Migranti, Open Arms salva altre 51 persone: anche tre bimbi di pochi mesi. Sbarcati a Savona 146 dalla Life Support

Agosto 11, 2025 - 16:30
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Migranti, Open Arms salva altre 51 persone: anche tre bimbi di pochi mesi. Sbarcati a Savona 146 dalla Life Support

Open Arms, con il veliero Astral, ha soccorso nel Mediterraneo Centrale 51 persone che erano a bordo di una imbarcazione partita da Sfax, in Tunisia, lo scorso 6 agosto.

Tra loro ci sono anche 21 minori: 3 bambini piccoli di circa 6/7 mesi (una femmina e due maschi); e 18 minori non accompagnati. Tra gli adulti, 19 uomini e 11 donne, di cui due incinte di 4 e 5 mesi.

Secondo il referto redatto dal medico di bordo del veliero Astral – fa sapere la ong – i migranti soccorsi in mare presentavano disidratazione, vertigini e ipotermia generalmente percepita. Molti di loro hanno anche eritemi e ustioni nella zona inguinale a causa della benzina mista a acqua di mare.

Astral nelle 24 ore precedenti aveva già operato un soccorso di 40 persone che viaggiavano su una simile imbarcazione e ora si sta dirigendo verso Lampedusa.

Le persone soccorse arrivano da Guinea Conakry, Costa d’Avorio, Sierra Leone, Mali e Burkina Faso. Secondo la ong “si stanno riscontrando nuovamente molte partenze dalla Tunisia su imbarcazioni precarie come nel caso di quella di ferro su cui viaggiavano le 51 persone soccorse ieri sera. Sono tantissimi inoltre i minori non accompagnati e bambini di pochi mesi”.

Sbarcate a Savona 146 persone soccorse dalla Life Support

Si è concluso alle 23.15 di domenica sera, nel porto di Savona, lo sbarco delle 146 persone soccorse dalla Life Support, la nave di ricerca e soccorso di Emergency, nel Mediterraneo Centrale. Tra le giornate di mercoledì 6 agosto e giovedì 7 agosto, la nave ha effettuato tre diversi interventi di soccorso.

La Life Support aveva prestato assistenza prima a due imbarcazioni sovraffollate, inadeguate alla navigazione e con persone in condizioni precarie a bordo: un gommone con 31 persone tra cui una donna incinta e undici minori non accompagnati e un gommone bianco sovraffollato di persone senza giubbotti salvagente con 47 naufraghi di cui tre minori. L’ultimo soccorso ha visto la nave dell’ong impegnata con il salvataggio di 69 persone, trasportate da un’imbarcazione in vetroresina sovraffollata, che si è avvicinata alla Life Support a grande velocità e che si è poi affiancata in maniera pericolosa alla nave in corsa, mentre i guidatori incitavano le persone a saltare a bordo della Life Support. Le operazioni sono state molto complicate poiché nel tentativo di lanciarsi sulla nave alcuni naufraghi sono caduti in acqua, sprovvisti di salvagenti. Uno dei naufraghi è stato evacuato con un elicottero della Guardia Costiera perché versava in condizioni mediche critiche.

“Abbiamo impiegato quattro giorni di navigazione per arrivare al porto di Savona assegnatoci dalle autorità. L’assegnazione di un porto di sbarco così distante dal luogo del salvataggio non solo non tiene conto delle sofferenze delle persone a bordo, ma ci obbliga a restare lontani dalla zona operativa nel Mediterraneo Centrale per molto tempo. Le navi da ricerca e soccorso devono rimanere dove sono necessarie invece che passare così tanto tempo per raggiungere porti distanti – dichiara Domenico Pugliese, comandate della Life Support di Emergency – ringraziamo le autorità e i volontari di Savona che ci hanno assistito e hanno permesso che le operazioni di sbarco fossero svolte senza difficoltà. Un augurio va alle persone che abbiamo sbarcato, sperando possano trovare il giusto supporto piscologico, medico e legale. Non posso non pensare al ragazzo che è stato trasportato in elicottero perché versava in condizioni critiche, gli auguriamo il meglio”.

Alcuni dei naufraghi recuperati nelle tre diverse operazioni di soccorso provenivano dal Sudan, paese in guerra da oltre due anni. Gli altri da Afghanistan, Bangladesh, Burkina Faso, Camerun, Costa d’Avorio, Eritrea, Gambia, Ghana, Guinea, Mali, Nigeria, Senegal, Somalia, paesi afflitti da violenze, povertà, instabilità politica e crisi climatica.

“In questi lunghi giorni di navigazione che ci hanno separato dal porto di sbarco, ho avuto modo di ascoltare diverse storie delle persone a bordo della nave – afferma Ousmane Thiame, mediatore culturale a bordo della Life Support – quella che mi ha colpito di più è la storia di questo ragazzo che ha tentato per nove anni di scappare dalla Libia. Ci ha raccontato che in questo periodo è stato sottoposto a torture come il martellamento delle mani. Finalmente è riuscito a scappare e sentire l’emozione nella sua voce nel raccontare il momento in cui ha visto la Life Support è stato commovente”.

Un altro ragazzo sudanese soccorso dalla Life Support condivide la sua esperienza: “Vengo dalla regione del Kordofan. Quando è scoppiata la guerra, mi trovavo a Khartoum con mia moglie e la mia famiglia. Ero un piccolo commerciante e le cose andavano bene, ma quando la guerra è arrivata, tutti sono fuggiti: nessuno è rimasto a Khartoum. Avevo messo da parte qualche risparmio e sono partito per il Darfur, poi ho attraversato il confine con il Ciad, dove sono rimasto otto mesi. Da lì, ho trovato il modo di raggiungere la Libia. Ho lavorato nei campi agricoli e, quando ho messo insieme abbastanza soldi, ho deciso di partire per l’Europa per chiedere protezione e trovare un modo sicuro di portare con me la mia famiglia. Il viaggio in mare è stato un incubo, avevamo paura di morire, abbiamo imbarcato molta acqua. Quando abbiamo visto la vostra nave, abbiamo capito che saremmo sopravvissuti: è stata una sensazione indescrivibile. Non so ancora immaginare come sarà la mia vita in Europa, ma so cosa voglio: chiedere protezione, ottenere documenti, portare qui la mia famiglia e costruire un futuro insieme”.

Ci siamo rifugiati in Pakistan dopo essere stati costretti a fuggire dall’Afghanistan, ma lì i rifugiati afghani vengono sfrattati con la forza, le loro case saccheggiate. In Pakistan facevo il meccanico di motociclette ma a causa delle violenze sono stato costretto ad abbandonare tutto. – Racconta M. un naufrago afgano, a bordo della Life Support – Non mi è rimasto nulla. Avevo molti debiti, non riuscivo più ad arrivare a fine mese. Avevo scelto di venire in Europa già da tempo. Ho provato con tutte le forze a costruirmi una vita in Pakistan, ma il governo ci ha abbandonato. In Afghanistan la situazione è ancora peggiore: non c’è istruzione per i bambini, né assistenza sanitaria, né lavoro. Non abbiamo nessuna possibilità. Il viaggio è stato terribile. Durante la traversata in barca ci hanno costretto con la forza a salire e sistemarci come potevamo. Abbiamo attraversato tante difficoltà, anche in Libia. Siamo stati trattati come animali. Ci hanno rinchiusi in stanze piccole, senza la possibilità di uscire, parlare o camminare. Non ci davano nemmeno da mangiare. È stato un incubo. Ci siamo rimasti quasi un mese, completamente isolati. Adesso, finalmente, siamo quasi arrivati. È stato un viaggio durissimo, ma sono molto felice. Felice di essere in Europa, felice di avere una speranza”.

La Life Support, con un equipaggio composto da marittimi, medici, infermieri, mediatori e soccorritori, ha concluso la sua 35/a missione nel Mediterraneo centrale, operando in questa regione dal dicembre 2022. Durante questo periodo, la nave ha soccorso un totale di 3.001 persone.

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