La demonella che vi tiene in pugno più del libro che stringete

Legge voracemente, non vede l’ora che lo strazio del leggere abbia fine, e trova la fine romanzesca della vita reale alla fine di ogni libro consultato, scorso, letto, interrogato, esaminato, percorso eccetera. Si lecca le dita con le quali ha trattenuto il volume, con le quali, magari insalivandole, lo ha toccato, girato e voltato. È evidentemente una figura criminale a vocazione letteraria.
Tutti quei verbi per definire il suo rapporto coi volumi. Avrei potuto avere il coraggio antico di usarne uno solo: compulsare. Ho quel coraggio: volumi da lei compulsati. Compulsare viene da compellere: spingere. Anche con forza. Spingersi all’interno ma anche spingere dall’interno.
È la figura meno nota del mondo del leggere e dello scrivere, un unico mondo. È una delle figure meno note del mondo. Pochissimi la conoscono. Anzi meno. Diciamo nessuno. Adesso vi rovino la vita. Non leggerete più come prima (come la guerra è guerra, il romanzo è romanzo).
Questa figura aggira e raggira le pagine, capirete poi. Inganna, ovviamente, è il minimo. Lusinga, alletta, avvince, circuisce, estorce, traffica in sentimenti, frusta anche (molto spesso a richiesta, anche senza volere, ma solo per sapere, voi, leggere e scrivere), seduce, induce, suscita, incita e tanto altro, non stiamo qui a elencare (non sono più i bei tempi delle liste d’attesa: quelle belle elencazioni, quei bei cataloghi che sospendono le letture ingenue e sciocche). Non pratica il peculato né l’aggiotaggio né il compostaggio né il ballottaggio né l’abigeato né la turbativa d’asta né il mercato nero, però; ma, incorruttibile, corrompe.
Si aggira tra le parole delle pagine a stampa (bisogna essere precisi). Non avvisa, non dice: o la borsa o la vita. Non le interessa la borsa. Guarda negli occhi, negli occhi che leggono ma che non la vedono di tra le righe, dietro le quali lei sta. Vi fa un mazzo così se le va. Vi spinge a qualcosa, a tutto, vi spinge a leggere, lo fa per farvi piacere in maniera perversa. Ci gode a vedervi distesi, spalmati, pastosi, semiliquidi, molli, cremosi, penosi lettori (anche declinati al femminile, ma certo, ci mancherebbe, anzi) spianati, curvi, conficcati su libri schifosi, libri dolci, gentili, piacevoli, scorrevoli, diarroici, faldonici, di color umano, d’amore alla scapece, con l’inconscio a vista e a induzione, di sapore umano, con colature di dolore e cornice invasa, dibattuti tra silenzio e assenso, di odore umano, infusi di silenzi e dissensi, effusi in dettagli e frattaglie, scritti sull’anima a matita, pieni di persone perdute ma purtroppo no, che sembrano cubi ma sono una palla, rosa con lanci di fumogeni gialli, con squarci di vita nello scafo a picco, insomma tutte quelle belle cose fesse in un mare di cose fessissime (per l’elenco si rinvia a recensioni, autorecensioni, quarte e quinti quarti di copertina, insomma alle sbrodolature per la truppa). Lei vi fa ingoiare tutta questa broda. Lei, la figura di tra le righe.
Ma, insomma, in cosa consiste il suo lavoro?
Torniamo all’inizio: legge voracemente, non vede l’ora che lo strazio del leggere abbia fine, e trova la fine romanzesca della vita reale alla fine di ogni corpo d’opera consultato, scorso, letto, interrogato, esaminato, percorso eccetera. Si lecca le dita con le quali ha trattenuto il volume, con le quali, magari insalivandole, l’ha toccato, girato, voltato e rivoltato.
Corpo romanzesco, d’opera? Volume? Ma di cosa stiamo parlando? C’è chi ha già capito, e c’è di che atterrirsi avendo già capito. Ma sì, certo, si tratta di corpo e di volume umano. Chi legge è letto con voracità, anche ingordigia, come vuole il romanzo (anche il racconto, sì, certo). E cosa vuole il romanzo? Raggiungere la fine di chi legge. La fine del romanzo scritto è solo una parola in coda a tutto, e della coda è l’ultimo ciuffetto, un piumino che spolvera le polveri, quel che resta di quella povera stella incenerita che è chi legge.
Questa figura sarebbe? È una demonella, anzi è Demonella (così si chiama ma né l’epiteto né il nome sono noti). Fa un lavorone, forse un lavoraccio, fa un lavoro ingrato: vi fa bere tutto quel che è scritto. Si dà da fare con gli imbuti, coi mestoli, col biberon, anche con cazzuole, e con le pale e le palette anche. Vi sbatte in corpo il fluido il facile lo scorrevole il gocciolante il viscido il dolce l’amaro il denso il papposo lo spappolato il colloso il miscuglio l’ammasso l’eccetera in poltiglia. Senza il suo lavoro ma chi mai se lo berrebbe quel che è scritto? Chi mai lo manderebbe giù? Lei fa addirittura credere che quel che è scritto è scritto per chi legge e che chi legge esiste e vive pur se quasi immobile con un libro in mano. Cose da pazzi se non da ridere. Insomma, lei sa che chi legge è un po’ poppante, e più va avanti nel leggere più lo è. In bocca a chi poppa lei ficca la tettarella che apre la via, dopo di che procede con pompate e palate sempre più piene di zuppe e di pastoni e melme, usando direttamente i trogoli come cucchiare e anche le pale delle ruspe, a volte. Ecco qua. O credevate davvero di far tutto da voi. Ma di che? Chi si sciropperebbe le robe scritte, dico, soltanto scritte e nient’altro? Lo ripeto: scritte. Scritte e basta, tutto là. Inchiostro, cellulosa, colla, appunto pappe. Voglio dire: un pizzico di sale, di pepe, d’origano, sanno o non sanno di più? Ditemelo voi, io nemmeno mi rispondo.
Insomma, lei sa il fatto suo. E siete voi il suo fatto. Voi siete le uniche e le sole figure vere tra figure scritte, insomma l’unico vero fine e l’unica vera fine del romanzo (anche del racconto, sì). La trama è lei che trama. Trama, sì trama: chi legge è una margherita spetalata (chi legge legge con la testa in cima a un gambo reciso, di quelli un po’ ammosciati e curvi, fateci caso).
Se vi fa dare una succhiata al capezzolo? Se ve lo fa provare? Se vi fa tenere tra le mani il suo seno come un libro? State chiedendo questo? Ci mancherebbe, è tutto là il magheggio, certo che sì. Avviene quando decidete: io questo libro lo leggo tutto, sì, con avidità, è deciso. Ha deciso lei. Più avida di voi qui lei vi ha in pugno più di quanto voi il libro. È fatta. Chi legge è fatto, è fatta, e vi ha fatto lei, vi ha fatto romanzesche e romanzeschi: ogni romanzo è fatto di chi legge. Fatto e finito, fine.
Finito tutto, lei si dà una rassettata, una scotolata, si netta dalle umettature di tutti gli occhi da lettura addosso.
Come lo so? Come so tutte queste belle cose? Io sono quello che le porta il sapone e l’asciugamano. Mi attardo con lei per due chiacchiere mentre lei si lava a pagine aperte.
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