Il Senato approva la separazione delle carriere dei magistrati: è scontro politico

Lug 23, 2025 - 19:30
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Il Senato approva la separazione delle carriere dei magistrati: è scontro politico

lentepubblica.it

Il Senato ha dato il via libera, in seconda lettura, alla riforma costituzionale che sancisce la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti. Tensione alle stelle tra maggioranza e opposizione.


Un intervento che riscrive l’assetto del Consiglio Superiore della Magistratura e introduce un nuovo organismo disciplinare, ma che ha anche acceso forti tensioni politiche, con il fronte dell’opposizione compatto nel denunciare quello che definisce un attacco all’autonomia della magistratura.

Il disegno di legge, già approvato in prima battuta dalla Camera lo scorso gennaio, dovrà ora ritornare a Montecitorio per proseguire il suo iter. In aula era presente il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, da tempo sostenitore di questa svolta.

Cosa prevede la riforma?

Il disegno di legge costituzionale approvato dal Senato incide su sette articoli della Carta fondamentale (87, 102, 104, 105, 106, 107 e 110), introducendo una riorganizzazione profonda del sistema giudiziario. Il cambiamento più significativo riguarda la separazione strutturale tra giudici e pubblici ministeri, i quali non condivideranno più un’unica carriera, ma seguiranno percorsi separati e indipendenti.

La novità viene formalmente introdotta con l’esplicito riferimento a “carriere distinte” per i magistrati che esercitano la funzione giudicante (cioè coloro che emettono le sentenze) e per quelli che svolgono la funzione requirente (cioè i pubblici ministeri che conducono le indagini e sostengono l’accusa nei processi). Questo principio si riflette nella creazione di due Consigli Superiori della Magistratura (CSM), ciascuno dedicato a un ambito specifico: uno per la magistratura giudicante, l’altro per quella requirente.

I nuovi CSM: composizione e criteri di nomina

Sia il Consiglio della magistratura giudicante che quello della magistratura requirente saranno presieduti dal Presidente della Repubblica, come avviene oggi per il CSM unico. Tuttavia, cambiano le modalità di selezione dei membri. Ogni Consiglio sarà composto:

  • Per un terzo, da persone esterne alla magistratura (professori universitari di materie giuridiche e avvocati), individuati attraverso un sorteggio da un elenco predisposto dal Parlamento in seduta comune.

  • Per i restanti due terzi, da magistrati interni, distinti tra giudicanti e requirenti, selezionati sempre tramite sorteggio tra coloro che presentano determinati requisiti di carriera e professionalità.

I vicepresidenti di ciascun Consiglio saranno scelti tra i membri estratti dall’elenco parlamentare, rafforzando la componente laica e teoricamente meno esposta alle dinamiche interne alla magistratura. Questa nuova formula mira a ridurre l’influenza delle correnti e delle logiche di appartenenza all’interno degli organi di autogoverno, da tempo oggetto di critiche.

L’Alta Corte disciplinare: un nuovo arbitro per il comportamento dei magistrati

Oltre alla ridefinizione dei Consigli, la riforma introduce un nuovo organismo: l’Alta Corte disciplinare. Si tratta di un’istituzione autonoma che avrà il compito di valutare le condotte dei magistrati e di irrogare eventuali sanzioni. In altre parole, sarà il giudice dei giudici.

L’Alta Corte sarà composta da 15 membri, selezionati con modalità miste:

  • 3 giudici saranno direttamente nominati dal Presidente della Repubblica;

  • 3 saranno estratti a sorte da una lista predisposta, anche in questo caso, dal Parlamento in seduta comune;

  • 6 membri verranno sorteggiati tra i magistrati giudicanti che abbiano maturato specifiche competenze ed esperienza;

  • 3 giudici saranno invece selezionati tra i magistrati requirenti, sempre tramite sorteggio e sulla base di criteri oggettivi.

Il presidente dell’Alta Corte verrà scelto tra i componenti di nomina presidenziale o parlamentare, escludendo quindi le figure interne alla magistratura per rafforzarne l’imparzialità.

Un ulteriore elemento innovativo è la possibilità di impugnare le decisioni dell’Alta Corte. Tuttavia, i ricorsi non saranno affidati a un altro organo, bensì alla stessa Alta Corte, che verrà però convocata con una composizione differente rispetto a quella che ha emesso il primo verdetto.

Le reazioni del Governo e della maggioranza

Per l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, la riforma rappresenta un tassello chiave nel percorso di modernizzazione della giustizia. La premier ha sottolineato come l’obiettivo sia quello di costruire un sistema più “giusto e trasparente”, capace di garantire tempi certi e imparzialità nei processi. Il governo rivendica l’intervento come una risposta concreta a un’esigenza di equilibrio tra accusa e giudizio, da tempo avvertita nell’opinione pubblica secondo la maggioranza.

Sulla stessa linea i rappresentanti della Lega, che parlano di un “passaggio storico” destinato a rafforzare l’indipendenza del giudice rispetto a un pubblico ministero considerato finora troppo influente. La separazione delle carriere, affermano, aiuterà a scardinare le logiche corporative e correntizie che hanno inciso negativamente sulla credibilità della magistratura.

Anche Forza Italia accoglie positivamente la riforma. Il deputato Enrico Costa la definisce un atto di giustizia interna al sistema giudiziario, utile a tutelare i magistrati meritevoli e a colmare un vuoto disciplinare che ha spesso lasciato impuniti errori e abusi. Secondo Costa, l’assetto attuale ha favorito squilibri di potere, che ora verrebbero finalmente riequilibrati.

Le critiche dell’opposizione

Sul fronte opposto, le opposizioni denunciano un’operazione ideologica e pericolosa. Per il Partito Democratico, la separazione delle carriere non migliora l’efficienza della giustizia, ma serve a indebolire l’autonomia dei magistrati, subordinandoli al potere esecutivo. Debora Serracchiani ha parlato di “un attacco alla Costituzione”, volto a trasformare la giustizia in uno strumento nelle mani del governo di turno.

Più radicale la condanna del Movimento 5 Stelle, che attraverso il senatore Roberto Scarpinato – già magistrato antimafia – ha evocato un ritorno a logiche autoritarie. Secondo lui, questa riforma rompe il delicato equilibrio stabilito dopo la caduta del fascismo, col rischio di riavvicinare la magistratura al potere politico, come accadeva nei regimi del passato.

A queste preoccupazioni si aggiunge la voce di Angelo Bonelli, esponente di Alleanza per la Sinistra/Verdi, che mette in guardia dalla trasformazione del pubblico ministero in una figura sbilanciata e “militante”, ridotta a braccio operativo dell’accusa. Un modello, avverte, che snatura la funzione costituzionale del PM, chiamato a cercare la verità e non a vincere il processo.

Prossimi passi

Il testo dovrà ora tornare alla Camera per la terza lettura e successivamente di nuovo in Senato, seguendo l’iter previsto per le modifiche costituzionali. Qualora venisse approvato in via definitiva senza il quorum dei due terzi, potrebbe essere sottoposto a referendum popolare.

Nel frattempo, lo scontro politico si intensifica e il dibattito sul ruolo della magistratura si fa sempre più centrale. In gioco non c’è solo un nuovo assetto organizzativo, ma una visione opposta del rapporto tra giustizia, politica e cittadini.

Il dossier del Senato sulla separazione delle carriere dei magistrati

Qui il documento completo.

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