Dark Souls | I Giochi che Hanno Cambiato la Storia

Lug 8, 2025 - 15:00
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Dark Souls | I Giochi che Hanno Cambiato la Storia

Nel recensire un videogioco si fanno sempre grandi preamboli. Si analizza la storia del genere, si ripercorre il lungo iter che porta dall'annuncio alla release, si confrontano le speranze e la realtà, le promesse e i fatti. Eppure nessuno può conoscere il futuro, nessuno può sapere quale impronta un titolo lascerà nell'industria, se sarà uno spartiacque o verrà presto dimenticato.

L'obiettivo di questa rubrica è colmare tale mancanza. Riprendere alcuni giochi seminali e osservare come molto più di quanto sembri dipenda da loro, come alcune meccaniche siano nate o si siano diffuse, quale impatto abbiano avuto all'interno del loro genere o addirittura al di fuori di esso.

Come meglio iniziare se non con Dark Souls, che ancor più del suo predecessore: Demon's Souls, ha introdotto un enorme quantitativo di sistemi, oltre, ovviamente, a fondare uno dei sottogeneri di maggior successo della nostra contemporaneità. Si può parlare, non a torto, di un mondo prima e dopo i souls, tanto vasto è stato l'impatto del titolo del 2011.

Dai metroidvania agli RPG fino agli action, oggigiorno, sono molteplici i prodotti che hanno preso in presto qualche meccanica o concezione di design, ogni volta, adattandola alle proprie esigenze, testimonianza della malleabilità delle innovazioni di FromSoftware e della loro brillante efficacia.

Dark Souls e i falò

Quando si parla di souls, la prima immagine che viene in mente è quella dei falò, lumi solitari nelle tenebre, solo conforto nella decadenza di Lordran. Ma la loro forza non è celata soltanto nell'iconica immagine che proiettano, quanto nella gestione originale dei checkpoint che hanno introdotto.

Nella sua forma classica, il checkpoint ha una duplice collocazione: spaziale e temporale. Quando si muore non solo si riparte dal luogo dell'ultimo salvataggio ma anche dall'esatto momento in cui esso è avvenuto. Ogni progresso che precede la disfatta viene irreversibilmente cancellato e deve essere ripetuto.

In Dark Souls, invece, una volta sconfitti si ritorna al falò ma ogni alterazione arrecata al mondo prima del game over è permanente. Uno shortcut appena ottenuto, un baule aperto, un drop strappato ad un nemico, l'avanzamento all'interno di una quest: tutto ciò non svanisce quando si viene abbattuti, rendendo il gioco molto meno punitivo di quanto possa sembrare.

La differenza tra questi due approcci è abissale ed investe la totalità dei sistemi. Non parliamo di semplice questione di preferenze durante lo sviluppo, ma di colonne portanti da cui dipende il resto della produzione e senza le quali alcuni pilastri del genere non potrebbero nemmeno esistere

Farò qualche esempio per spiegarmi meglio. La difficoltà di Dark Souls, soprattutto poiché all'epoca il pubblico era digiuno di souls e non ne padroneggiava le meccaniche, fu giudicata come estremamente elevata, tale da trasformare l'opera di From nel gioco arduo per antonomasia.

Immaginate, tuttavia, se ad ogni game over fosse necessario uccidere ancora tutti i nemici invece di correre all'impazzata per ripristinare le anime perdute; immaginate se fosse necessario esplorare l'intera mappa invece di sfruttare uno shortcut appena sbloccato. In tal caso la ripetitività diverrebbe asfissiante, il level design dimidiato e oggi non starei scrivendo questo articolo.

Preservare i progressi del giocatore è imperativo allorché si desidera implementare un grado così elevato di sfida ed i falò sono la chiave per farlo. Eppure il loro impatto è ancora più vasto. Così come ogni conquista erosa all'ostile Lordran è definitiva, anche ogni errore è privo d'appello, ogni scelta costringe a convivere con le sue conseguenze.

Sprecare delle risorse limitate (come le umanità in Dark Souls o gli archi runici in Elden Ring) significa perderle, indipendentemente dal fatto che si vinca uno scontro o meno. Perciò, calibrare i propri passi diviene fondamentale poiché la morte non annulla i propri errori ma li acuisce e non si possono scoprire gli esiti di ogni bivio per poi ricaricare il salvataggio se non si è soddisfatti.

La dimensione strategica, introdotta da questo sistema, coinvolge, anche, la progressione e il management delle cure. Per livellare bisogna tornare indietro e accettare che i nemici respawnino; talvolta, ciò è addirittura obbligato se non si vuole procedere senza estus e tentare la fortuna.

In Dark Souls, tutto ciò, ha raggiunto il suo apice, soprattutto, a causa della mancanza iniziale del teletrasporto (su cui espanderemo in seguito) e grazie alla possibilità di ravvivare i singoli falò, incrementando il numero di estus concesse dagli stessi ma costringendo, in virtù del costo di tale azione, a scegliere su quali checkpoint puntare e quali utilizzare meno.

From ha riutilizzato questi sistemi dappertutto, ma non è stata la sola a coglierne la dimensione trasformativa. Nel genere Metroidvania sono divenuti imperanti in termini di design e si possono ritrovare, per esempio, in Blasphemous o nell'acclamato Hollow Knight (il secondo prende in prestito anche la meccanica del riottenimento delle anime).

Molti studi, inoltre, ne hanno preso in prestito una porzione senza adottare il pacchetto completo. Clair Obscur: Expedition 33, per esempio, se ne serve per limitare i salvataggi manuali e introdurre il già citato dilemma tra l'avanzare senza risorse o il tornare indietro rigenerando i nemici ma, in caso di morte, ricarica il salvataggio precedente.

I vantaggi in termini di design e struttura son, poi, palesi. Respawn fissi implicano meno complicanze, in quanto lo sviluppatore ha pieno controllo sul posizionamento degli stessi, permettono di vincolare il ritmo a piacimento, spingono ad adottare un map design meno lineare e danno forma fisica a ciò che altrimenti sarebbe evanescente.

I falò sono, dunque, una delle più grandi innovazioni degli anni recenti, talvolta in maniera sotterranea ma pur sempre tangibile. Dietro la forza del simbolo nascondono un'acuta intuizione di design, che lungi dal solo incrementare la complessità dei titoli ove viene implementata, rende funzionale il livello di sfida per cui Dark Souls è noto. Sono la conditio sine qua non dietro l'intero genere, la pietra di volta che regge l'arco intero.

La narrativa infinita

Coloro che giocarono Dark Souls nel 2011 si trovarono dinanzi a un contesto narrativo completamente spiazzante. Proiettati senza grandi cerimonie in medias res e in possesso di brevi accenni su un antefatto quasi completamente avvolto nel mistero. Non una trama ma una lore: un intreccio da rivendicare e ricostruire senza mai poter avere certezze assolute.

Il giocatore diventa storico, vagabondo alla ricerca di fonti per ricostruire il lontano passato. La trama non è sorbita passivamente ed invero non è nemmeno univoca, ma è il frutto di un'archeologia fantastica in divenire costante, di un'opera attiva, partecipata e personale che scruta nell'ombra e cerca la luce.

Le caratteristiche costitutive di tale scelta sono tre: la dimensione ludica, il fascino del vago e la capacità di generare dibattiti costanti, mantenendo l'intreccio sempre rilevante. Il primo concetto lo ho in parte introdotto e riguarda la marcata partecipazione individuale richiesta nella comprensione della vicenda.

Da anima errante in un mondo sconosciuto, ci si trova spaesati, senza coordinate, sapendo a malapena cosa si deve fare. Ma ogni oggetto, ogni luogo, ogni parola è un tassello di un enorme mosaico da ricomporre. Senza uno sforzo mentale e un'analisi certosina del contesto resta solo il vuoto.

La lore, dunque, cattura l'attenzione su ogni dettaglio in maniera assai più forte rispetto alla narrativa convenzionale e costringe ad osservare anche l'elemento più minuto alla luce delle proprie teorie. Il fatto che questo abbia un ruolo di spicco o meno è irrilevante, poiché anche un ragionamento vano costringe alla piena immedesimazione.

Quest'opera di ricostruzione, inoltre, coinvolge il singolo in una serie di processi ludici altrimenti assenti: vagliare le fonti, interpretarle, rileggerle sulla base di nuove informazioni, confrontarle con dati preesistenti ed elaborare teorie più o meno stabili. Dark Souls spinge a ragionare costantemente ed in questo trova uno dei suoi fulcri.

Ogni volta che la verità sembra avvicinarsi, si genera la sensazione di aver come raggiunto una vetta, dipanato un rompicapo che appariva senza uscite. La trama sembra propria perché lo è, perché ognuno l'ha fruita diversamente. Essa non esiste se non in quanto percepita e sebbene si possano raggiungere le medesime conclusioni queste non nascono dallo stesso processo.

Ciò che scaturisce, per altro, non è mai del tutto sufficiente, come se molto fosse andato perduto nei meandri dell'oblio. Il passato remoto sembra tale proprio poiché leggendario e quasi impossibile da ricostruire, l'età dell'oro e degli dei ha l'autentico sapore di un mondo irreversibilmente scomparso.

Ci si trova davanti a quel concetto di vago e indefinito di cui parlò Leopardi: la fascinazione dell'uomo nei confronti dell'ignoto, di ciò che mostra parte di se ma non tutto, che si può intendere appena e mai possedere completamente e costringe il ragionamento a vagare a lungo e senza meta.

Ancor più che in Dark Souls tale pregio della narrativa di FromSoftware è evidente in Bloodborne, in particolare nelle figure dei Grandi Esseri. Entità cosmiche dalla natura ignota, queste vengono sovente lasciate intendere nella loro presenza senza che appaiano davvero. Una esiste solo come voce, l'altra appare nei simboli ma mai nella forma, un altra ancora si disvela solo sulla soglia della follia.

Tra le opere che meglio sono riuscite a cogliere la validità di tale impianto narratologico è impossibile non citare: Outer Wilds, uno dei grandi capolavori del gaming indipendente. Esso coglie la medesima cifra dei souls in un indagine solitaria dentro un tempo ciclico, nella storia di un astronauta alla ricerca di risposte nella vastità del cosmo.

La centralità del giocatore e della sua libertà è una delle grandi conquiste dell'opera di Miyazaki, e che avvenga nello spazio o in regni decadenti tale senso di ricerca, tale gioia nel risolvere enigmi ne è il maggior pregio. Infine, proprio la mancanza di una storia univoca riesce a garantire ai titoli una parvenza di eternità.

Cos'è l'abisso, come funziona l'incedere del tempo, quello che si incontra nel gioco è il vero Havel o un mero seguace, quali sono le genealogie della stirpe celeste di Gwyn; questi sono quesiti privi di risposte definitive e pertanto tuttora dibattuti all'interno della community.

La fanbase dei souls teorizza costantemente, pubblica articoli e video per difendere l'una o l'altra ipotesi, raccoglie prove e confuta i rivali. I forum pullulano tuttora di accese discussioni, dimostrando non solo la longevità della narrativa di Dark Souls ma anche la sua dimensione sociale e la sua capacità di evolversi al di fuori del gioco stesso.

La lore è intrinsecamente metanarrativa, è personale e comunitaria allo stesso tempo e non sorprende, dunque, che abbia trovato terreno fertile quasi dappertutto. Non vi è miglior modo, in fondo, per garantire al proprio intreccio una quasi immortalità, una rilevanza immutabile nonostante gli anni.

Cos'è un souls ?

Se si volesse definire cos'è un soulslike tramite l'analisi del combat system, allora i Ni-Oh non sarebbero tali, tantomeno un Remnant e, ironia della sorte, nemmeno Sekiro. In questo paragrafo cercherò di spiegare quanto vasto sia stato l'influsso dei souls nelle meccaniche di combattimento e nel design dei nemici ma al contempo di mostrare come quasi tutti ne abbiano modificato pesantemente i sistemi.

Quello di Dark Souls è un approccio sottrattivo, che mira a condensare l'azione in un numero limitato di mosse ed esaltare ambiti che, soprattutto ai tempi, tendevano a restare sullo sfondo. I giochi di Team Ninja fanno, invece, il contrario e possiedono una complessità reminiscente dei character action, storico genere dello studio e non dei giochi di From.

Per esemplificare il concetto che voglio esprimere agirò in maniera comparativa, esaltando ciò che persiste e ciò che viene sostituito. Innanzitutto, i titoli di Miyazaki, tendono ad avere poca scelta in termini di manovre (in Dark Souls non vi erano ancora le weapon art) e a dare poca importanza alla pura esecuzione.

Ni-Oh 3, di cui è appena stata pubblicata una demo ed è pertanto estremamente fresco, non solo rende disponibile uno switch immediato tra due classi diverse, ma possiede ben tre posture, ognuna con le proprie variazione. Peso assai maggiore ha l'abilità nel concatenare le mosse e nello scegliere quale combinazione utilizzare al momento giusto, determinate manovre, inoltre, richiedono una minima abilità pad alla mano.

Il sistema essenziale di Dark Souls è compensato da un marcato ripensamento dello scontro in termini meccanici, evidente nell'importanza attribuita al posizionamento ed alla memorizzazione dei pattern, al nuovo ruolo concesso ai nemici e ad una concezione delle bossfight che ha fatto scuola.

Ogni singola creatura che popola le rovine di Lordran può, in qualche misura, essere fatale, ognuna arreca danni sufficientemente elevati e ha effetti tangibili sull'equilibrio. Non sono minion da farmare per qualche livello, ma sfide da prendere sul serio, soprattutto in un titolo dove basta veramente poco per essere sopraffatti.

Dark Souls scoraggia l'offensiva scellerata, insegna a dividere le schiere avversarie, sceglie, in un periodo ove andava di moda il free flow e i nemici attaccavano uno alla volta, di asfissiare il viandante troppo audace. Tali sfumature sono palesi anche negli action ibridi di Team Ninja, soprattutto se si confrontano gli stessi con le produzioni tradizionali dello sviluppatore.

Memorizzare il moveset altrui e affinare reazioni corrette è la chiave per sopravvivere a un mondo così decadente e ostile, molto più rispetto a qualsiasi virtuosismo tecnico (ciò è evidente anche in Sekiro nonostante la transizione verso un action basato sulle parate e i tempismi) e determina una natura quasi didattica della sconfitta.

Ho spiegato come i falò permettano di implementare un livello di difficoltà elevato, eppure, essi non sono la sola grande intuizione di From. Durante buona parte della storia del gaming, la forza di un boss è stata, spesso, commisurata alla sua salute, nella convinzione che un'entità così forte dovesse essere quasi impossibile da scalfire.

Invece, in Dark Souls ancor più che nei sequel, gli scontri tendono ad avere una durata esigua: nel giro di una manciata di minuti o si muore o si trionfa. Essere sconfitti presuppone un dispendio temporale limitato, al netto dei runback verso le arene, e si rientra nel vivo dell'azione pressoché all'istante.

L'obiettivo è duplice: innanzitutto si desidera evitare che sul disappunto della disfatta s'innesti il fastidio delle ore sprecate, in secondo luogo si vuole dare la sensazione di essere sempre a un passo dalla vittoria, di poter riportare all'istante il nemico nelle medesime condizioni della battaglia precedente.

Tutto ciò senza considerare un'altre serie di idee sdoganate o addirittura concepite da FromSoftware come la diffusione dei tasti d'attacco sui dorsali, la preponderanza della poise propria e nemica nell'economia degli scontri, il parry (ovviamente un invenzione anteriore ma reso onnipresente grazie alla saga souls) e un accento sulla responsabilità di scegliere quando colpire e quando attendere.

L'interconnessione

Questo punto è, senza dubbio, la punta di diamante del design di Dark Souls, un esempio così accecante di virtuosismo da non aver trovato emuli nemmeno nelle opere successive dello studio. Parliamo di quel meccanismo svizzero presente nella prima metà del gioco, espresso in un level design che apparve irraggiungibile e che tale è ancora.

In game design, spesso, le limitazioni lungi dall'essere ostacoli sono opportunità e la mancanza del teletrasporto nella prima fase di Dark Souls è uno degli esempi più eclatanti di tale concetto. Finché non si raggiunge Anor Londo ogni singolo spostamento deve avvenire a piedi, indipendentemente dal fatto che si torni in zone già esplorate.

Ciò sarebbe avvilente se non entrasse in gioco un sistema di cunicoli, strade e scorciatoie così permeante e ben congeniato da riuscire quasi a leggere nel pensiero del giocatore e condurlo esattamente dove vuole essere. Proprio quando egli, sebbene lontanissimo, desidera tornare all'altare del vincolo ecco che vi sbuca da una direzione inaspettata.

Tale assetto dell'ambientazione svolge più funzioni contemporaneamente, alcune meccaniche altre legate all'atmosfera e al simbolo. Innanzitutto rafforza la sensazione del viaggio vano e solitario, della lunga e perigliosa traversata in una terra di cenere e vestigia, al contempo esalta la natura ristoratrice del Firelink Shrine, unico baluardo sulla rovina.

Parliamo di un sentore inconscio, sottile ma è di questi che si compone "l'anima" di un gioco. All'anima è, tuttavia, necessario accostare un corpo funzionale, una struttura solida che ne stemperi gli eccessi. Ecco perché l'interconnessione è fondamentale, in quanto consente di piegare il mondo alle esigenze della progressione.

Andre, per esempio, non è mai troppo lontano (quando lo diviene si possiede già il lordvessel) e, partendo da qualsiasi punto, esiste un percorso sufficientemente breve per tornare alla forgia. Il già menzionato altare del vincolo, possiede a sua volta più entrate e uscite, alcune delle quali disponibili solo incedendo nell'avventura.

Ciò, inoltre, costituisce un sostanziale fattore di rigiocabilità in quanto permette di approcciare il titolo in maniere differenti, anticipando e rimandando le bossfight a piacimento, scegliendo di attraversare aree avanzate prima del tempo e inventando tutta una serie di sfide che altrimenti sarebbero impossibili.

Questo diviene ancora più evidente quando si sceglie come dono iniziale la chiave universale, un oggetto apparentemente semplice ma tale da sovvertire completamente il design, soprattutto per i giocatori più navigati. Per tali ragioni Dark Souls è un prodotto sempiterno, molto più dei sue due sequel, che cedendo (soprattutto il terzo capitolo) a una forte linearità tendono alla ripetizione.

Il level design di Lordran è brillante, imprevedibile ma prossimo al mentalismo, così intricato eppure semplice da apparire stregoneria. Quello che scaturisce è un mondo più vivo, pulsante nella sua decadenza, ma soprattutto un'avventura che rende il giocatore pienamente padrone, dunque, infinitamente più lieto di ogni sua scelta.

All'inizio di questo ragionamento ho parlato di come tale map design non abbia mai trovato emuli all'altezza, eppure, FromSoftware vi si è avvicinata in tempi recenti, sebbene in uno scenario mutato. Parliamo, per essere precisi, della Rocca delle Ombre all'interno di Shadow of the Erdtree e di come essa imiti il paradigma teorico di Dark Souls all'interno di un Open World.

Il regno delle ombre se confrontato con l'interregno vero e proprio possiede un numero sensibilmente maggiore di colli di bottiglia tra un'area e l'altra, i quali pur riducendo l'organicità del mondo aperto offrono tutta una serie di strumenti di design. Proprio nella Shadow Keep si trova una grande quantità di questi passaggi, spesso in posizioni completamente inaspettate.

Come lasciando il Firelink Shrine vi si ritornava da sottoterra dopo un lungo peregrinare, allo stesso modo, esplorando la rocca, si può sbucare nei luoghi più assurdi per poi rientrare in un'ala completamente diversa del castello. Non sarà certamente la disposizione più verosimile delle cose ma è senza dubbio la più efficace.

Encomiabile in questo campo è anche il lavoro svolto da Team Cherry in Hollow Knight, che pur declinando il concetto nelle due dimensioni (e potendo connettersi a un dato punto solo da quattro direzioni) riesce a trasferire nel genere metroidvania l'approccio di From, puntando sul senso di sorpresa e compiutezza che esso genera.

Le altre innovazioni

Nei paragrafi precedenti ho introdotto i principali ambiti in cui la formula ideata da Miyazaki e i suoi ha innovato il mondo dei videogiochi. Vi sono, tuttavia, dei campi più ristretti ove l'influsso di Dark Souls è estremamente evidente e che vale la pena analizzare, in particolare nell'ambito del cosiddetto "multiplayer asincrono".

Per multiplayer asincrono si intende una particolare visione delle interazioni online, non più incentrata sul principio di contemporaneità e compresenza di entrambi i giocatori nello steso luogo e nello stesso tempo, ma sulla persistenza degli atti dell'uno nell'esperienza dell'altro.

I messaggi a terra, per esempio, permettono di lasciare consigli utili per coloro che attraverseranno le medesime aree, le macchie di sangue evidenziano la presenza di nemici pericolosi e la necessità di fare attenzione. In Dark Souls, inoltre, vi era una meccanica supplementare poi svanita nei prodotti successivi di FromSoftware.

Parliamo dei Vagrant, esserini che nascono dalle umanità perdute o dai drop abbandonati e mai raccolti. Queste creature, talmente rare da essere sconosciute a parecchi giocatori della saga, appaiono soltanto nei mondi altrui e qualora non vengano sconfitte, svaniscono per infestare altre partite.

A recuperare e perfezionare tale intuizione di From è una serie che ha bisogno di ben poche presentazioni: Death Stranding. Kojima si professa, ovviamente, inventore di un fantomatico "strand genre" ma non è particolarmente difficile riconoscere l'influenza di Miyazaki per quanto essa sia stata ampliata e resa capillare nelle meccaniche di gioco.

Se a Lordran l'impatto degli altri giocatori era vincolato a meri accenni, nelle avventure di Sam Porter Bridges esso consente di piegare il mondo al proprio volere, di ricavare nella scabra e ostile natura vie sempre più sicure, fino a che anche un monte che appariva insormontabile diviene poco più di un lieve fastidio.

Ognuno, infatti, può personalmente costruire opere edilizie volte a semplificare le consegne o sostenerne di più vaste donando i propri materiali. Ogni atto riverbera in più mondi, ogni azione personale è inerentemente sociale, in quello che forse è l'ambito che maggiormente ha riscontrato evoluzioni provenienti da altri studi.

Segnalo, inoltre, la consacrazione delle descrizioni degli oggetti come strumento di esposizione narrativa (al posto dei canonici log o delle lettere che affollavano i titoli di allora), i quali pur non avendo sostituito l'approccio classico hanno trovato terreno discretamente fertile anche al di fuori dei soulslike.

Soprattutto, Dark Souls ha dimostrato in un'industria che aveva completamente rinnegato ogni tipologia di frizione l'attrattiva destata dalla sfida, ha evidenziato come dopo un breve assestamento anche i maggiori detrattori di un sistema punitivo siano capaci di apprezzarlo e comprenderlo a pieno.

Se oggigiorno la complessità meccanica e strutturale e la player agency risaltano come punti focali del dibattito intorno al videogioco, ciò è grazie a FromSoftware, uno studio capace ai tempi come oggi di irrompere nelle cultura popolare pur rifiutando la semplificazione, di concedersi a tutti senza rinnegare i pochi.

Conclusioni

Da quando per la prima volta i giocatori hanno messo piede tra le vestigia dell'età del fuoco sono passati quasi quindici anni, anni in cui FromSoftware da artefice di titoli di nicchia è divenuta una delle software house più riverite del panorama videoludico, vincitrice di premi prestigiosi e popolare come non mai.

Quest'epoca d'oro non può che essere figlia di Dark Souls, con cui la formula che ha poi reso noto lo studio si è consacrata e diffusa attraverso l'intera industria. Lentamente il genere ha fatto sempre più proseliti, spesso anche tra chi all'inizio non lo avrebbe degnato di uno sguardo, ed è divenuto una forza commerciale senza precedenti.

Ho iniziato questo articolo dicendo che avrei mostrato quali esiti la formula ha sortito negli anni e quali meccaniche siano divenute imperanti grazie ad essa. Eppure c'è qualcosa di più che dipende dall'opera di Miyazaki, un fattore innegabile ora che Elden Ring ha superato le 25 milioni di copie.

From ha dimostrato che le nuove idee possono imporsi, che la complessità è una virtù, che i giocatori, forse in maniera quasi inconscia, ricercano la frizione, l'attrito, il conflitto. Molto, oggigiorno, dobbiamo ai souls e per molti anni ancora continueranno a formare il futuro del videogioco.

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Redazione Redazione Eventi e News