Ponte Morandi, mons. Tasca: “Fare memoria significa scegliere la speranza”

A sette anni dal crollo del Ponte Morandi, Genova si è fermata per ricordare le 43 vittime di una delle tragedie più drammatiche della storia recente del Paese. Al Memoriale 14 agosto, sorto nei pressi del pilone 9, l’arcivescovo di Genova, mons. Marco Tasca, ha presieduto la commemorazione, sottolineando con parole toccanti il valore della memoria, il dolore ancora vivo nei cuori e l’urgenza di coltivare speranza e giustizia. Un richiamo forte alla responsabilità collettiva, in un tempo segnato da incertezze, affinché il ricordo diventi motore di rinascita per l’intera comunità.
Il ricordo
“Ci ritroviamo oggi, anche quest’anno, in questo luogo di memoria e di silenzio, per raccoglierci nel ricordo e nella preghiera. Il dolore che vi ha segnato sette anni fa è indelebile e resta vivo nei vostri cuori e nelle vostre case. L’eco delle grida e dei pianti di quel giorno risuona ancora – e deve risuonare ancora – nelle fibre più profonde della nostra città, facendosi sempre più sofferta e decisa invocazione di giustizia”. Lo ha detto, stamattina, mons. Marco Tasca, arcivescovo di Genova, al Memoriale 14 agosto 2025 in occasione della commemorazione delle 43 vittime del crollo del Ponte Morandi, a 7 anni dalla tragedia. “Chi percorreva il ponte sul Polcevera, in quel 14 agosto, cercava la vita. Voleva raggiungere il suo posto di lavoro o un’attività commerciale o professionale, era in viaggio per una vacanza o per lo studio, si dirigeva a visitare un amico o un parente… Atti semplici, ma intrinsecamente rivolti al futuro”, ha ricordato il presule.
L’annuncio della speranza
“Viviamo oggi tempi complessi, attraversati da inquietudini profonde: guerre che devastano popoli e uccidono innocenti; ingiustizie sociali che lacerano comunità e impediscono la crescita dei più giovani; malattie – fisiche e spirituali – che affliggono soprattutto chi è più povero e solo – ha proseguito l’arcivescovo -. Un senso diffuso di smarrimento toglie spesso vigore ai desideri e spegne lo slancio del cuore. In questo contesto, il futuro è visto con preoccupazione e non con fiducia. L’annuncio della speranza, che la Chiesa propone con insistenza in questo anno giubilare, potrebbe suonare come un’esortazione eccessivamente ottimistica, forse persino fuori tempo, inidonea a leggere il presente”. Invece, “proprio le tragedie e i dolori ci impegnano a coltivare i semi della speranza. Non una speranza generica o ingenua, ma la speranza che deriva dall’ascolto, dalla prossimità, dalla solidarietà concreta. La speranza nasce dall’essere una comunità che si stringe, soprattutto quando è ferita, sconfortata, spaventata. Per noi cristiani, questa speranza porta il nome di Gesù di Nazaret, il cui Spirito continua a rendere presente in noi, lungo la storia, il suo amore, la sua salvezza, la sua vita. La speranza rappresenta perciò non solo una virtù teologale, ma anche un valore e un obiettivo che può informare l’azione politica e la vita sociale”.
Onorare la memoria
Per mons. Tasca, “onorare oggi la memoria dei nostri fratelli e delle nostre sorelle scomparsi impone non soltanto di ricordare il passato, ma anche di scegliere, ogni giorno, di non arrenderci alla sfiducia recriminatoria, di non cedere alla chiusura individualista, di non lasciarci condizionare dalla paura paralizzante. Fare memoria significa scegliere la speranza”. Come comunità civile e come Chiesa, “siamo chiamati a coltivare insieme la speranza: quella che si costruisce con gesti pazienti di servizio per il bene comune, con il rispetto delle regole e dei principii che ci uniscono, con il coraggio di guardare al futuro senza dimenticare i successi, ma anche gli errori e le tragedie, del passato”. Anche nei momenti più oscuri, secondo l’arcivescovo, “è possibile intravedere un’apertura, uno spiraglio, una luce: è possibile distinguere i tratti luminosi della speranza, che ha la forma dell’amore familiare e amicale, della dedizione nel proprio lavoro, della fedeltà di chi, giorno dopo giorno, sceglie di edificare e non di distruggere. Lo vediamo nel desiderio, così diffuso, di vivere in una Genova più giusta, sicura e accogliente. Lo vediamo – e ci commuove – nei volti di chi oggi è qui, con discrezione e affetto, per ricordare e pregare, ma anche per costruire un domani migliore”. “Che la celebrazione di oggi sia per tutti noi non un rito formale, ma un appello condiviso alla responsabilità. E che questa radura possa essere spazio di memoria, ma parimenti di rinascita, di futuro, di speranza”, l’auspicio finale.
Fonte: Agensir
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