Trump forza il diritto internazionale per estrarre minerali dagli abissi marini

In quest’epoca già stracarica di tensioni e preoccupazioni, che spaziano dalle guerre che dovevano concludersi al semplice scoccar delle dita del tycoon ai dazi copiosamente minacciati a dritta e a macina, non si sentiva davvero il bisogno di un’ulteriore elemento d’incertezza che si riverbera sulla vita stessa dell’intero pianeta: una nuova e terrificante minaccia ambientale, che promana riflessi negativi sia sugli equilibri politici degli Stati sovrani oltre che sull’ambiente dell’intero pianeta.
Vediamo di capire cosa sta succedendo o, meglio, di capire cosa potrebbe accadere in conseguenza dell’approvazione da parte del governo degli Stati Uniti della legge che riguarda l’estrazione di minerali (rari e non…) dagli abissi marini: la cosiddetta “deep sea mining”.
Bisognava aspettare solo un po' di tempo ed ecco che nello stretto range dei primi cento giorni l’incontenibile “The Donald” si cimenta adesso col deep sea mining, facendo arrivare il via libera statunitense all’estrazione mineraria dai fondali marini; questa contestata pratica finalizzata allo sfruttamento degli abissi per l’estrazione di materie prime necessarie per l’industria più avanzata delle economie planetarie, è arrivato con l’ordine esecutivo emanato a seguito delle pressioni aziendali di un settore, quello minerario, che da tempo prova, a livello globale, di forzare il dibattito ancora in corso all’Isa (International seabed authority), ossia l’autorità internazionale sui fondali marini, nata da un’iniziativa dell’Onu, che da anni sta provando a dare regole, a livello globale, all’intero settore.
Ricordiamo, inoltre, il fatto che entro il 2025 l’Isa dovrebbe emanare un regolamento sullo sfruttamento delle risorse minerarie presenti nei fondali oceanici che si estendono oltre i limiti delle giurisdizioni nazionali, attualmente considerati dalla Convenzione Unclos come patrimonio dell’umanità. Una discussione complessa, che inizia nel 1994 e che riguarda uno degli ecosistemi più fragili, complessi e ancora pressoché semisconosciuti del pianeta.
Ed ecco il 24 aprile arrivare, come da prassi dell’amministrazione statunitense trumpiana, una clamorosa (ma non inaspettata) accelerazione che rischia di infliggere un colpo mortale alla tutela ambientale planetaria.
Tutto questo, va detto e sottolineato, non sorprende; infatti, uno dei motti della campagna elettorale che ha portato alla vittoria nell’ultime presidenziali di Trump era: “drill, baby, drill” ed estrarre a più non posso risulta essere l’obiettivo che, incurante di ogni devastante impatto ambientale e alle inevitabili conseguenze climatiche. Trump, in questo caso, è stato di parola!
Infatti, e senza tentennamenti, l’ordine esecutivo del 24 aprile 2025, firmato personalmente da “The Donald” e intitolato “Unleashing America’s offshore critical minerals and resources” riafferma l’irrinunciabile necessità statunitense dei cosiddetti noduli polimetallici, contenuti nei fondali marini e, più in generale, di ciò che gli abissi oceanici possono contenere: minerali e metalli fondamentali come nichel, cobalto, rame, manganese, titanio e altre terre rare.
Questa unilaterale forte, presa di posizione da parte del governo degli Usa, potrebbe minare dalle fondamenta la cooperazione multilaterale e le Nazioni Unite; The Metals Company, una società mineraria specializzata alle estrazioni in acque profonde, ha dichiarato la propria intenzione di lavorare con l’amministrazione Trump “al di fuori del quadro normativo stabilito dalle Nazioni Unite” per iniziare prima possibile l’estrazione mineraria nella zona di “Clarion Clipperton” nell’Oceano Pacifico, una regione ricca di minerali e che si trova al di fuori della giurisdizione degli Stati Uniti; naturalmente questa dichiarazione è stata accolta con un forte rimprovero internazionale espresso nelle opportune sedi internazionali, e non poteva essere diversamente.
Ci poniamo di fronte a questa nuova insidia ambientale che, in ipotesi, potrebbe determinare seri ed irreversibili ferite agli ecosistemi marini, chiedendo alla comunità internazionale di rifiutare l’accettazione di quest’ennesima irrazionale ed illogica forzatura americana che, di per sé, costituisce un generale indebolimento della cooperazione internazionale e chiediamo di considerare la necessità di indire una moratoria globale sull'estrazione in alto mare. Non si capisce con quale diritto il governo americano può permettere, unilateralmente, a un'industria di poter seriamente danneggiare il patrimonio comune appartenente all'umanità intera e di strappare dalle profondità marine un profitto enorme che andrebbe a vantaggio esclusivamente di poche multinazionali.
Qual è la tua reazione?






