Quando siamo diventati una Repubblica fondata sul ferragosto

Agosto 15, 2025 - 13:30
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Quando siamo diventati una Repubblica fondata sul ferragosto

Spiegatemi questa cosa di Ferragosto. Spiegatemela come se venissi da un altro pianeta. Spiegatemi quand’è cominciata. E soprattutto ditemi se anche voi, come me, fate finta che sia normale, ma sotto sotto vi chiedete di cosa stiano parlando tutti.

La distanza tra l’epoca che viviamo e quella in cui ho trascorso la più parte della mia vita la segna la filmografia di Paolo Virzì, che ventinove anni fa intitola il suo film sulle vacanze a Ventotene “Ferie d’agosto”, perché quella era l’idea di vacanze italiana: agosto, il mese in cui tutto chiudeva (adesso solo i lavasecco: l’ultimo pezzo di tradizione che ci è rimasto è andare in giro ciancicati dalla fine di luglio all’inizio di settembre).

L’anno scorso Virzì ha diretto il seguito, e l’ha intitolato “Un altro Ferragosto”, perché intanto un nuovo concetto era entrato nelle nostre vite, un concetto che era sempre stato superfluo perché tanto agosto era tutto festivo: quello che il 15 sia un giorno più festivo degli altri.

Prima ho aperto il Mac per scrivere questo articolo, e un annuncio di quelli urgenti si è palesato sullo schermo: era il calendario che mi ricordava «domani, assunzione di Maria» – neanche io fossi l’ufficio del personale.

Io ve lo giuro: Ferragosto non esisteva. Lo so che adesso vi sembra che sia sempre stato così perché soffriamo di presentismo e ci sembra che tutto sia sempre stato com’è ora, ma nei miei primi trentasei anni di vita io mi sono accorta del Ferragosto solo in due casi.

Trent’anni fa, nell’anno in cui ho abitato nella mia unica casa romana che fosse in prossimità d’un supermercato, e il 14 pomeriggio sono andata a comprare il latte e il latte non c’era, perché i supermercati a Ferragosto chiudevano per un giorno e la gente rimasta in città, di fronte alla prospettiva di non poter comprare alimentari per ben ventiquattr’ore, aveva svuotato gli scaffali e i frigoriferi come fosse stata annunciata una guerra e relativi razionamenti alimentari.

E nel 2008, il primo anno in cui vivevo a Milano dopo diciott’anni di Bologna e diciotto di Roma. All’uscita dal cinema, dopo aver visto “Pranzo di Ferragosto”, volevano convincermi che esistesse una tradizione romana per cui a Ferragosto si mangia il pollo coi peperoni. Sentite, io in diciott’anni romani il pollo coi peperoni non l’ho mai mangiato, e non mi sono mai accorta che fosse Ferragosto: cos’è agosto a fare, se devi tener conto di che giorno è?

Vorrei sapere chi è stato. Halloween credo sia colpa degli sceneggiati televisivi americani: a furia di vedere bambini in maschera in autunno invece che a Carnevale, abbiamo deciso che volevamo quella festa pure noi. Desiderio mimetico. Ma Ferragosto da dove esce? Quando è iniziata la tradizione di renderlo argomento?

L’altro giorno Andrea Minuz ha scritto sul Foglio un delizioso pezzetto in cui parlava di due bei film e un equivoco che sarebbero stati in tv in questi giorni. I bei film sono “Harry, ti presento Sally…” e “La finestra sul cortile”, l’equivoco è “Il padrino – Parte II”, che è il Ferragosto dei film. A un certo punto, non si sa come e perché, si è deciso di cominciare a santificarlo, e di delirare che fosse meglio del primo. De Niro meglio di Brando, cosa mi tocca sentire.

Insomma, mi ero persa il pezzo, ma l’ho recuperato grazie a una bacheca Facebook in cui si polemizzava: l’incipit di Minuz era «Nella settimana di Ferragosto escono solo i cafoni», che se sapete leggere è un modo più aggraziato di dire «se proprio non avete un cristiano con cui passare ’ste settimane e non sapete come svagarvi, ci sono questi film». Ma, poiché nessuno sa più leggere, ho scorso con un po’ di imbarazzo e una certa qual perversione la conversazione tra settantenni offesissimi: tu a me cafone non me lo dici capitoooo.

Non so quando abbiamo iniziato a santificare il Ferragosto, non so quand’abbiamo deciso che il secondo “Padrino” fosse meglio del primo, e non so neppure quand’è che i settantenni abbiano iniziato ad avere meno senso del tono dei ventenni.

Quelli offesi perché loro escono e «cafoni» non devi dirglielo, quelle offese perché non sanno con chi uscire e percepiscono la costrizione sociale. Ma chi, ma quando. Mi passano davanti filmati (in neolingua: reel) di ragazze che si chiedono se devono complessarsi perché non hanno trecento amici con cui fare quella grigliata che è prescrittivo fare in piscina a Ferragosto. Ma chi, ma dove.

Ho tanta nostalgia dei primi due terzi della mia vita, quelli in cui Ferragosto era sempre e solo Bruno Cortona che nella Roma deserta tentava di telefonare infilando il braccio nella serranda d’un negozio chiuso, rompeva i coglioni al povero studente che avrebbe finito per ammazzare, diceva «sono veramente sorry» dopo avergli distrutto il bagno, liquidava il ciclismo con «è uno sport antiestetico, ingrossa le cosce: meglio il biliardo», ci provava con la sua stessa figlia senza riconoscerla, veniva liquidato da una ristoratrice che aveva già cominciato nel 1962 a festeggiare il Ferragosto con «il diritto de li mortacci tua», andava in giro con un permesso falso per la macchina; Bruno Cortona che è il carattere italiano in purezza.

Dino Risi diceva che l’idea di Bruno Cortona gli era venuta da un produttore di cortometraggi che una domenica a Milano gli aveva chiesto di accompagnarlo dalla sorella a Varese, la sorella non c’era, «andiamo a Lugano a comprare le sigarette», e da lì «ti porto a pranzo nel castello del principe del Liechtenstein», arrivati dal quale aveva fatto vedere la tessera del tram al custode spacciandola per un tesserino da giornalista e riuscendo a scroccare il pranzo.

Alberto Sordi, che era la prima scelta per interpretare Bruno Cortona, non lo volle fare, perché gli sembrava un film in cui «io mi sbatto tanto e poi tutto il merito se lo piglia quell’altro» (il bravo ragazzo che muore, non il cialtrone che al bravo ragazzo ha chiesto chi fosse quella cicciona guardando la foto di sua madre, e poi l’ha portato in giro come un forsennato tutto il giorno, e alla fine lo ammazza).

Fu Mario Cecchi Gori a suggerire Vittorio Gassman, che aveva sotto contratto, con la sola preoccupazione che le riprese non durassero più di sessanta giorni altrimenti doveva dargli molti più soldi. Gassman nell’“Avventurosa storia del cinema italiano” dice: «Fra le molte qualità di Sordi, che tutte riconosco, il coraggio dell’innovazione non è tra le più perspicue».

Fatto sta che quello rifiutò, e Bruno Cortona se lo prese Gassman, che ne fece quel carattere italiano fondativo che è il cialtrone irresistibile (non sarebbe mai successo con Sordi, che aveva molte qualità ma non il fascino). E una nuova giornata nacque nella coscienza del paese, il 15 di agosto: una giornata il cui senso sta nel suo essere l’ultima.

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Redazione Redazione Eventi e News