Onboarding e orgoglio: così si costruisce la cultura del lavoro pubblico

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Onboarding efficace e cultura dell’orgoglio: ecco come trasformare l’ingresso dei giovani nella PA in un percorso motivante.
Farli entrare è solo l’inizio. Il vero compito è farli restare con convinzione.
Negli ultimi mesi, migliaia di giovani stanno entrando nella Pubblica Amministrazione. È un’occasione che attendevamo da tempo: il tanto auspicato ricambio generazionale è in atto. Ma una domanda sorge spontanea: siamo davvero pronti ad accoglierli?
Molto spesso ci concentriamo sulla selezione, sui concorsi, sui numeri delle assunzioni. Ma l’ingresso nella PA non può esaurirsi con la firma di un contratto e la consegna di una postazione. L’onboarding – il processo di accoglienza e integrazione dei nuovi arrivati – è una fase cruciale, e troppo spesso trascurata.
Accogliere vuol dire spiegare. Accompagnare. Offrire contesto e senso.
Perché, diciamolo chiaramente: non basta assumere persone valide, serve dare loro una ragione per restare.
Onboarding: da procedura a cultura
Oggi, nella maggior parte dei casi, l’onboarding è ridotto a una serie di adempimenti burocratici: badge, credenziali, accesso ai sistemi. Tutto utile, ma non sufficiente. Quello che manca, spesso, è una narrazione del perché. Perché siamo qui. Perché questo lavoro è importante. Perché ogni atto amministrativo ha conseguenze reali sulla vita delle persone.
I nuovi arrivati si trovano catapultati in una macchina complessa, spesso silenziosa, fatta di regole e gerarchie non scritte. E rischiano di smarrirsi, o peggio, di spegnere l’entusiasmo con cui sono entrati.
Cosa dovrebbe contenere un vero onboarding nella PA?
Un onboarding efficace non è un lusso, è una responsabilità.
E dovrebbe contenere almeno cinque elementi essenziali:
- Una narrazione iniziale che spieghi il ruolo della PA nella vita democratica del Paese
- Un affiancamento reale da parte di colleghi esperti, non solo sul “come si fa”, ma anche sul “perché lo si fa”
- Una mappa culturale dell’organizzazione: come si lavora, quali valori contano davvero, cosa ci si aspetta
- Spazi di ascolto e confronto, anche informali, per raccogliere impressioni, dubbi, idee
- Un’attenzione specifica alla motivazione: accendere la scintilla, non lasciarla spegnere
Il punto non è cosa fai, ma perché lo fai
Immagina se ogni nuovo assunto nella PA ricevesse, il primo giorno, un messaggio così:
Hai scelto (o sei stato scelto) per contribuire al bene comune.
Qui non si lavora per fare pratica. Si lavora per fare la differenza.
Magari avessi ascoltato questa frase quando entrai per la prima volta alla Ragioneria Generale dello Stato.
L’ho quasi sognata, negli anni.
Perché nei primi passi nella PA, quello che ci manca spesso non è la norma, ma una visione, una direzione, una frase che dia senso al lavoro che stiamo per iniziare.
Una proposta: il Manifesto dell’Orgoglio di Essere Dipendente Pubblico
In quest’ottica nasce una proposta che sto maturando da tempo: scrivere un Manifesto dell’Orgoglio di Essere Dipendente Pubblico.
Un testo semplice, diretto, accessibile.
Una bussola per chi entra nella PA e per chi ci lavora da anni.
Non una dichiarazione astratta, ma una base culturale per rinnovare insieme l’identità del nostro lavoro.
Cosa vuol dire oggi servire lo Stato con competenza, integrità, dedizione?
Cosa significa far parte di una comunità che garantisce diritti, costruisce servizi, presidia la legalità?
Il Manifesto vuole rispondere a queste domande. E vuole farlo insieme a voi.
Ti va di contribuire?
Il Manifesto non è ancora definitivo. Anzi, è aperto.
Se vuoi leggere una bozza o dare il tuo contributo, scrivimi.
Vorrei che nascesse da chi nella PA ci crede davvero.
Una domanda per te
Se tu dovessi spiegare in 30 secondi a un giovane perché vale la pena lavorare nella PA, cosa diresti?
Scrivimi. Condividi la tua risposta.
Perché l’orgoglio pubblico si costruisce anche così: parola dopo parola, esperienza dopo esperienza.
A presto,
Antonio
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