Strage di Cutro, cosa cambia con il rinvio a giudizio di sei militari: così Salvini e Piantedosi la fanno franca

Lasciato tranquillo al riparo delle sue menzogne il ministro dell’interno Matteo Piantedosi che sulla strage di Cutro del 26 febbraio del 2023, 94 morti tra cui decine di bambini, mentí al Parlamento. Neppure sfiorate le autorità di Stato che del caicco Summer Love in balia delle onde sapevano tutto perché “nella sala operativa dell’agenzia di polizia Frontex a Varsavia quella notte c’erano due funzionari italiani in costante contatto con Roma” (come scritto in rapporto Frontex noto e dimenticato). A processo per lo schianto di una stiva piena di persone a pochi metri dalla costa di Steccato di Cutro andranno quattro militari della Guardia di Finanza e due della Guardia Costiera, in servizio quella sera, ai quali la Procura della Repubblica di Crotone contesta i reati di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo. “Gravi negligenze” è la tesi accusatoria secondo la quale fatale fu l’attenersi rigorosamente alla distinzione tra intervento di polizia e intervento di soccorso senza ordinare in tempo né l’una né l’altra operazione.
Le ong del soccorso in mare costituitesi parte civile chiedono che sia chiarita e resa pubblica la catena di queste negligenze: “I tempi sono fondamentali per la buona riuscita delle operazioni di soccorso, per questo i ritardi nell’attivare interventi di salvataggio non sono un incidente. In questo caso specifico le autorità italiane hanno ignorato il loro dovere di soccorso e l’omissione ha avuto conseguenze drammatiche”. Piantedosi se la cava con un “piena fiducia negli operatori rinviati a giudizio”. Con il solito problema di posizionarsi molto avanti a destra per non arrivare sempre dietro alle sparate di Vannacci, il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, da cui la Guardia costiera dipende, appena uscita la notizia del rinvio a giudizio, spara: “Una vergogna” (il rinvio a giudizio, non la strage). Chissà se prima dell’udienza di apertura del processo il prossimo 14 gennaio – le famiglie delle vittime non possono nemmeno entrare in Italia – ci si ricorderà che a monte della strage di Cutro c’è un altro fatto noto e dimenticato oltre a quei due funzionari nella sala operativa di Frontex “in costante contatto con Roma”: c’è una legge dello Stato cambiata con un messaggio di posta elettronica. La notizia l’ha trovata e data in tv l’anno scorso la redazione di Il cavallo e la torre di Marco Damilano.
Una enormità: un capitano di vascello ordina via email a tutte le capitanerie di porto italiane di disattendere le leggi che regolano il soccorso in mare e descrive nel dettaglio, sempre via email, come la legge va violata. E i sottoposti obbediscono. Centinaia e centinaia di persone – il grande corpo fatto da uomini e donne della gloriosa Guardia costiera italiana – obbediscono. E tacciono pure. Non uno che denunci, neanche anonimamente, che gli è stato ordinato di non soccorrere persone in difficoltà. Non uno che si preoccupi di rendere pubblica l’email. Per quasi due anni. La prova dell’esistenza dell’ordine di non intervenire in mare come la legge impone, la prova di quell’ordine infame di cui a mezza bocca si sente parlare tra marinai da subito dopo il 26 febbraio del 2023, è questa email datata 27 giugno 2022 firmata da capitano di vascello D’Agostino, allora capo dell’Mrcc di Roma, il Centro di comando delle capitanerie di porto, quello che dovrebbe coordinare i soccorsi in mare. Il capitano D’Agostino chiede ai suoi uomini di non intervenire appena arrivato l’allarme se si tratta di imbarcazioni di migranti, tranne nel caso sia stata dichiarata esplicitamente l’imminenza di un rischio naufragio, ossia quando ormai è spesso troppo tardi. E di lasciare che a occuparsi dell’emergenza sia la Guardia di finanza che per i soccorsi in mare non ha né le adeguate capacità, né gli adeguati mezzi.
C’è scritto nella email del capitano di vascello D’Agostino mostrata da Damilano in tv e dimenticata: “A seguito di tavoli tecnici interministeriali sono state impartite dal livello politico alcune disposizioni tattiche per gli assetti della Guardia di finanza che, di fatto, in parte impongono alcune riflessioni sul nostro modus operandi. A far data dalla presente, le attività di intervento delle unità navali della Guardia costiera, in caso di eventi connessi al fenomeno migratorio, si dovranno sviluppare nel rispetto dei seguenti parametri”. Si noti quel “nel caso di eventi connessi al fenomeno migratorio” perché, nel caso di eventi connessi al libero turismo di bianchi velisti con carte di credito in tasca, continuano a valere le leggi in vigore. D’Agostino scrive che la Guardia costiera dentro le acque territoriali e dentro le acque internazionali considerate di competenza italiana nei soccorsi, ossia quelle in cui il comando del soccorso spetta in primis all’Italia, “potrà essere eseguito solo dichiarando evento Sar”. Ciò vuol dire che se, ad esempio come accaduto a Cutro, nelle ore precedenti una tempesta annunciata da tutti i meteo, non viene classificato come caso Sar, ossia come rischio naufragio, il caso di un natante che da due giorni naviga (secondo segnalazione Frontex che l’ha visto dall’aereo) ‘senza giubbotti salvataggio visibili’ ‘con una barca con la linea di galleggiamento bassa e una forte riposta termica dalla stiva ai termosensori’ (informazione traducibile, in rotte battute da migranti, soltanto con ‘stiva carica di persone’), la Guardia costiera se ne deve restare a piedi asciutti in porto e lasciare che, se vuole e quando vuole, esca la Guardia di finanza a fare un’operazione di polizia. Cioè di contrasto all’immigrazione clandestina. Cioè di difesa dei confini.
Nel caso di Cutro i confini italiani erano da difendere da un carico di bambini e dai loro peluche, poi affiorati e nemmeno tutti, tra le onde sotto costa e sui piedi di un povero pescatore lasciato da solo a raccattare i morti a mani nude perché nemmeno uno straccio di soccorso a terra il ministero dell’interno è riuscito ad allestire quella notte. Un sabato notte. Soltanto una solitaria pattuglia di carabinieri s’è presentata in spiaggia, allertata a naufragio avvenuto, nonostante l’allarme fosse arrivato molte ore prima. E non alle 4 come raccontato dal ministro dell’Interno Piantedosi in Parlamento. Un cenno esplicito a quell’ordine ricevuto, cui non seguì la denuncia della email letta da centinaia di persone perché inviata a tutti i centri operativi periferici della Guardia costiera, lo diede nelle ore dopo la strage l’allora comandante della Capitaneria di Crotone, Aloi, che sbottò: “Abbiamo operato secondo le nostre regole di ingaggio che non promanano neanche dal nostro ministero (Trasporti) ma da quello dell’Interno. Ci sarebbe bisogno di specificare molte cose, dovreste conoscere le regole che ci sono a livello interministeriale”.
Non disse una parola di più il comandante Aloi e dopo qualche tempo fu trasferito. Non ha detto niente nemmeno dopo. Non era l’unico ad aver visto quella email. In due anni nessuno dei marinai della nostra Guardia costiera ha sentito la necessità di denunciare, mettendo magari a repentaglio la propria carriera? Erano gli sgoccioli del governo Draghi quando fu inviata quella email. Al ministero degli Interni c’era Lamorgese, sottosegretario Molteni (Lega). Ai Trasporti e Infrastrutture, Enrico Giovannini, indipendente vicino al Pd, era lui a capo del ministero che comanda sulla Guardia costiera. Niente da dire neppure loro? Nemmeno oggi?
Qual è la tua reazione?






