Tre cerimonie per una sola resa

AGI - Per chiudere sei anni e otto mesi di guerra in Europa ci vollero tre distinte negoziazioni di resa: a Caserta, a Reims e a Berlino, nel maggio 1945. Della prima, imbastita in segreto in Svizzera tra gli americani e le SS (Operazione Sunrise), i sovietici erano stati tenuti all'oscuro fino a quando non fu più possibile celare quella manovra spionistico-diplomatica; la seconda, in Francia, fu conseguenza diretta del crollo verticale dell'esercito tedesco, e l'Armata Rossa era rappresentata da un osservatore come nella prima; la terza venne imposta da Stalin a distanza di poche ore dalla seconda, per sancire la pienezza della sua vittoria anche nella capitale di Adolf Hitler, dove sul Reichstag sventolava la bandiera rossa con falce e martello. Quello che sarebbe accaduto dopo l'avrebbero scritto i vincitori, ed è scritto nella storia. L'alleanza antinazista presentava già profonde crepe e dalle macerie della seconda guerra mondiale ci si avviava a rapidi passi verso il bipolarismo ideologico e militare della guerra fredda.
La fine delle ostilità in Italia arriva in anticipo
Il 29 aprile, dopo una lunga trattativa avviata sin da febbraio dal generale SS Karl Wolff, che su incarico di Hitler deteneva il potere assoluto in Italia, al quartier generale alleato di Caserta veniva apposta la firma sulla resa di tutte le truppe tedesche e di quelle aggregate alla Wehrmacht. Ovvero l'esercito repubblichino e le milizie saloine, che appartenendo a un governo non riconosciuto, non potevano negoziare direttamente. E infatti il Maresciallo Rodolfo Graziani aveva sottoscritto una delega a uno dei due plenipotenziari tedeschi, il maggiore Eugen Wenner per Wolff (SS) e il colonnello Victor von Schweinitz per il generale Heinrich von Vietinghoff-Scheel (Wehrmacht). Erano ambedue in borghese, un particolare molto significativo. Si parla di resa con onore, come se nulla fosse accaduto nei 600 giorni di occupazione. Il documento era stato redatto già il 10 aprile, ma convincere i militari era stata dura anche per l'SS Wolff, impegnato a guadagnarsi l'immunità per i suoi crimini. L'accordo venne siglato alle 14.30 con decorrenza da mezzogiorno del 2 maggio. I tedeschi, al cospetto dei generali William Morgan e Brian Robertson e del sovietico Aleksej P. Kislenko, si impegnavano a non distruggere gli impianti industriali e logistici e le infrastrutture dell'Italia settentrionale; gli angloamericani avevano già rassicurato che non avrebbero consegnato i prigionieri di guerra a Stalin, ma dai patti sono stati unilateralmente esclusi i cosacchi, gli ucraini e i volksdeutsche croati e cechi che venivano considerati paramilitari. Quella resa che abbreviava la guerra sembrava stesse per saltare già l'indomani. Il Maresciallo Albert Kesselring, rientrato dalla licenza di convalescenza, ignaro di tutto e furioso per quella iniziativa che per lui era alto tradimento, ordinò di mettere agli arresti Vietinghoff e il capo di stato maggiore Hans Roettiger. Wolff e Roettiger, come contromossa, ordinarono a loro volta di arrestare gli ufficiali inviati da Kesselring come loro sostituti. Il I maggio l'annuncio alla radio della morte di Hitler fece sì che Kesselring venisse convinto da Wolff che l'evento aveva sciolto automaticamente lui e tutti i soldati tedeschi dal giuramento di fedeltà al Führer. In ogni caso alle 22.30 il generale Traugott ordinò di propria iniziativa alla 10ª armata il cessate il fuoco per le ore 14 del 2 maggio. In realtà, superata l'ostilità di Kesselring, a mezzogiorno non si combattva più, tranne che in isolate zone dove i tedeschi cercarono di riguadagnare la via del Brennero, con altre inutili centinaia di vittime civili e militari.
Il generale Alfred Jodl in alta uniforme e bastone da maresciallo
Un tentativo tedesco in extremis per limitare i danni in una situazione disastrosa e irreversibile si scontrò contro l'irriducibilità degli Alleati nello stare ai patti con l'Unione Sovietica. A Reims non c'era davvero nulla da negoziare per la delegazione tedesca giunta il 6 maggio al quartier generale supremo (Shaef) del comandante Dwight Eisenhower. E persino l'ipotesi politicamente e militarmente suggestiva di una capitolazione dell'esercito tedesco solo sul fronte occidentale, che il neo cancelliere succeduto a Hitler, grand'ammiraglio Karl Dönitz, aveva raccomandato al plenipotenziario generale Alfred Jodl, era stata fatta cadere nel gelo. L'unica via praticabile era la resa totale e incondizionata. Berlino era caduta, stritolata dall'assedio sovietico. In Francia il più alto in grado della delegazione tedesca era il generale Alfred Jodl, vertice dell'Oberkommando der Wehrmacht. La sua firma era arrivata alle 2.41 del 7 maggio: «con l'autorità concessaci dall'Alto Comando Tedesco, davanti al Comando Supremo Alleato e all'Alto Commando Sovietico, dichiariamo la resa incondizionata di tutte le forze di terra, di mare e dell'aria, che a questa data sono sotto controllo tedesco» con decorrenza alle ore 23.01 dell'8 maggio. Solo che, per l'ora di Mosca, quel momento era già il 9 maggio. A Reims, in rappresentanza di Stalin e dell'alto comando sovietico, c'era il generale d'artiglieria Ivan Susloparov. Ma questo non bastava al signore del Cremlino.
La capitolazione-bis voluta da Stalin
Con la scusa che il documento di resa non era stato firmato direttamente dal Comando supremo tedesco, ma in realtà proprio per soddisfare la volontà di protagonismo di Stalin, la cerimonia venne replicata di lì a poche ore a Karlshorst, a Berlino, dove era stato fissato il comando sovietico. Il Maresciallo Georgij Žukov, vincitore della battaglia nella capitale del Terzo Reich, riceveva nelle sue mani il documento di capitolazione sottoscritto dal Feldmaresciallo Wilhelm Keitel, dal generale Hans-Jürgen Stumpff e dal grand'ammiraglio Hans Georg von Friedeburg, vertici di esercito, aeronautica e marina. La controfirma per accettazione, oltre a quella di Žukov, anche quella del Maresciallo dell'aria britannico Arthur W. Tedder, vice comandante supremo della forza di spedizione alleata. A quel punto i sovietici offrirono un banchetto ai delegati di Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia. La seconda guerra mondiale, almeno in Europa, era formalmente terminata. Ma scontri e combattimenti continuarono a protrarsi fino al 15 maggio, soprattutto da parte di unità tedesche che cercavano disperatamente di aprirsi un varco per consegnarsi agli Alleati, pur di non cadere nelle mani dell'Armata Rossa.
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