Ma chi mi assicura su che tempo farà?

Agosto 18, 2025 - 03:30
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Ma chi mi assicura su che tempo farà?

Questo è un articolo del numero di Linkiesta Magazine Climate Forward ordinabile qui.

Gli incendi in California dello scorso gennaio sono stati spenti. Ma questa tragedia, che ha causato almeno ventinove morti e oltre duecentocinquanta miliardi di dollari di danni, oltre a un mucchio di macerie, ha lasciato dietro di sé anche un’altra tempesta, che ha travolto il mondo delle assicurazioni. I risarcimenti da pagare si aggirano tra i trenta e i quaranta miliardi di dollari, tanto che State Farm, la più grande compagnia assicurativa degli Stati Uniti, ha ritirato gli spot pubblicitari del Super Bowl.

La stessa società, come altri suoi competitor, qualche mese prima aveva cancellato migliaia di assicurazioni sugli incendi per le case di Pacific Palisades, uno dei quartieri di Los Angeles più colpiti dai roghi, proprio per proteggersi dal rischio di perdite eccessive. E oltre millequattrocento proprietari della zona si erano dovuti rivolgere al Fair Plan, il piano che in California tutela i proprietari che non trovano un’assicurazione, requisito indispensabile per ottenere un mutuo.

La California è diventata così il simbolo della crisi del settore delle assicurazioni. Ma la questione è globale. Mentre incendi e alluvioni sono sempre più frequenti in tutto il mondo, la copertura dei rischi climatici sta mettendo a dura prova la tenuta economica delle compagnie assicurative. La domanda è: chi deve pagare i danni?

La stessa discussione è sorta in Italia, dopo l’ennesima alluvione in Emilia-Romagna. Dopo la Grecia, siamo il Paese europeo con il più ampio divario tra l’alto rischio di calamità naturali e il basso tasso di copertura assicurativa per questi eventi. Tanto che l’ultima legge di bilancio ha previsto l’obbligo di sottoscrivere una «polizza catastrofale», ma solo per le imprese.

Il mercato delle assicurazioni, si legge nel rapporto della campagna Insure Our Future, sta vivendo «una crisi esistenziale». Negli ultimi dieci anni, la quota di perdite assicurate attribuita ai cambiamenti climatici nel mondo è aumentata dal trentuno al trentotto per cento. Se si fa il conto degli ultimi vent’anni, le perdite ammontano a circa seicento miliardi di dollari. E le cifre da pagare crescono ogni anno, scavando nei bilanci delle compagnie, che hanno reagito in due modi: alzando i premi che i clienti devono pagare o riducendo le coperture. Nel frattempo, si stanno impennando anche i costi di riassicurazione, cioè le polizze che le compagnie acquistano a loro volta per coprirsi dai rischi.

«L’industria assicurativa si basa sulla mutualità tra assicurati, un principio che si fonda a sua volta sull’applicazione intertemporale della legge dei grandi numeri», spiega Giuseppe Corvino, che insegna Insurance management all’Università Bocconi. «Quest’ultima presuppone indipendenza e omogeneità tra i rischi assicurati. Ma i rischi derivanti da eventi atmosferici non rispettano queste condizioni: colpiscono simultaneamente vaste aree geografiche, compromettendo l’ipotesi di indipendenza, e tendono a peggiorare nel tempo, violando il principio di omogeneità».

Il problema è che «i rischi climatici non sono diversificabili nel tempo», continua Corvino. «Il premio assicurativo pagato oggi deve tenere conto del fatto che l’evento potrebbe verificarsi in futuro e che le sue caratteristiche potrebbero peggiorare. Non considerare questa evoluzione metterebbe a rischio la stabilità del settore assicurativo e, di conseguenza, la sicurezza economica della collettività».

Man mano che i disastri causati dal clima si fanno più gravi e frequenti, l’assicurazione su case e imprese diventa quindi un’attività in perdita. Sono ormai poche le zone nel mondo non interessate dagli eventi estremi. Il New York Times ha parlato di «effetto Iowa», per spiegare che anche in luoghi un tempo a basso rischio le compagnie stanno aumentando i prezzi. «La crisi climatica non riguarda solo gli orsi polari e i green job», ha ricordato il senatore democratico Sheldon Whitehouse, presidente della Commissione bilancio del Senato americano, che ha svolto un’indagine sul mercato assicurativo sotto l’amministrazione Biden. «La crisi climatica sta arrivando nella vostra casella postale, sotto forma di cancellazioni assicurative, mancati rinnovi e aumenti dei costi». Nelle contee americane più a rischio, i premi sono aumentati di oltre il ventidue per cento in tre anni.

«Sebbene l’aumento dei premi sia una risposta necessaria, non significa che debba avvenire in modo incontrollato», dice Corvino. «Per rimanere competitive, le compagnie assicurative stanno adottando nuove strategie di valutazione del rischio e di liquidazione dei sinistri, sempre più efficienti e basate su modelli predittivi avanzati».

In questo scenario, i governi giocano «un ruolo cruciale nella limitazione delle perdite potenziali». Se l’obiettivo è garantire la protezione dai rischi climatici, contenendo i costi, serviranno politiche di intervento pubblico. In Italia, l’obbligo assicurativo per le imprese è «un primo passo fondamentale», ma «sarà necessario trovare un equilibrio tra la quota di rischio gestita dal settore assicurativo e quella assorbita dalle finanze pubbliche».

Quello che deve cambiare, poi, è lo stesso business delle assicurazioni. «Le compagnie assicurative non potranno limitarsi alla sola copertura dei rischi, ma dovranno assumere un ruolo attivo nel supportare gli assicurati», dice Corvino. Non bisogna dimenticare, però, che le assicurazioni continuano a investire in asset legati ai combustibili fossili, aggravando la crisi climatica che poi si ripercuote sui loro bilanci.

Nel 2019, le stesse compagnie assicurative statunitensi che si ritiravano dai mercati colpiti dagli impatti del cambiamento climatico detenevano più di cinquecento miliardi in investimenti fossili. Nel 2024, il gruppo Assicurazioni Generali ha annunciato che avrebbe smesso di assicurare l’espansione del petrolio e del gas, diventando il primo assicuratore a livello globale ad adottare restrizioni di questo tipo. Ma poco altro si è mosso.

Durante la Cop28, è stato trovato un accordo sul fondo «perdite e danni» per le comunità più vulnerabili, ma i Paesi ricchi hanno erogato una cifra irrisoria, spingendo per un modello basato sulle coperture assicurative. Ma, se persino i milionari di Pacific Palisades non riescono a trovare un’assicurazione per le loro ville, quale polizza potranno mai permettersi i più poveri che abitano nei Paesi dell’Africa subsahariana? Nessuna, probabilmente. La crisi esistenziale delle assicurazioni interessa tanto i ricchi quanto i poveri del pianeta.

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