Milano non può sacrificare tutto al criterio del profitto



«Quando una cosa promette di essere redditizia, chi ha risorse decide di investire e si aspetta che il suo investimento renda quanto più possibile. Forse la città si è messa sul mercato come “una cosa che promette di essere redditizia”, invece che presentarsi come una comunità in cui potrebbe essere desiderabile abitare. Il criterio del “maggior profitto possibile” può diventare come un idolo intrattabile che diventa sempre più avido e pretende che tutto sia a lui sacrificato: la vita della gente, il suolo, l’ambiente, le relazioni. Già in altre occasioni, in questi anni, ho sottolineato che Milano rischia di diventare una città molto attraente per turisti, uomini di affari, costruttori e fondi di investimento ma poco accessibile alla gente comune e con troppe disuguaglianze. Certo, le questioni sono complesse e le scelte difficili: se la città non attira investimenti, si condanna al declino; se la città attira investimenti dell’idolo avido di guadagnare, si condanna al deserto e alla disperazione». Lo afferma l’arcivescovo, mons. Mario Delpini, in un’ampia intervista pubblicata sul Corriere della Sera di venerdì 8 agosto, riflettendo sulla città a partire dalle ultime vicende legate all’urbanistica che hanno coinvolto Milano.
«Ho grande fiducia nella gente che lavora onestamente e che assume responsabilità per il bene comune – continua l’Arcivescovo -. Ho stima e fiducia nei magistrati che svolgono il loro lavoro con coscienziosità e con la sincera ricerca della verità. Non di quelli che cercano la ribalta della notorietà e l’effetto politico degli indizi, piuttosto che la valutazione obiettiva dei comportamenti dei cittadini. Ho stima e fiducia negli amministratori che assumono la responsabilità del bene comune con onestà e intelligente lungimiranza. Ma non di quelli che asserviscono il loro potere a interessi di parte o personali. Ho stima e fiducia negli operatori della comunicazione che informano la gente con onestà ed equilibrio. Ma non di quelli che fanno dell’informazione un’arma per condannare, se non diffamare, con inappellabile severità, prima che le vicende giudiziarie si concludano».
L’impegno per il bene comune
Mons. Delpini poi sollecita un impegno deciso e concreto al servizio del bene comune. «Sono incline alla fiducia nelle persone e nelle istituzioni. Quel che è certo è che promuovere l’evoluzione di una cultura delle banche, delle università, dell’imprenditoria, dell’amministrazione non può essere solo un buon proposito. Ci vogliono uomini e donne che fanno della convinzione la motivazione, dei principi il criterio, del ruolo una vocazione, delle situazioni occasioni per agire con coerenza e incisività. Ci vogliono uomini e donne che siano forti e lucidi abbastanza per resistere alle pressioni dell’avidità, alla ricerca rassicurante del consueto e del consenso facile basato sui luoghi comuni, abbastanza preparati per argomentare che praticare la logica del bene comune prima del bene privato è una via più promettente dell’individualismo e dell’indifferenza. Ci sono uomini e donne così? Si facciano avanti!».
La città ha le energie per ripartire? «La città ha le energie – risponde mons. Delpini -. Quello che le manca è la speranza, è la fiducia, è l’ambizione di preparare una città migliore di quella attuale per le prossime generazioni, anche perché mi pare si sia diffuso un sentire, e non parlo solo di Milano, che non trova simpatiche le prossime generazioni, ritiene troppo fastidioso curarsi dei bambini e non ritiene sia una priorità dare loro il benvenuto».
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