Il corridoio fatale: Ucraina, NATO e l’ossessione russa per la profondità strategica

Maggio 1, 2025 - 00:30
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Il corridoio fatale: Ucraina, NATO e l’ossessione russa per la profondità strategica

di Rocco Valentino Mottola

L’aggressione militare della Federazione Russa contro l’Ucraina, cominciata nel 2022, rimane un crimine in senso stretto: un atto di forza brutale contro un paese sovrano, giuridicamente indifendibile, moralmente ripugnante. Nessuna speculazione di ordine strategico può oscurare questa evidenza. Le sofferenze inflitte, la distruzione di infrastrutture, le evacuazioni: sono ferite aperte nel tessuto della civiltà europea.
Ma il mondo, per nostra disgrazia, non è ordinato secondo le leggi della morale. Lo è secondo quelle, più impietose, della geopolitica. L’indignazione è spesso un lusso che le nazioni non si possono permettere. E in questa prospettiva più gelida, se vogliamo comprendere e non soltanto giudicare, occorre fare uno sforzo: sospendere per un istante la condanna per interrogarsi sulla causa.
Molti analisti occidentali liquidano le pretese russe circa la minaccia rappresentata dall’espansione della NATO come una foglia di fico, un pretesto, un’invenzione propagandistica. La Russia, si dice, confina già con diversi paesi dell’Alleanza Atlantica: la Norvegia, la Polonia (via Kaliningrad), e soprattutto gli Stati baltici, che sono addirittura ex membri dell’Unione Sovietica. Eppure Mosca non ha invaso l’Estonia, né ha minacciato Helsinki dopo l’adesione della Finlandia. L’argomentazione è apparentemente solida: se davvero la Russia temesse la NATO, avrebbe reagito ovunque allo stesso modo. Ma è qui che si manifesta l’inconsistenza del ragionamento. Perché l’Ucraina non è la Finlandia, né la Lettonia, né la Norvegia. L’Ucraina è qualcosa di completamente diverso: è per la Russia una faglia tettonica, una soglia esistenziale, un’ossessione geografica che si nutre di storia, paranoia e razionalità strategica. A differenza degli Stati baltici, piccoli e geograficamente compressi tra NATO e Russia, l’Ucraina è una vasta pianura senza ostacoli naturali, estesa da est a ovest per oltre mille chilometri. È un classico “corridoio d’invasione”, aperto, esposto, agevole per forze meccanizzate. Una landa aperta, che da ovest si protende verso il cuore della Russia europea. È attraverso questa pianura che passarono le armate napoleoniche e quelle hitleriane. La Russia, che è molte cose ma non ha mai dimenticato nulla, conosce troppo bene la vulnerabilità del proprio fianco occidentale. La profondità strategica è per Mosca ciò che le montagne sono per la Svizzera: una garanzia esistenziale. Nel pensiero strategico russo, la difesa del territorio nazionale è inseparabile dalla profondità strategica. La dottrina militare russa non concepisce la sicurezza come contenimento sulla linea di confine, ma come proiezione in avanti di zone cuscinetto. La perdita dell’Ucraina come spazio neutrale (o amico) significa esporre Mosca stessa alla minaccia diretta. Per comprendere questo aspetto, è sufficiente osservare una cartina: da Kharkiv a Mosca ci sono circa 500 chilometri. Missili a medio raggio potrebbero colpire la capitale in 5-7 minuti. Un tempo di reazione insufficiente persino per le contromisure automatiche.
L’adesione dell’Ucraina alla NATO, o anche soltanto la sua progressiva trasformazione in un avamposto militare occidentale, rappresenta dunque non una minaccia generica, ma un’alterazione intollerabile dell’equilibrio strutturale che per secoli ha garantito la sopravvivenza dell’impero, sotto tutte le sue incarnazioni: zarista, sovietico, federale. Non è solo una questione di basi militari o missili a breve raggio: è la riapertura di un varco, la demolizione di una fascia tampone, l’esposizione nuda del corpo russo al coltello della Storia. L’Ucraina è, inoltre, solcata da una rete ferroviaria e stradale densa, sviluppata sin dall’epoca sovietica per collegare l’industria del Donbass con i centri decisionali di Mosca. Il territorio è pianeggiante, ideale per operazioni corazzate, privo di catene montuose o fiumi significativi che possano fungere da barriere naturali. Le grandi direttrici est-ovest – come quella che collega Leopoli, Kiev e poi il bacino del Donec – costituiscono delle vere e proprie autostrade strategiche. L’ingresso della NATO in questo spazio non è dunque assimilabile a quello nei paesi baltici, dove la profondità territoriale è assente e le direttrici d’attacco sono strettamente canalizzate.
Lungi dall’essere un capriccio imperiale, l’insofferenza di Mosca per l’avvicinamento della NATO in Ucraina è il riflesso di una valutazione tecnica, condivisa da qualunque stato maggiore razionale. È per questo che la Russia ha reagito con la massima brutalità solo nel caso ucraino. La differenza con la Finlandia, che pure condivide con la Russia un ampio confine, è illuminante. La Finlandia, infatti, non costituisce una minaccia immediata: quel confine, lungo ma impervio, scorre tra foreste, laghi e tundra; il suo territorio, per quanto vasto, è militarmente arduo da attraversare, e ospita poche direttrici operative. Il confine russo-finlandese corre in gran parte attraverso fitte foreste, paludi e ampie zone disabitate, lontano da vie di comunicazione strategiche e con condizioni climatiche estreme per gran parte dell’anno: si tratta di un confine difficile da attraversare in massa, e anche da difendere, ma proprio per questo poco appetibile per un’offensiva. Il territorio ucraino, al contrario, è in gran parte pianeggiante (l’unica eccezione significativa è costituita dai Carpazi, che attraversano l’estremo occidente del paese), con steppe ampie e piatte facilmente percorribili da grandi eserciti, e, come detto, gode di infrastrutture ferroviarie e stradali ben sviluppate. Il confine russo-ucraino attraversa il bassopiano sarmatico, una vastissima distesa pianeggiante che si estende dall’Europa centrale fino agli Urali, e non vi sono montagne né fiumi significativi che fungano da barriera naturale: si tratta di un territorio che non offre profondità difensiva, cioè spazio e tempo per organizzare una risposta a un’invasione, con eventuali forze nemiche in grado di avanzare in modo rapido e diretto su più direttrici simultanee, rendendo molto difficile la pianificazione difensiva.
L’occidente finge di non capirlo. Preferisce credere alla favola dell’espansione come processo volontario, democratico, libero da implicazioni strategiche. Un paese chiede di entrare, viene accolto, e vissero tutti felici e sicuri. La geopolitica ridotta a formulario d’ammissione. Ma se davvero crediamo che l’espansione della NATO sia neutrale, allora dobbiamo credere che lo sarebbe anche un’alleanza militare guidata da Pechino che inglobasse il Messico e il Canada. Eppure nessuno accetterebbe serenamente un’alleanza militare cinese in Messico o una base missilistica russa a Tijuana (esattamente come negli anni ’60 non fu accettata l’installazione di missili sovietici a Cuba, a 300 chilometri da Miami). Le dinamiche di potenza non obbediscono al diritto internazionale. Lo invocano, quando utile, e lo accantonano, quando necessario.
La Russia ha reagito con la forza lì dove ha sentito la fine della propria capacità di proiezione. Ha scelto l’opzione più brutale, più inaccettabile, ma anche quella più coerente con la sua lunga e cinica tradizione di sopravvivenza imperiale.
Nessuna giustificazione morale, dunque. Solo una comprensione fredda. Perché l’Ucraina, per la Russia, non è uno solo uno stato vicino: è il portale da cui può arrivare l’annientamento. E nel mondo delle potenze, la paranoia è spesso solo una forma più sofisticata di memoria storica.

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