Ecco perché il Cpr di Ponte Galeria va chiuso

Un autorevole gruppo di accademici, con l’adesione di numerose associazioni della società civile, ha promosso un ricorso contro il Ministero dell’Interno, in sostituzione del Sindaco di Roma. Si tratta dell’esercizio dell’azione popolare ai sensi dell’art. 9, comma 1, del Testo Unico degli Enti Locali, con l’obiettivo di ottenere la chiusura del Centro di Permanenza per i Rimpatri (CPR) di Roma Ponte Galeria. Il fondamento normativo dell’iniziativa risiede nello Statuto di Roma Capitale, approvato nel 2013, che definisce la città come comunità multiculturale, centro della cristianità e portatrice di valori costituzionali e umanitari.
L’articolo 1 dello Statuto sancisce l’impegno dell’ente per la tutela dei diritti individuali, il divieto di discriminazioni, la valorizzazione delle differenze culturali e la promozione della convivenza civile. È proprio questo impianto valoriale a risultare, secondo i ricorrenti, gravemente compromesso dalla presenza e dalla gestione del CPR di Ponte Galeria, ritenuto lesivo dell’identità statutaria della città. Nel ricorso si delinea un quadro estremamente critico del centro: un luogo segnato dal degrado, in cui la dignità umana delle persone trattenute risulta sistematicamente compromessa, a causa di gravi carenze igienico-sanitarie, di un ricorso generalizzato alla somministrazione di psicofarmaci e dell’assenza di reali percorsi di presa in carico delle vulnerabilità. È fondamentale ricordare che nei CPR il trattenimento delle persone migranti non è legato all’aver commesso un reato, ma alla sola condizione di irregolarità amministrativa sul territorio dello Stato. Il trattenimento avverrebbe inoltre in assenza delle garanzie tipiche del sistema penitenziario e, più in generale, senza una cornice normativa che ne disciplini modalità e limiti. A tal proposito, la Corte costituzionale, con la recentissima sentenza n. 96/2025, ha riconosciuto la mancanza di una disciplina legislativa sui modi del trattenimento, in violazione dell’art. 13, comma 2, della Costituzione.
Il contesto è ulteriormente aggravato da numerosi episodi di autolesionismo, tentativi di suicidio e, da ultimo, dalla tragica morte di Ousmane Sylla, giovane di 22 anni. Le sue richieste d’aiuto, rimaste inascoltate, e la mancanza di dispositivi salvavita sono state interpretate dai ricorrenti come manifestazione di un fallimento istituzionale. La legittimazione ad agire deriva dall’art. 9 del TUEL, che attribuisce a ogni cittadino elettore la facoltà di proporre ricorso in sostituzione dell’amministrazione comunale inerte. A seguito di due diffide formali rivolte al Sindaco di Roma, rimaste prive di riscontro, i ricorrenti hanno attivato l’azione popolare, subentrando legittimamente al Comune. È opportuno chiarire che l’azione popolare non si configura come una revisione delle scelte politiche dell’ente, ma come uno strumento di supplenza volto a garantire la tutela giuridica in presenza di diritti rientranti nella sfera di titolarità dell’amministrazione locale. In questo caso, il diritto rivendicato è quello all’identità cittadina, declinato nella sua dimensione valoriale. Secondo i ricorrenti, la presenza del CPR di Ponte Galeria — più volte oggetto di condanne da parte di organismi internazionali, come il Comitato per la prevenzione della tortura (CPT) e la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), e sede di ripetute proteste — determina una lesione significativa dell’identità e dell’immagine della Città di Roma e della sua comunità.
L’iniziativa è nata grazie all’impegno di illustri esponenti del mondo accademico e giuridico romano, che hanno assunto il ruolo di ricorrenti principali. Ma il suo significato politico e civile si è progressivamente ampliato: oggi, infatti, un numero sempre più ampio di associazioni, organizzazioni non governative ed enti del terzo settore ha scelto di aderire formalmente come intervenienti. Tra queste, realtà storicamente impegnate nella tutela dei diritti umani e nella promozione della giustizia sociale, ma anche associazioni che operano direttamente nell’ambito della salute e dell’intervento medico, come A Buon Diritto, ActionAid, Antigone Lazio, Arci, ASGI, Baobab Experience, Casa dei Diritti Sociali, CGIL Roma e Lazio, CILD, Cittadinanzattiva, Medici Senza Frontiere, Nonna Roma, Oxfam Italia, Progetto Diritti, Psichiatria Democratica, SIMM – Società Italiana di Medicina delle Migrazioni, Spazi Circolari. La loro partecipazione non è solo un atto di sostegno, ma un contributo simbolico e determinante che conferma come la chiusura del CPR di Ponte Galeria risponda all’interesse collettivo dell’intera società romana. Un interesse che trascende le singole posizioni e che affonda le sue radici nei valori condivisi di dignità, accoglienza e legalità.
Il ricorso rappresenta, dunque, una presa di posizione strutturale, finalizzata a denunciare l’inadeguatezza delle politiche migratorie italiane e l’opacità che caratterizza la gestione dei CPR. Emblematica è la partecipazione come primo firmatario di Mauro Palma, già Presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. La sua adesione testimonia la delusione di chi, da anni impegnato nella difesa dei diritti umani, oggi osserva come la propria città – sede della firma della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – sia oggetto delle censure mosse dallo stesso CPT. Al di là dell’esito processuale, il ricorso solleva un interrogativo più ampio: è ancora giustificabile, sul piano giuridico e umano, l’esistenza stessa dei CPR? Quando il trattenimento amministrativo coinvolge soggetti vulnerabili, richiedenti asilo o persone in condizioni giuridiche complesse, l’obiettivo dell’espulsione appare sempre meno in grado di legittimare i mezzi impiegati.
*Responsabile detenzione amministrativa Attiva Diritti
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