Sneakers sotto attacco: i giganti delle calzature chiedono a Trump l’esenzione dai dazi

Lo spettro dei dazi trumpiani fa tremare anche il mondo delle calzature. Arriva da lì, infatti, l’ultimo appello rivolto al Presidente degli Stati Uniti, levato da alcuni dei brand sportivi di footwear più rilevanti oltreoceano, tra cui Nike, Adidas, Skechers e Under Armour.
Un’invocazione ufficiale arrivata alla Casa Bianca dalla Footwear Distributors and Retailers of America (Fdra) nella forma di una lettera che chiede un’esenzione dai cosiddetti dazi reciproci, i quali secondo l’associazione di categoria – che rappresenta il 95% dell’industria calzaturiera a stelle e strisce – rappresentano una “minaccia esistenziale” per il comparto.
La lettera è firmata da 76 marchi di calzature, tra cui i sopraccitati brand distribuiti e noti in tutto il mondo, a testimonianza della rilevanza che il tema gioca all’interno della partita commerciale di tutte le filiere.
“Molte aziende che producono calzature a prezzi accessibili per le famiglie lavoratrici a basso e medio reddito – recita l’appello – non possono assorbire tariffe doganali così elevate, né possono trasferire questi costi agli altri. Senza un immediato sollievo dalle tariffe reciproche, semplicemente chiuderanno”.
E ancora: “Molti ordini sono stati sospesi e le scorte di calzature per i consumatori statunitensi potrebbero presto esaurirsi”.
L’associazione di categoria ha affermato che il settore, che ha delocalizzato in Cina e in altri Paesi colpiti dai dazi, si trova già ad affrontare imposte significative.
Il sistema tariffario annunciato da Trump il 2 aprile includeva imposte su un panorama di Paesi chiave in quanto fornitori di calzature, tra cui – oltre alla Cina – Vietnam e Cambogia. Attualmente, le aliquote originarie superiori al 45% sono state ridotte al 10% per un periodo di stand-by della durata di 90 giorni, mentre resta effettivo il 154% sulle importazioni cinesi.
Se lo stop concesso da Trump dovesse effettivamente interrompersi, il regime prospettato sarà effettivo all’inizio di luglio, con conseguenze già da mesi temute dai colossi dello sportswear, sia sul fronte di vendite e marginalità sia su quello relativo all’equilibrio della propria catena di approvvigionamento.
Nike, in particolare, spiegava Reuters, rischia di subire un duro colpo nel pieno del suo processo di rilancio in seguito al declino delle vendite, proprio per via delle imminenti tariffe imposte dagli Usa sulle importazioni dal Sud-est asiatico. Il cruciale Vietnam, in particolare, che vanta un surplus commerciale di 123,5 miliardi di dollari con gli Stati Uniti, si è in effetti rivelato tra gli obiettivi primari della strategia trumpiana.
Non molto più rosea la situazione in cui versa Adidas: se Nike produce il 50% delle sue calzature e il 28% del suo abbigliamento in Vietnam, stando ai dati del 2024, la sua rivale Adidas è lievemente meno esposta ma pur sempre interessata, con il 39% e il 18% rispettivamente di calzature e abbigliamento prodotti nel Paese.
Si tratta di un’emergenza che richiede un’azione e un’attenzione immediate. L’industria calzaturiera americana non ha mesi per adattare i propri modelli di business e le proprie catene di approvvigionamento, assorbendo al contempo questo regime tariffario senza precedenti e imprevisto”, ha scritto l’associazione.
Il gruppo ha inoltre avvertito che i dazi non porteranno al ritorno della produzione negli Stati Uniti, come promesso da Trump, perché fanno venire meno la solidità di cui le aziende hanno bisogno per investire nei cambiamenti in termini di approvvigionamento.
La vicenda lascia emergere delle analogie con quella del fast fashion, anch’esso verosimilmente spaventato dalle possibili, e già prevedibili, conseguenze di un nuovo assetto tariffario che non potrà che porre i brand di fronte a due vie: l’aumento dei prezzi, a discapito della marginalità o (più probabilmente in un primo momento) del consumatore finale, e il ripensamento della supply chain.
Ma quest’ultimo è più complesso e di attuazione difficilmente immaginabile per catene di approvvigionamento frammentate e strategicamente legate, per convenienza economico-politica e ormai consolidate dinamiche produttive, alla Cina e al Sud-est asiatico.
Primo appello ufficiale da parte delle associazioni commerciali rivolto direttamente all’amministrazione Trump, quello delle calzature sarà difficilmente l’ultimo, in uno scenario di generale preoccupazione che spaventa i brand dentro e fuori dai confini degli Usa.
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