Disfunzione mitocondriale legata all’insorgenza dell’Alzheimer e alla risposta al trattamento


I cambiamenti nel modo in cui le cellule cerebrali generano energia possono guidare lo sviluppo dell’Alzheimer e influenzare il modo in cui i pazienti rispondono alla terapia, secondo un nuovo studio dei ricercatori della Mayo Clinic.
I cambiamenti nel modo in cui le cellule cerebrali generano energia possono guidare lo sviluppo dell’Alzheimer e influenzare il modo in cui i pazienti rispondono alla terapia, secondo un nuovo studio dei ricercatori della Mayo Clinic.
I risultati, pubblicati sulla rivista Alzheimer’s & Dementia, evidenziano il complesso mitocondriale – un componente critico della produzione di energia cellulare – sia come contributo alla progressione della malattia che come bersaglio promettente per nuovi trattamenti.
Guidato dall’autrice senior Eugenia Trushina, il team della Mayo Clinic ha scoperto che le interruzioni nell’attività del complesso possono innescare modelli di espressione genica comunemente osservati nell’Alzheimer.
I ricercatori hanno dimostrato che l’uso di piccole molecole per regolare delicatamente la complessità delle funzioni dell’I può aiutare ad attivare meccanismi protettivi nelle cellule cerebrali.
“Questa ricerca offre nuovi indizi su come inizia l’Alzheimer e mostra un nuovo percorso promettente per lo sviluppo di trattamenti migliori e più personalizzati”, afferma il dottor Trushina, un ricercatore che studia le malattie neurodegenerative.
I mitocondri, spesso descritti come la centrale elettrica della cellula, producono l’energia necessaria per il corretto funzionamento cellulare.
Nei neuroni, che hanno una richiesta di energia particolarmente elevata, la disfunzione mitocondriale può avere conseguenze devastanti.
I ricercatori della Mayo Clinic hanno scoperto che quando il complesso I non funziona correttamente, interrompe il modo in cui le cellule cerebrali gestiscono l’energia e rispondono allo stress, cambiamenti che assomigliano a quelli osservati nel cervello delle persone con Alzheimer.
Utilizzando modelli sperimentali e strumenti molecolari e computazionali avanzati, il team ha dimostrato che una lieve modulazione dell’attività del complesso con piccole molecole appositamente progettate ha aiutato i neuroni a lanciare risposte protettive, come la riduzione dell’infiammazione e il miglioramento del bilancio energetico.
È interessante notare che hanno scoperto che maschi e femmine rispondevano in modo diverso a questi trattamenti, suggerendo la necessità di approcci terapeutici specifici per sesso.
“Questo effetto dipendente dal sesso è intrigante”, afferma il dottor Trushina.
“Suggerisce che le terapie future potrebbero essere adattate in base al sesso, soprattutto per una malattia come l’Alzheimer che colpisce uomini e donne in modo diverso”.
Gli attuali trattamenti per l’Alzheimer si concentrano principalmente sulla gestione dei sintomi o sui cambiamenti cerebrali caratteristici come le placche amiloidi e i grovigli di tau.
Tuttavia, questi approcci hanno avuto un successo limitato nell’arrestare la progressione della malattia.
Il nuovo studio indica la disfunzione mitocondriale come un possibile fattore scatenante a monte, che può iniziare molto prima che emergano i sintomi cognitivi.
“Questo studio ci offre una comprensione più profonda degli eventi cellulari che scatenano l’Alzheimer e, cosa più importante, di come potremmo intervenire per rallentare o prevenire la sua progressione”, afferma il dottor Trushina.
“I nostri risultati aprono la porta a una nuova classe di farmaci che funzionano proteggendo l’approvvigionamento energetico del cervello e tamponandolo contro i cambiamenti precoci legati alla malattia”.
La ricerca fa parte di uno sforzo più ampio della Mayo Clinic chiamato iniziativa Precure, focalizzato sullo sviluppo di strumenti che consentono ai medici di prevedere e intercettare i processi biologici prima che si evolvano in malattie o progrediscano in condizioni complesse e difficili da trattare.
In futuro, il team prevede di studiare ulteriormente la sicurezza e l’efficacia dei modulatori I complessi in modelli preclinici, con l’obiettivo di avanzare negli studi clinici.
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