Garzonio: da Antoniazzi una grande lezione morale



Sindacalista, figura pubblica di rilievo per decenni, attivo nella politica e nelle istituzioni, uomo di fede vissuto sempre con quella lucidità di pensiero e quella onestà che gli era riconosciuta da tutti. Sandro Antoniazzi, scomparso il 16 luglio a 85 anni (i funerali il 18 luglio alle 11 nella Basilica di Sant’Ambrogio, presieduti dal Vicario generale monsignor Franco Agnesi e dall’Abate monsignor Carlo Faccendini; terrà l’omelia don Marcellino Brivio), è stato certamente uno dei protagonisti della scena sociale e civile, non solo ambrosiana, in tante e diverse stagioni.
Nato a Milano nel 1939, figlio di uno dei fondatori della Democrazia cristiana milanese, legato in gioventù all’Azione Cattolica, ebbe un ruolo particolarmente significativo prima nella Fim-Cisl – dal 1962 – e poi nella Cisl, molto vicino all’area di Pierre Carniti, divenendo segretario delle Federazioni di Milano (1979) e della Lombardia dal 1988 al 1992. Anno in cui Antoniazzi venne chiamato alla presidenza del Pio Albergo Trivulzio, da dove era appena iniziata la valanga di Tangentopoli, destinata a travolgere la classe dirigente del Paese. Nel 2001 fu candidato sindaco dell’Ulivo a Milano, sconfitto da Gabriele Albertini, rimanendo tuttavia attivissimo membro dell’opposizione a Palazzo Marino.
«Sandro ha rappresentato l’altra faccia di Milano rispetto a quella degli affari, degli interessi, di ciò che appare. È stato un uomo che, fin dagli inizi, si è speso nell’impegno sindacale e poi nella società civile, avendo sempre ben presente la città, i deboli, il servizio, il bene comune, una visione generale, la giustizia e l’uguaglianza»: così ricorda l’amico scomparso Marco Garzonio, anch’egli figura molto nota, editorialista del Corriere della Sera, psicoanalista e presidente emerito della Fondazione culturale Ambrosianeum.
Quale è l’eredità che ci lascia Sandro Antoniazzi?
Credo che la sua sia una grande lezione morale, etica, civile e anche religiosa. Il fatto che proprio in queste ore ci troviamo a piangerlo, a cercare di tenere viva la sua memoria, in un momento in cui la città, per un altro verso, piange di rammarico per quello che sta succedendo dal punto di vista amministrativo e politico, è per me un segno di sincronicità.
Un ricordo personale?
Era una persona molto semplice, umile, diretta, con lui non c’era bisogno di tanti convenevoli. Ci si intendeva al volo, non solo per quello che ha rappresentato per la città di Milano, ma perché ciò a cui lui mirava era l’essenza del rapporto umano, la comprensione di chi aveva di fronte.
È una perdita anche per la Diocesi?
Senza dubbio. Ricordo che è stato presidente della Fondazione San Carlo, creata nel 1994 dal cardinale Carlo Maria Martini per rispondere alle vecchie e nuove povertà emergenti nella metropoli, e di altri enti benefici. Si rifaceva alla cultura cattolico-democratica che oggi il Papa riprende, ma che nelle nostre terre conta esperienze di altissimo valore che, ovviamente, Antoniazzi conosceva molto bene. Non dimentichiamo che il cattolicesimo democratico a Milano ha avuto capisaldi politici diretti, ma anche degli ispiratori: uno per tutti, Giuseppe Lazzati, con tutte le sue battaglie che avevano sempre come base il credo religioso, con il rispetto del dialogo, del confronto e di chi la pensava diversamente.
Sta scomparendo una generazione che ha saputo coniugare l’impegno sociale e la fede concretamente vissuta?
Io sono coetaneo di Antoniazzi per cui, quando ho avuto la notizia, non ho potuto non avere un pensiero egoisticamente legato a me e alla nostra età. Però. nello stesso tempo. il suo ricordo mi spinge a dire che abbiamo ragioni in più per tenere vivi riferimenti alti, per non adagiarci, per non farci prendere dalla disperazione per quanto sta accadendo e di fronte a cui ci sentiamo così impotenti. Penso a Gaza, alla guerra ucraina, più in generale, al disorientamento che deriva da quello che accade nel mondo.
Qual è la tua reazione?






