lavorato come un blocco coeso raccogliendo il testimone di Falcone, Borsellino, Scaglione, Costa, Chinnici e Terranova cercando di ispirarsi al loro esempio” e “se mai ci fu un nido di vipere se n’è dispersa la traccia”. Per il Caselli pensiero, Falcone e Borsellino furono due eroi moderni della storia non solo giudiziaria e non solo italiana. “Sostenere – ha quindi affermato – che sono stati uccisi esclusivamente perché volevano occuparsi di mafia e appalti equivale a farne dei funzionari onesti, ma ben al di sotto del loro valore storico”. Sul punto il magistrato ha ricordato che “il Maxiprocesso è un capolavoro giudiziario e la dimostrazione pratica che la mafia non è invincibile: se trasformiamo Falcone e Borsellino in esperti di bilanci depotenziamo le loro figure e togliamo un riferimento a quei giovani che non vogliono adagiarsi nell’indifferenza, nel disimpegno e nella rassegnazione, ma vogliono piuttosto operare per ottenere risultati socialmente utili”.

Ma allora perché sono morti Falcone e Borsellino? Alla domanda che nessuno ha fatto, Caselli ha così risposto: “La verità di base per Capaci e via d’Amelio resta una vendetta postuma di Cosa nostra contro i suoi più acerrimi nemici e un tentativo di seppellire nel sangue i loro metodi di lavoro vincenti”. “Il 41-Bis stentava a essere convertito in legge ed era di fatto accantonato, ma dopo la strage di via d’Amelio fu immediatamente recuperato. Se qualcuno avesse anche solo accennato al fatto che Riina poteva non sfruttare l’opportunità di sbarazzarsi del 41-Bis tutti lo avrebbero preso per pazzo”, ha precisato Caselli, fornendo così una ricostruzione diversa da quella fornita dai carabinieri del Ros e dai familiari di Borsellino.

Riina, ha continuato Caselli, “forse per una pulsione suicida anziché aspettare il 7 agosto, giorno in cui sarebbe scaduto il termine per la riconversione in legge, decise che l’attentato a Borsellino si dovesse fare il 19 luglio. La strage potrebbe essere stata compiuta per ribadire, raddoppiando l’efficacia offensiva, le stesse ragioni per le quali era stato ucciso Falcone, ovvero un tentativo di soffocare nel sangue il metodo del pool antimafia”.

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