Libia, l’esperto El Bouri a Nova: “Senza riforme la Banca centrale dovrà svalutare il dinaro”

Senza rimettere ordine nel fisco, la Banca Centrale della Libia sarà costretta a svalutare il dinaro libico per far fronte al crescente deficit di valuta estera. Lo afferma Naaman el Bouri, esperto del settore bancario libico ed ex presidente della Saray Bank for Trade and Investment (Atib), in un’intervista ad “Agenzia Nova”. “Nonostante le enormi risorse petrolifere, la Libia spende più valuta straniera di quanto guadagni dalla vendita di petrolio. Con un deficit di oltre 5 miliardi di dollari nei primi sette mesi dell’anno – continua El Bouri – una misura finanziaria di questo tipo diventa una necessità se non si adottano riforme fiscali”. Il banchiere evidenzia poi i limiti del sistema di entrate e spese delle finanze pubbliche libiche. “La Libia non può contrarre prestiti sui mercati internazionali e circa il 95 per cento delle sue entrate dipende dalla vendita di petrolio”, osserva El Bouri, aggiungendo che “per soddisfare le crescenti richieste di spesa sia dei governi occidentali che orientali, la Banca Centrale ha solo due opzioni per mantenere l’economia in movimento: o svalutare i dinari libici o attingere alle sue riserve sovrane, che ammontano a circa 84 miliardi di dollari”.
Vale la pena ricordare che la Libia è ancora divisa in due coalizioni politiche e militari rivali: da un lato c’è il governo di unità nazionale del primo ministro Abdulhamid Dabaiba, con sede a Tripoli, riconosciuto dalla comunità internazionale; dall’altro il cosiddetto governo di stabilità nazionale guidato da Osama Hammad, primo ministro designato dalla Camera dei Rappresentanti, di fatto un esecutivo parallelo con sede a Bengasi vicino al generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica. Per mesi, il fragile equilibrio del Paese nordafricano si è basato su un accordo implicito tra due famiglie potenti – i Dabaiba e gli Haftar – con un ruolo persistente per i “verdi” (cioè gli ex Gheddafi) nei gangli dello Stato profondo. Oggi, però, lo status quo non sembra più sostenibile e le Nazioni Unite stanno per annunciare una “road map” per completare la transizione politica.
L’ultimo rapporto della Banca centrale conferma lo squilibrio di entrate e spese riportato da El Bouri: nei primi sette mesi di quest’anno, le entrate in dollari derivanti dalla vendita di greggio e royalty sono state pari a 13,9 miliardi di dollari, contro impieghi e impegni in valuta estera per 19,1 miliardi di dollari. La differenza (tecnicamente nota come bilancia dei pagamenti), pari a 5,2 miliardi, rappresenta il disavanzo cumulato fino a fine luglio, simile a quello registrato a giugno. Secondo il banchiere, la condizione essenziale per risolvere il problema delle finanze pubbliche in Libia è trovare una soluzione politica. “L’esistenza di due governi – a Tripoli e Bengasi – non permette la stesura di un bilancio statale unificato. Per raggiungere questo obiettivo è necessario unificare le istituzioni dell’ovest e dell’est del Paese, solo allora sarà possibile avere un bilancio unico”. Questa situazione, che in Libia si trascina ormai da anni, ha impedito anche alla Banca centrale di affrancarsi, rimanendo – come osserva El Bouri – “impigliata nelle dispute politiche”. Sulla carta, la Camera dei rappresentanti di Tobruk-Bengasi dovrebbe legiferare per l’intero territorio nazionale. Nella pratica, però, le leggi e le decisioni adottate dall’assemblea si scontrano con due problemi principali: l’accettazione selettiva da parte dei due governi rivali e la dubbia legittimità di norme approvate senza il raggiungimento dei quorum previsti. “In un simile contesto – sottolinea El Bouri – la Banca centrale resta ostaggio di una lotta politica che ne ostacola il consolidamento come vero organo super partes.”
Secondo l’analista, la Banca centrale adotta due modalità di finanziamento distinte per i governi rivali. L’esecutivo di Tripoli attinge principalmente alle entrate petrolifere, mentre quello di Bengasi si sostiene attraverso finanziamenti monetari, ossia emissione di debito pubblico. Questo doppio meccanismo è il risultato di un aumento vertiginoso della spesa pubblica e della mancanza di fiducia reciproca: nessuna delle due amministrazioni vuole rivelare all’altra come e dove impiega le proprie risorse. Il risultato è che le due sedi della Banca centrale, a Tripoli e a Bengasi, operano di fatto come istituti separati, ciascuno al servizio del proprio governo. “In assenza di una politica fiscale unificata, l’istituzione monetaria resterà intrappolata in questa condizione di tensione permanente”, conclude l’esperto.
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