Per vivere a New York servono 10.000 $ al mese: viaggio nella città più ricca (e più dura) d’America

Agosto 16, 2025 - 03:00
 0
Per vivere a New York servono 10.000 $ al mese: viaggio nella città più ricca (e più dura) d’America
Generico 11 Aug 2025

Dopo aver varcato le porte di Ellis Island, dove per milioni di persone iniziava il viaggio americano, eccoci a Manhattan: il punto d’arrivo simbolico ma anche il luogo in cui la promessa dell’America si misura con la realtà più dura. Qui il pendolo della storia dell’immigrazione non è solo memoria: è vita quotidiana, fatta di opportunità, competizione e di un costo di esistenza che non lascia tregua.

Il nostro viaggio nel Nord America è proseguito in direzione sud, da Toronto a Boston e Cape Cod fino a New York. Pre gli altri con me é la loro prima volta nella Grande Mela. Io invece la conobbi già nel 1985, quando a 21 anni ci trascorsi un mese intero dall’1 al 31 agosto.

All’epoca, insieme a un caro amico, decisi di abbandonare le solite estati in Grecia o in Corsica zaino in spalla, per toccare con mano quella che per noi ragazzi milanesi era l’orizzonte lontano di tanti sogni: dai film western ai grattacieli, dal mito NBA all’idea di una città che non dorme mai.

Con un budget minimo scegliemmo un ostello sulla 23ª strada ovest, allora un quartiere vicino al Village piuttosto ruvido, aperto solo a stranieri per evitare ospiti indesiderati. Pochi dollari a notte per un crogiuolo di giovani da tutto il mondo, una camerata, letti a castello, vista sulle danesi. Passammo quel mese a camminare per ogni angolo della città, a seguire concerti gratuiti all’aperto, a giocare a tennis sulla terra nera di Central Park, a fare gite fino a Jones Beach. Un giorno, ad Harlem, partecipammo a una vera messa gospel: non per turisti, ma quella di una comunità viva che ci accolse, ci fece cantare e ballare con loro. Un momento unico, che porto ancora negli occhi.

Generico 11 Aug 2025

Oggi, quarant’anni dopo, chiedo ogni giorno quale sia la loro impressione. Sorprendentemente, e separatamente, mi rispondono allo stesso modo: “Non è così diversa da come ce la aspettavamo. Mi ricorda Milano e altre grandi città occidentali che si somigliano sempre di più. Mio figlio conferma: certo, i grattacieli e i musei sono enormi, le auto gigantesche, ma l’atmosfera non gli è estranea. Le stesse marche globali, Nike, McDonald’s, Apple, e l’inglese onnipresente nei cartelloni e nel linguaggio comune, creano un senso di familiarità.

Per me, invece, la sensazione è più complessa. La città non è cambiata nella sua essenza, ma si è iper-accelerata. Le aree degradate sono state rase al suolo o ripulite; al loro posto sono sorti immensi complessi residenziali, commerciali e direzionali. L’ultimo dei quali, Hudson Yaards, è stato un investimento da 22 miliardi di dollari. L’impronta di fondo però è la stessa: concentrare capitale, attrarre talenti, monetizzare lo spazio urbano.

Dietro le luci, sempre, c’è la fatica di viverci. A Manhattan, dopo la pandemia e con l’inflazione degli ultimi anni, per vivere, e non solo sopravvivere, servono circa 10.000 dollari al mese. Questo significa che, se non sei un broker di Wall Street, devi fare più lavori o essere almeno in due in famiglia per sostenere le spese dell’affitto. Una delle guide che ci accompagna lo fa da molti anni: conduce tour cinque giorni a settimana, spesso affiancando alle mezze giornate un secondo tour privato di otto ore, dalle 13 fino a tarda sera. “Serve per far quadrare i conti” racconta “perché qui tutto costa: l’affitto, il cibo, i trasporti, una semplice birra o un caffè… e poi le assicurazioni: sanitaria, legale. In questa città ogni relazione è anche una transazione, dietro c’è sempre un contratto e, spesso, un avvocato. Ad esempio mia moglie ha fatto negoziare ad un legale specializzato il suo stipendio da neo-medico”.

Davanti al nostro hotel, la chiesa luterana offre distribuzione di cibo gratuito. In fila, persone comuni: lavoratori della ristorazione, addetti alle pulizie, spesso ispanici. A guardarli, non sembrano indigenti, ma senza quel pasto quotidiano non ce la farebbero.

Ma la potenza dei soldi sopravanza tutto. Lo Stato di New York abbia il PIL pro capite più alto degli Stati Uniti: circa 117.300 dollari nel 2024, precedendo Massachusetts e Washington. Inoltre, il PIL totale dello Stato, 2,3 trilioni di dollari, è superiore a quello dell’Italia intera. Se fosse un Paese indipendente, sarebbe l’ottava potenza economica mondiale, appena sotto Francia e Regno Unito.

Generico 11 Aug 2025

L’area metropolitana di New York, che comprende anche parti di New Jersey, Connecticut e Pennsylvania, sfiora invece i 2,6 trilioni di dollari di PIL: la più grande economia urbana al mondo, davanti a Tokyo e Los Angeles. E al cuore di questa potenza c’è Wall Street: la Borsa di New York da sola capitalizza oltre 27.000 miliardi di dollari, più di qualsiasi altro mercato al mondo, muovendo ogni giorno volumi di scambio superiori al PIL annuale di molti Paesi.

In questo contesto, la scala dei patrimoni diventa ancora più impressionante. C’è la storia di Shlomi Reuveni, broker israeliano arrivato negli Stati Uniti quarant’anni fa senza soldi, oggi impegnato a vendere il suo stesso attico da 150 milioni di dollari in cima alla torre residenziale più alta del mondo: 10.000 piedi quadrati, piscina privata, sala cinema, vista su tutta Manhattan. È il simbolo dell’accumulo estremo, dove il valore di un singolo bene diventa status e barriera insieme.

Forse è per questo che, camminando oggi per New York sento la città come un grande respiro che va e viene: partenze e ritorni, addii e ricongiungimenti, scelte definitive e ripensamenti. Un pendolo che, proprio come a Ellis Island, non smette mai di oscillare.

New York è anche una tela su cui generazioni di artisti hanno proiettato il proprio conflitto con il mondo. Qui si viene per cercare libertà e riconoscimento, ma spesso si finisce per raccontare e denunciare proprio le strutture sociali, economiche e civili che questa città incarna al massimo grado. Il MoMA, con le sue sale colme dei capolavori più influenti degli ultimi due secoli, è la consacrazione definitiva: una volta entrato lì, un artista diventa parte della storia dell’arte. Eppure, molti di quegli stessi artisti hanno usato le loro opere per smascherare le contraddizioni, i disequilibri e le illusioni del sistema capitalistico che li celebra.

In questo paradosso, una città che è al tempo stesso musa e bersaglio, rifugio e vetrina, luogo di sogni e specchio delle sue disuguaglianze, sta forse la sua verità più profonda. New York è il massimo laboratorio umano non perché promette di eliminare i conflitti, ma perché li espone senza filtri e li trasforma in materia viva, da guardare, raccontare e, qualche volta, provare a cambiare.

L'articolo Sinner e Bellucci, doppia semifinale azzurra tra Cincinnati e Sumter sembra essere il primo su VareseNews.

Qual è la tua reazione?

Mi piace Mi piace 0
Antipatico Antipatico 0
Lo amo Lo amo 0
Comico Comico 0
Furioso Furioso 0
Triste Triste 0
Wow Wow 0
Redazione Redazione Eventi e News