Senza dimora, vite invisibili tra arrivi e partenze



Nella serata dello scorso 20 maggio, trentotto persone senza dimora sono state allontanate dal terminal di Malpensa, a tre mesi di distanza da un simile intervento. La presenza di senzatetto all’interno dell’aeroporto è un fenomeno noto e costante, legato alla facilità di accesso e alla presenza di ampi spazi dove mimetizzarsi.
In questo contesto, Caritas ambrosiana, attraverso il progetto “Area (Ri)Partenze” finanziato da Regione Lombardia, sta cercando di intervenire per offrire soluzioni di accoglienza e percorsi di reintegrazione sociale. Tuttavia, la gestione di queste situazioni è complessa, soprattutto per chi soffre di dipendenze o problemi di salute mentale. La scarsità di risorse e di posti di accoglienza rende difficile l’intervento, e non tutte le persone sono disposte a intraprendere un percorso di recupero.
Il protocollo promosso dalla Prefettura di Varese, che coinvolge anche l’ente gestore degli aeroporti milanesi, Sea, mira a trovare soluzioni a lungo termine, ma gli sgomberi non sono visti come una risposta efficace. Alessandro Pezzoni di Caritas evidenzia come le operazioni di allontanamento possano risolvere temporaneamente la situazione, ma non affrontano le cause alla radice del problema, ossia la difficoltà di garantire accoglienza e recupero.
Situazioni simili si registrano anche a Linate, dove, a partire dal 2010, don Fabrizio Martello ha creato una rete solidale che coinvolge la comunità locale e le istituzioni. Grazie alla collaborazione con la polizia e le organizzazioni sociali, è stato possibile offrire supporto alle persone senza dimora, ma il numero di coloro che accettano di essere aiutati rimane esiguo. Le persone che vivono all’interno dello scalo sono le più varie, con storie e problematiche individuali complesse. È il caso di Fiammetta, che ha trovato aiuto dopo un incidente che l’ha portata in ospedale, dove è stato possibile attivare un percorso di cura psichiatrica.
Le difficoltà più grandi riguardano chi vive per strada per lungo tempo, spesso a causa di problemi psichiatrici, e non è raro che, nonostante gli sforzi, molte persone restino invisibili, incapaci di accettare un aiuto concreto. La loro presenza negli aeroporti e nelle stazioni ferroviarie è legata al fatto che questi luoghi offrono rifugio, riscaldamento in inverno, climatizzazione in estate, e spazi sicuri per dormire senza il timore di aggressioni o furti dei loro pochi averi.
Secondo le stime della Fio.Psd (Federazione italiana organismi per le persone senza dimora ente del terzo settore), nel 2024 in Italia sono morti 434 senza dimora, molti dei quali trovati nelle stazioni o in spazi marginali della città. Nonostante la presenza di centri di accoglienza e aiuto, come quelli gestiti dalla Fondazione Progetto Arca, le persone senza dimora continuano a essere difficili da raggiungere, soprattutto quelle che vivono ai margini della società. Le stazioni ferroviarie e gli aeroporti, pur essendo spazi di transito adatti per un riparo temporaneo, non sono soluzioni a lungo termine e non possono sostituire un intervento sociale che offra un vero percorso di recupero.
Il contrasto tra le necessità di sicurezza delle istituzioni e l’approccio sociale delle organizzazioni del terzo settore riflette una realtà complessa. La presenza di forze di polizia in questi luoghi è comprensibile per ragioni di ordine pubblico, ma rischia di non risolvere la questione delle persone che continuano a vivere in condizioni di precarietà. La strada verso una soluzione più efficace passa attraverso un approccio integrato che combini interventi di sicurezza e politiche di inclusione sociale, ma le risorse e le strutture disponibili non sono sufficienti a rispondere adeguatamente alla dimensione di questo problema.
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