Maria Manetti Shrem, la filantropa che ha portato Gucci e l’arte nella Napa Valley

Una vita segnata dal coraggio, dalla passione e da un amore che ha cambiato tutto. Maria Manetti Shrem, imprenditrice dal cuore grande e dall’energia travolgente, ha lasciato Firenze per seguire l’amore della sua vita a San Francisco, rinunciando a tutto ciò che aveva costruito: un’azienda, una carriera, una quotidianità. Ma quella rinuncia si è trasformata in rinascita. In America ha fondato una nuova impresa di successo e, negli anni, è diventata una delle più importanti filantrope nel campo dell’istruzione, dell’arte, della musica e della medicina.
Ascoltare il racconto della sua vita è come attraversare un’avventura straordinaria, che incarna la creatività, l’ingegno e la capacità di reinventarsi tipici del talento italiano nel mondo.
Tra i suoi lasciti più noti c’è il Festival Napa Valley, che ogni luglio accende la San Francisco Bay Area con un’atmosfera rinascimentale: un intreccio di musica classica, opera, balletto, arti visive, vino e gastronomia. Ma i progetti in corso sono molti altri.
Tra gli appuntamenti in programma spiccano l’inaugurazione della mostra dedicata a Beato Angelico a Palazzo Strozzi (24-25 settembre), un nuovo programma di artisti in residenza al Museo Novecento di Firenze, e a novembre il debutto dell’Istituto Maria Manetti Shrem per la Sostenibilità del Design, della Moda e del Tessile presso l’Università di UC Davis. A coronare un anno intenso, anche il prestigioso riconoscimento come “filantropa dell’anno” da parte dell’Opera Guild di San Francisco, che la celebrerà sul palco della SF Opera House.
E il 2026 si preannuncia ancora più significativo: sarà il decimo anniversario del Manetti Shrem Museum, celebrato a gennaio con un gala speciale e una serie di eventi che rendono omaggio a una donna capace di coniugare visione imprenditoriale, spirito artistico e generosità senza confini.
Lei è originaria di Firenze, come ha deciso di venire a vivere a San Francisco?
Mi sono trasferita a San Francisco per amore, nel 1972, lasciando alle spalle tutto quello che avevo costruito: un’azienda con trecento dipendenti e anni di lavoro durissimo nella moda fiorentina. La prima volta che vidi San Francisco fu nel 1961, quando mio marito di allora, Edward DeGeorge, mi portò con sé per visitare alcuni suoi parenti nella Bay Area. Ricordo ancora la sensazione che provai: dissi a me stessa — quasi fosse una profezia — che avrei lasciato Firenze solo per una città al mondo, e quella era San Francisco.Undici anni dopo, quella “profezia” si avverò.
Proprio a Firenze, nell’estate del 1972, mi innamorai di Stephen Farrow, un giovane californiano di Berkeley, che mio marito aveva invitato a casa nostra. Il mio matrimonio era ormai agli sgoccioli, logorato anche dal mio ritmo di lavoro incessante. All’epoca il divorzio non era ancora legale in Italia e le procedure erano lunghe e complesse. Così, per inseguire la felicità, dovetti prendere una decisione radicale: lasciare tutto, sapendo che avrei perso ogni cosa pur di ricominciare una nuova vita in America.
Di certo non fu facile…
Passai da una vita agiata a Firenze a una vita completamente da ricostruire a San Francisco: da una villa sulle colline del Chianti con tutti i privilegi a una casa-comune sulle colline di Berkeley, dove condividevamo cucina e bagni. Scolavo l’acqua degli spaghetti nel bagno e lavavo i piatti nella vasca. Ma, finalmente, ero felice.
Come ha iniziato la sua carriera negli Stati Uniti?
In meno di un anno dal mio arrivo a San Francisco ero già al lavoro presso il department store di lusso Joseph Magnin, dove mi assegnarono uno dei marchi meno performanti. Ma quel marchio — Gucci — mi colpì subito: era fiorentino come me. Mi ci dedicai con passione e, nel giro di sei anni, contribuii a trasformarne i risultati, aprendo dodici negozi in tutta l’America e moltiplicando i volumi d’affari.
Nel 1979 decisi di mettermi in proprio e fondai la Manetti Farrow Inc. Poco dopo, Aldo Gucci in persona mi affidò l’esclusiva per il merchandising del brand negli Stati Uniti. Fu una svolta: Gucci esplose negli anni ’80 anche grazie a quel lavoro. Più tardi, purtroppo, a causa delle note vicende familiari interne alla maison, persi l’esclusiva. Ma nel frattempo avevo già diversificato, portando in portafoglio marchi come Fendi e Mark Cross.
Quando è nata la sua passione per la moda?
La moda ha sempre fatto parte della mia vita. Sono nata durante la Seconda guerra mondiale, in un periodo di bombe, difficoltà e grande incertezza. Ma ero circondata dalla magnificenza di Firenze, con la sua straordinaria eredità artistica e architettonica. Negli anni ’50, proprio in Toscana, prendeva forma la moda del Made in Italy, grazie a una tradizione artigianale senza pari. Ho lavorato con tre aziende importanti: la mia prima impresa, Gaia Knits, la Manetti Farrow Inc. e il department store Joseph Magnin, dove mi sono dedicata con passione come se fosse mia.
Chi la ispira oggi?
Ammiro soprattutto Dolce&Gabbana per l’Alta Moda, l’Alta Sartoria e l’Alta Gioielleria. Sono una loro collezionista e ambasciatrice nel mondo. Nessuno come Domenico Dolce e Stefano Gabbana valorizza il ricco artigianato italiano, promuovendo il “fatto a mano” regione per regione, celebrando le eccellenze locali. Apprezzo molto anche Scervino e Mary Katrantzou.
Nel 1990 è riuscita a costruire Villa Mille Rose, un tempio di bellezza tra natura, musica e arte. Dal 2012, insieme al suo ultimo marito, Jan Shrem, avevate anche incluso alla collezione le opere d’arte dei grandi maestri del ‘900, come Picasso e Francis Bacon, che lui aveva precedentemente collezionato per la sua leggendaria cantina, Clos Pegase. A Villa Mille Rose, ha accolto artisti come Luciano Pavarotti, Sophia Loren, Placido Domingo, Isabel Allende, Andrea Bocelli e amici carissimi come il Marchese Piero Antinori…
L’ospitalità è sempre stata per me una passione speciale e noi italiani, del resto, ci contraddistinguiamo per questo. Vivevo a San Francisco, ma sognavo di costruire, con l’amore della mia vita, una villa tutta nostra a Napa, attorniati da natura, ulivi, vigneti e musica. Purtroppo, il nostro matrimonio tramontò dopo vent’anni, proprio quando dovevamo completare la nostra villa. Gli anni ’90 sono stati il periodo più difficile della mia esistenza, ma anche quello della scoperta del buddismo e della filantropia, continuando a imparare, soprattutto nel campo dell’arte contemporanea, viaggiando per tutto il mondo e anche grazie al SFMOMA.
Ricorda alcune persone che hanno segnato il suo percorso?
Margrit e Robert Mondavi, figure chiave per il riconoscimento globale del vino di Napa Valley, sono stati tra i miei amici più cari. Con loro ho viaggiato in tutto il mondo, imparando l’arte del wine-making in ogni angolo del pianeta. Margrit è stata la mia vera mentor. Per oltre trent’anni, a Villa Mille Rose, ho ospitato migliaia di amici, tra cui autentiche leggende della lirica, un mondo a cui sono profondamente legata. Luciano Pavarotti, ad esempio, debuttò proprio a San Francisco e divenne una star internazionale. La mia passione per l’opera nacque a quindici anni, assistendo a “La Bohème” al teatro oggi conosciuto come Maggio Musicale Fiorentino. Per me l’opera è la forma artistica più completa, capace di unire molteplici arti, raccontando la vita sul palco con intensità, ironia e passione.
Come è nato il Festival Napa Valley?
Il festival è nato 20 anni fa su iniziativa dell’attuale presidente, Rick Walker, il quale coinvolse una serie di fondatori, tra cui me, Gordon Getty, e anche Jan Shrem, con il quale all’epoca eravamo solo amici. Quell’anno, ricevetti una telefonata dalla mia carissima amica, il soprano Renée Fleming, che sarebbe dovuta venire a esibirsi e avrebbe accettato con la missione di “portare istruzione e le arti a tutti”. Oggi sono tra i principali benefattori, contribuendo alla creazione di programmi a supporto di talenti e persone bisognose.
Abbiamo perfino istituito una serata per celebrare la legacy cinematografica di artisti di origini italiane in America, come abbiamo fatto con Sophia Loren ed Ennio Morricone. Il 2026 sarà l’anno più speciale di sempre, perché celebriamo ufficialmente i nostri vent’anni e i cinquant’anni del “Judgement of Paris”, quando nel 1976 i vini di Napa vinsero in Francia in un tasting a occhi bendati, affermandosi su scala internazionale. Per l’occasione il Festival Napa Valley ha commissionato un’opera a firma del grande compositore, Jake Heggie. E, infine, il 2026 sarà anche il 250º anniversario degli Stati Uniti d’America.
Tra le varie iniziative supportate anche la nota università UC Davis e il Museo Jan Shrem and Maria Manetti Museum af Art at UC Davis, e siete molto attivi al SFMOMA.
L’Università della California di Davis è ad oggi la nostra maggiore beneficiaria di filantropia tra le oltre 45 fondazioni che supportiamo tra USA, Italia, UK, Francia, Messico e Africa. Abbiamo iniziato con il mio terzo marito, Jan Shrem, nel 2011, donando il “seed capital” come sponsors principali per costruire il museo omonimo. Dopo cinque anni, lo abbiamo inaugurato, raccogliendo un successo dietro l’altro. Dopo altri cinque anni di attività, ArtNews ci ha incluso nella lista dei migliori 25 progetti architettonici museali degli ultimi 100 anni nel mondo. L’unico in California e solo quattro in USA. Niente male per un piccolo “teaching museum” che, solo in California, compete con “giganti” come il de Young o il Getty Museum.
Quali sono le vostre maggiori iniziative?
Nella primavera del 2024 abbiamo finalizzato la più grande donazione della storia al college di Letters and Science creando otto “endowments” per proteggere le “humanities and the arts” in perpetuo. Il tutto seguendo un disegno olistico per le arti ideato dal mio philanthropy strategist e biografo, Mauro Aprile Zanetti. L’intento era di ricreare, con uno spirito Rinascimentale, una sorta di cittadella universitaria per le arti e gli studi umanistici, unendo il Museo Manetti Shrem al dipartimento di storia dell’arte; la biblioteca centrale e il dipartimento delle arti applicate, dove hanno insegnato grandi artisti come Wayne Thiebaud, William T. Wiley, Robert Arneson, Roy De Forest, Manuel Neri; il dipartimento di design, moda e tessile, creando anche un istituto dedicato alla ricerca della sostenibilità in queste discipline. A gennaio del 2025, l’Art District Maria Manetti Shrem (Arts Renaissance Program) è stato ufficialmente inaugurato. Questa donazione beneficerà per sempre quasi 40mila studenti l’anno. Nulla mi riempie di più di gioia di poter aiutare le nuove generazioni a sognare.
Cosa pensa del mondo della tecnologia?
Sinceramente, vorrei che i miliardari del tech facessero beneficenza per le arti e le materie umanistiche. Mi sciocca vedere quanto poco si coinvolgano dalla Silicon Valley. Per loro sarebbero “noccioline”, ma potrebbero creare un impatto sociale immenso per la società e, nello specifico, per la nostra amata città di San Francisco, la Contea e tutta la Baia.
L’articolo Maria Manetti Shrem, la filantropa che ha portato Gucci e l’arte nella Napa Valley è tratto da Forbes Italia.
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