Presidenza danese dell’Ue, ecco la linea ‘frugale’ sui migranti: “Rifugiati siriani un enorme deficit per lo Stato”

Lug 23, 2025 - 02:00
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Presidenza danese dell’Ue, ecco la linea ‘frugale’ sui migranti: “Rifugiati siriani un enorme deficit per lo Stato”

Bruxelles – Da qui alla fine dell’anno, i lavori sulla stretta Ue all’immigrazione irregolare sono affidati alla presidenza danese del Consiglio dell’Ue, che coordinerà gli Stati membri nel cercare un accordo sulle proposte messe sul tavolo dalla Commissione europea sui rimpatri e sulla revisione del concetto di Paese terzo sicuro. Oggi, riuniti a Copenaghen, i ministri degli Interni dei 27 hanno avuto un assaggio del ‘pugno duro’ promesso dal governo socialdemocratico di Mette Frederiksen.

“Abbiamo la possibilità di smantellare il sistema di asilo che attualmente è disfunzionale”, ha esordito il ministro danese per l’Immigrazione e l’integrazione, Kaare Dybvad Bek, in conferenza stampa a margine dell’incontro informale. Con lui Magnus Brunner, responsabile degli Affari interni per l’esecutivo europeo, che ha sottolineato quanto Bruxelles e Copenaghen siano “perfettamente allineati” sul tema. L’obiettivo è correre, fare sì che i Paesi membri si accordino su un mandato negoziale il prima possibile, sperando che in parallelo anche il Parlamento europeo appoggi senza troppe modifiche le proposte in ballo.

Si tratta del regolamento sui rimpatri, della revisione del concetto di Paesi terzi sicuri e dell’elenco dei Paesi di origine sicuri, tre tasselli che – se approvati – permetteranno alle capitali europee di adottare ‘soluzioni innovative’ per opporsi all’arrivo di persone migranti: i return hubs ad esempio, ma anche accordi sul modello Italia-Albania per procedere all’esame delle richieste d’asilo al di fuori dell’Ue.

von der leyen frederiksen danimarca
Mette Frederiksen e Ursula von der Leyen a Aarhus, Danimarca (Photo by Mikkel Berg Pedersen / Ritzau Scanpix via AFP)

“Naturalmente ci sono anche alcune ottime idee degli Stati membri – ha affermato Brunner -, il nostro ruolo è quello di sostenere queste idee“. E in effetti la stessa Ursula von der Leyen è ospite fissa alle riunioni informali del club guidato proprio dalla Danimarca, insieme a Italia e Paesi Bassi, degli Stati membri che vogliono spingere più in là l’asticella di ciò che è possibile fare per combattere l’immigrazione irregolare.

L’ultima volta, a margine del Consiglio europeo di giugno, erano in 14. Brunner ha affermato che “ora la maggior parte degli Stati membri è allineata“, secondo il ministro danese c’erano “tante opinioni simili intorno al tavolo”. Emblematico, in questo senso, è il cambiamento di posizione della Germania, che dieci anni fa guidava il fronte dei Paesi più solidali – l’allora cancelliera Angela Merkel nel 2015 aprì le porte a oltre un milione di rifugiati dalla Siria – e che invece ora ha assicurato il proprio sostegno alla stretta proposta da Bruxelles. “Sosteniamo la richiesta di creare hub di rimpatrio, riteniamo che sia un approccio innovativo e assolutamente necessario”, ha confermato il ministro degli Interni tedesco, Alexander Dobrindt, arrivando questa mattina a Copenaghen.

Rispondendo alla domanda di un cronista, il socialdemocratico Dybvad Bek ha puntato il dito proprio contro la “mentalità wir schaffen das (ce la faremo, ndr)”, frase pronunciata da Merkel nell’agosto 2015 e divenuta simbolo della politica migratoria europea di quegli anni. La frugale Danimarca ne fa un discorso economico: “Non credo abbia portato qualcosa di buono al continente europeo”, ha affermato il ministro, spiegando che “per i 40 mila rifugiati siriani presenti in Danimarca si ha un reddito complessivo di circa mezzo miliardo di euro, mentre le spese pubbliche associate ammontano a circa un miliardo e mezzo”. Un “enorme deficit per la nazione“.

Copenaghen sarebbe stata vittima di un inganno: “All’epoca ci era stato detto che si trattava di persone altamente qualificate che sarebbero entrate nel nostro mercato del lavoro, ma quello che vediamo è che, in realtà, non è così”, ha proseguito Dybvad Bek. Le donne siriane in Danimarca, ad esempio, “hanno un reddito annuo di circa 8 mila euro, quindi dal punto di vista economico non è sostenibile”.

Un’analisi tanto fredda quanto inconfutabile. Ma quei 40 mila fuggivano da una guerra civile che dal 2011 al 2015 ha mietuto più di 250 mila vittime e devastato un Paese in cui oggi – a distanza di dieci anni e senza più il sanguinoso regime di Bashar al Assad – si contano ancora circa 7 milioni di sfollati interni. “Penso comunque che abbiamo una responsabilità umanitaria, ed è importante ricordarlo“, ha concluso il ministro danese. Si, è importante ricordarlo.

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