Il ruolo delle comunità energetiche nella transizione ecologica italiana

Agosto 18, 2025 - 03:30
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Il ruolo delle comunità energetiche nella transizione ecologica italiana

Questo è un articolo del numero di Linkiesta Magazine Climate Forward ordinabile qui.

 La transizione ecologica è una rivoluzione grande, di sistema, che non sta cambiando solo il modo di generare l’energia, ma anche i processi industriali e i mezzi di spostamento: tanti settori considerati maturi, come l’agricoltura, la siderurgia, l’automotive, l’aviazione e il trasporto marittimo, sono parte integrante di questo mutamento.

Allo stesso tempo, però, la transizione ecologica è una rivoluzione dal basso che coinvolge i cittadini e modifica il loro ruolo: non più consumatori passivi, ma parte attiva del mercato energetico, in veste di produttori. O, più correttamente, di prosumer, cioè produttori e consumatori allo stesso tempo.

Questo stravolgimento dei ruoli è favorito dalle caratteristiche delle fonti rinnovabili, che nei prossimi anni guadagneranno quote ancora maggiori nel mix di generazione elettrica. Gli impianti eolici e fotovoltaici possono essere distribuiti con relativa semplicità sul territorio italiano, perché l’input solare e ventoso è gratis ed è presente un po’ ovunque: per questo si può parlare di generazione distribuita.

A differenza delle centrali a gas, che vengono collocate in pochi siti di grandi dimensioni e dalla potenza elevata (e per le quali si usa, appunto, l’espressione «produzione centralizzata»), le rinnovabili sono più adatte a un posizionamento sparso e ad assumere una taglia piccola: una coppia di pannelli fotovoltaici, per esempio, la si può montare anche sul balcone o sul tetto di una casa. Il proprietario, poi, può sfruttarne la produzione per l’autoconsumo, oppure può venderla alla rete.

L’autoconsumo, singolo e diffuso, è solo una delle possibilità offerte dalla generazione distribuita. Con l’obiettivo di democratizzare la transizione ecologica e diffondere tra la popolazione il messaggio che il Green Deal non comporta solo spese di riconversione, ma anche opportunità economiche, l’Unione europea ha elaborato uno strumento ulteriore: le comunità energetiche rinnovabili (Cer).

Formalmente, è un soggetto giuridico; nella pratica, è un insieme di persone, enti locali, istituti religiosi e piccole imprese che si organizzano per gestire l’energia autoprodotta da fonti rinnovabili. Le Cer si distinguono dall’autoconsumo collettivo (un condominio alimentato da un dispositivo fotovoltaico) perché l’utilizzo dell’energia è svincolato dalla proprietà dell’impianto e, inoltre, perché non puntano solo al risparmio in bolletta, bensì alla formazione di «benefici ambientali, economici o sociali per i suoi membri e per le aree locali in cui operano», come spiega l’esecutivo Ue.

Possono infatti contribuire alla creazione di posti di lavoro, al rilancio dei piccoli centri e al rafforzamento della coesione sociale, attraverso l’organizzazione di assemblee e di altre attività. Nella migliore comunità energetica, insomma, si fondono l’azione per il clima, la lotta alla povertà e la promozione del senso di appartenenza a un territorio, nell’ottica di una transizione giusta per l’ambiente, la cittadinanza e il singolo.

Bisogna tuttavia ricordare che la transizione energetica – in quanto rivoluzione sistemica, come si diceva – ha bisogno, innanzitutto, di parchi rinnovabili di grandi dimensioni e dalla grande potenza installata, commercialmente validi e capaci di fornire tanta elettricità alla rete per decarbonizzare il mix di generazione.

In Italia, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) stanzia due miliardi e duecento milioni di euro per sostenere le comunità energetiche, con l’obiettivo di arrivare al giugno 2026 con almeno millesettecentotrenta megawatt di nuova capacità installata da fonti rinnovabili. Stando all’ultimo rapporto Energia e clima in Italia del GSE, la società statale che si occupa di promuovere le rinnovabili, al 30 giugno 2023 c’erano trentacinque comunità e settantaquattro configurazioni di autoconsumo collettivo nel nostro Paese, per una potenza di due virgola sette megawatt, tutti da fonte fotovoltaica.

Il presidente del GSE, Paolo Arrigoni, ha fornito qualche numero più recente: al 6 febbraio risultavano circa millecinquecento richieste di accesso al bando del PNRR per le CER, per una potenza complessiva di centoventicinque megawatt; quelle già ammesse sono novecentoventiquattro, per settanta megawatt.

Lo studio Electricity Market Report 2024 di Energy & Strategy ha fatto notare come il numero di iniziative sulle CER sia all’incirca raddoppiato dal 2023 al 2024 (ma «solo un quarto di esse sono risultate attive»): per aumentare la partecipazione allo strumento servirebbe – si legge – più supporto pubblico e più chiarezza delle informazioni, anche sul ritorno economico dell’investimento.

Le comunità energetiche si concentrano, per quasi la metà del totale, in quattro regioni: Piemonte, Lazio, Sicilia e Lombardia. Nella maggior parte dei casi il promotore è un ente pubblico «che fornisce spazi per l’installazione degli impianti e supporta l’aggregazione dei membri, allo scopo di ridurre le spese, aiutare le famiglie in situazioni di disagio economico e finanziare progetti sul territorio».

Non solo i piccoli centri, comunque, ma anche le grandi città guardano alle CER come a un mezzo utile per favorire la sostenibilità climatica e l’inclusione sociale. Il Comune di Milano, per esempio, si è dotato di una strategia in merito e vorrebbe creare cinque comunità tra Bovisa, Città Studi, Ghisolfa, Niguarda/Affori e Chiaravalle. Firenze intende costruire due CER, una nel quartiere 4 e l’altra nel quartiere 5. A Roma ce ne saranno quindici e coinvolgeranno una scuola per ogni municipio della capitale. Palermo ne avrà almeno dodici, mentre a Torino ne è nata una in zona Mirafiori Sud.

Tra le tecnologie rinnovabili consentite per le comunità energetiche rientrano l’idroelettrico, le biomasse e il biogas. Ma i pannelli fotovoltaici, che sono nettamente i più diffusi (e non a caso), sono anche i più comodi da posizionare e i meno onerosi per quanto riguarda i costi iniziali e le spese di gestione. Il limite per l’accesso agli incentivi sta nella potenza degli impianti, che non deve essere superiore a un megawatt.

Sono novecentonovantanove i kilowatt di potenza della turbina eolica collettiva che alimenta la CER di Castiglione Aldobrando, vicino Gubbio, la prima in Italia basata sull’energia del vento. La produzione stimata è di due virgola tre gigawattora all’anno, quanto serve a soddisfare il fabbisogno di novecento famiglie.

Oltre a evitare l’immissione in atmosfera di svariate tonnellate di CO₂, la comunità energetica vuole svolgere anche una funzione sociale e ha avviato una collaborazione con un centro di salute mentale su un progetto di arteterapia, con gli utenti della struttura che si occuperanno di decorare i generatori della zona.

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