Raee tax, nuovo tributo europeo che rischia di penalizzare l’economia circolare reale

Agosto 1, 2025 - 10:30
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Raee tax, nuovo tributo europeo che rischia di penalizzare l’economia circolare reale
raccolta rifiuti elettronici

Dal 2028 la Commissione europea potrebbe introdurre una nuova tassa sui Raee non raccolti. La misura, spiega il Consorzio Erp Italia se confermata, rischia di colpire ingiustamente Paesi virtuosi come l’Italia, dove parte della raccolta resta fuori dai conteggi ufficiali

Nel tentativo di rafforzare le risorse proprie del bilancio comunitario, la Commissione europea ha proposto, a partire dal 1° gennaio 2028, l’introduzione di un nuovo strumento fiscale: un contributo calcolato in base alla quantità di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) non raccolti dai singoli Stati membri.

L’iniziativa, nota informalmente come Raee tax, rientra nel pacchetto finanziario pluriennale 2028–2034 e punta a promuovere una gestione più efficiente dei flussi di rifiuti elettronici, riducendo nel contempo la dipendenza dal criterio di riparto basato sul Reddito Nazionale Lordo (Rnl).

La formula proposta appare di apparente semplicità: 2 euro per ogni chilogrammo di Raee non intercettato, pari a 2.000 euro per tonnellata. Il calcolo verrebbe effettuato sulla base della differenza tra la media triennale delle apparecchiature immesse sul mercato e la quantità effettivamente raccolta in ciascun anno. La Commissione stima un gettito potenziale intorno ai 15 miliardi di euro su scala continentale.

Tuttavia, al di là delle intenzioni dichiarate, la misura presenta alcune criticità strutturali, spiega il Consorzio Erp Italia, che rischiano di generare effetti distorsivi, soprattutto nei Paesi – come l’Italia – che già operano con sistemi di raccolta e recupero consolidati ma ancora imperfettamente rappresentati sul piano statistico.

Il rischio è che il nuovo tributo finisca per sanzionare un deficit solo apparente, costruito su metodologie di rilevamento che non rispecchiano fedelmente la complessità della filiera.

La raccolta invisibile: quando l’economia circolare non fa punteggio

Uno dei nodi centrali riguarda la parziale contabilizzazione dei flussi effettivi di Raee gestiti nel nostro Paese. In Italia, una quota rilevante di rifiuti elettronici viene trattata al di fuori dei canali ufficiali – ovvero quelli certificati e riconosciuti dalla normativa comunitaria – pur contribuendo in modo sostanziale alla riduzione dell’impatto ambientale e al recupero di materiali preziosi.

Si tratta, per esempio, dei flussi gestiti da operatori del comparto dei materiali ferrosi, da reti di raccolta non specificamente dedicate ai Raee – come quelle destinate ad altri rifiuti tecnologici – o ancora dei canali urbani non differenziati che intercettano piccole apparecchiature elettroniche.

Nonostante l’effettivo trattamento, questi volumi non vengono conteggiati ai fini degli obiettivi di raccolta fissati dall’Unione.

Una quota ancora più significativa riguarda i Raee che, per ragioni di mercato o convenienza logistica, vengono gestiti come rottami metallici: una pratica che garantisce il recupero della componente metallica, ma che ignora le specifiche prescrizioni di trattamento previste per questa particolare categoria di rifiuti.

Il risultato è un paradosso: pur esistendo una filiera attiva, il sistema nazionale appare, agli occhi di Bruxelles, inefficiente.

Secondo Alberto Canni Ferrari, procuratore speciale del Consorzio Erp Italia, l’elemento discriminante non è l’assenza di raccolta, ma la mancata inclusione di questi flussi nel perimetro ufficiale.

L’introduzione di una piattaforma digitale di tracciabilità estesa, in grado di monitorare anche i flussi secondari e atipici, costituirebbe un primo passo concreto verso una contabilizzazione più aderente alla realtà.

In caso contrario, l’Italia – che ha già avviato numerose iniziative per la gestione virtuosa dei rifiuti tecnologici – rischia di incorrere in penalizzazioni sproporzionate rispetto al reale livello di efficienza ambientale.

Un obiettivo statico per un mercato dinamico

A questa prima criticità si aggiunge un secondo elemento, altrettanto strutturale: la modalità con cui viene attualmente definito il target minimo di raccolta, fissato al 65% della media triennale dell’immesso sul mercato. Un criterio che, seppur lineare nell’applicazione, ignora le profonde differenze nei cicli di vita delle apparecchiature.

Grandi elettrodomestici come lavatrici o frigoriferi restano in uso anche per 15 anni; dispositivi mobili come smartphone e tablet vengono frequentemente sostituiti dopo due o tre; moduli fotovoltaici e apparecchiature industriali possono superare i vent’anni di operatività.

Uniformare il target a partire dalla media dell’immesso significa, in sostanza, costruire una metrica avulsa dalla realtà tecnologica, che sovrastima la disponibilità teorica di rifiuti e impone obiettivi spesso irraggiungibili per alcune categorie di prodotto.

In ambito europeo si stanno già sperimentando approcci alternativi. L’associazione Eera (European Electronics Recyclers Association), per esempio, ha proposto un sistema basato su modelli previsionali specifici per tipologia di apparecchiatura.

L’idea è di superare l’attuale rigidità, sostituendola con stime dinamiche della disponibilità al fine vita, fondate su dati reali e curve di dismissione calibrate.

Un simile orientamento – spiega Erp Italia a GreenPlanner – dovrebbe essere adottato anche a livello normativo, riconoscendo la necessità di target differenziati per categoria e l’inadeguatezza di un’unica soglia di raccolta applicata indistintamente.

Solo un approccio modellistico – spiegano ancora – aggiornato e multilivello, potrà garantire una gestione realmente sostenibile, coerente con gli obiettivi della transizione ecologica e rispettosa delle specificità tecnologiche e industriali di ciascun Paese membro.

Verso una fiscalità circolare?

La proposta della Commissione europea, se non accompagnata da una revisione metodologica dei criteri di misurazione e degli strumenti di tracciabilità, rischia di trasformarsi in una fiscalità regressiva, che colpisce non l’inazione, ma la parziale invisibilità dei risultati.

In questa prospettiva, la Raee tax solleva una questione più ampia: come costruire una fiscalità ambientale realmente premiante, capace di valorizzare le performance autentiche dei sistemi nazionali?

La risposta, secondo Erp Italia, non sta nella moltiplicazione dei vincoli, ma nell’affinamento delle metriche, nell’integrazione dei flussi e nel riconoscimento di tutte le componenti dell’economia circolare, anche quelle oggi fuori campo.

L'articolo Raee tax, nuovo tributo europeo che rischia di penalizzare l’economia circolare reale è stato pubblicato su GreenPlanner Magazine.

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