La grande illusione del riarmo europeo

di Giuseppe Gagliano –
Negli ultimi anni la narrativa sul “rischio russo” ha alimentato un clima di allarme in Europa, spingendo governi e opinione pubblica ad accettare senza discussione la necessità di un drastico aumento delle spese militari. L’argomento di fondo è semplice: l’Europa sarebbe indifesa di fronte a un eventuale attacco russo, soprattutto se gli Stati Uniti, sotto un possibile nuovo mandato di Donald Trump, dovessero ridimensionare il loro impegno nella NATO. Ma questa percezione di debolezza regge davvero di fronte ai numeri?
I dati del “The Military Balance” dell’Istituto Internazionale di Studi Strategici di Londra smentiscono clamorosamente l’idea di un’Europa militare fragile. Se si considerano carri armati, artiglieria, aerei da combattimento ed elicotteri d’attacco, i Paesi europei della NATO superano largamente la Russia. A fronte di un arsenale russo ormai logoro e logorato dalla guerra in Ucraina, l’Europa dispone di mezzi più numerosi e tecnologicamente più avanzati. La supremazia europea diventa ancora più evidente sul piano navale e aereo: le flotte NATO controllano i mari circostanti la Russia e l’aviazione alleata surclassa quella di Mosca in capacità logistiche e tecnologiche.
Sul piano economico e demografico, il confronto è impietoso. L’Unione Europea conta tre volte la popolazione russa e un PIL che, a parità di cambio, rappresenta il 10% di quello europeo; a parità di potere d’acquisto, il 25%. Le spese militari europee già oggi sono quasi quattro volte quelle di Mosca. Se si considerano anche gli Stati Uniti, la superiorità dell’Occidente diventa totale.
Nonostante queste evidenze, i leader europei discutono di portare la spesa militare dal 2% al 3,5% del PIL, il che significherebbe 840 miliardi di dollari all’anno. Una cifra enorme, che potrebbe essere sottratta a pensioni, sanità e sicurezza sociale, come ha candidamente ammesso il segretario generale della NATO Mark Rutte. Ma è davvero questo il prezzo da pagare per la sicurezza? E soprattutto: sicurezza rispetto a cosa?
Chi sostiene il riarmo cita spesso il vantaggio nucleare russo. Mosca dispone di circa 5.600 testate, a fronte delle 300 francesi e poco più di 200 britanniche. Ma nel gioco strategico la quantità conta meno della credibilità della deterrenza. I missili balistici lanciati da sottomarini francesi e britannici garantiscono una capacità di risposta sufficiente a scoraggiare qualsiasi avventura russa. Il vero nodo politico è se estendere questa protezione nucleare a tutti i Paesi europei, costruendo una credibile autonomia strategica.
L’Europa soffre di una frammentazione decisionale che penalizza l’efficienza. La NATO è un mosaico di interessi nazionali divergenti, mentre la Russia agisce come un attore unitario. Creare comandi e reparti integrati o addirittura un esercito europeo sarebbe una soluzione, ma manca il coraggio politico per affrontare il tema.
L’entusiasmo riarmista rischia di ripetere gli errori del passato. Negli anni ’80 Stati Uniti e Unione Sovietica accumularono oltre 70mila testate nucleari, una follia strategica e finanziaria. Oggi l’Europa rischia di replicare quella corsa agli armamenti, investendo centinaia di miliardi in sistemi che potrebbero non essere mai usati, sottraendo risorse alla lotta contro crisi ben più concrete: cambiamenti climatici, pandemie, povertà e perdita di biodiversità.
L’aggressione russa all’Ucraina ha mostrato i limiti delle forze armate di Mosca, incapaci di ottenere risultati decisivi nonostante il sacrificio di uomini e materiali. È proprio questo esercito, logorato e inefficiente, che dovrebbe rappresentare una minaccia esistenziale per l’Europa? O siamo di fronte a una geopolitica della paura funzionale agli interessi di un complesso militare-industriale che cerca nuovi spazi di profitto?
L’Europa deve scegliere se continuare sulla strada della retorica militarista o tornare a una politica estera fondata sulla diplomazia e sulla cooperazione internazionale. La vera sfida non è riarmarsi, ma usare in modo intelligente le risorse per costruire un ordine globale più stabile e affrontare i problemi planetari che minacciano davvero il nostro futuro.
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