Sugli anni 70 ipocrisia e ambiguità: non liquidateli come anni di piombo

Agosto 1, 2025 - 03:30
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Sugli anni 70 ipocrisia e ambiguità: non liquidateli come anni di piombo

Raffaele Fiore, ex-esponente di spicco della colonna torinese delle Brigate Rosse, uno dei membri del commando di via Fani, è morto il 29 luglio scorso a 71 anni. La notizia è stata immediatamente sommersa da una valanga di commenti relativi al fatto che avesse beneficiato della libertà condizionale dopo aver scontato soltanto (sic!) 18 anni di detenzione. Soprattutto, a livello di opinione pubblica, sembra sgomentare il fatto che Fiore non si sia mai pentito né dissociato. Non so come fosse l’uomo Fiore, né mi sono mai sentito vicino alle sue forme di lotta politica per la libertà, l’uguaglianza e la fraternità. D’altro canto, però, non si può fare a meno di evidenziare le ipocrisie che circondano ancora oggi la narrazione sugli anni settanta, a volere esorcizzare, maldestramente, un periodo storico intenso, effervescente, contraddittorio ma cruciale per gli sviluppi politici attuali.

Sul piano giudiziario, se Fiore usufruì della libertà condizionale pur non essendosi mai pentito né dissociato, bisogna sottolineare che l’ex-BR non ha goduto di alcun trattamento di favore. Furono i capi storici delle Brigate Rosse, Curcio, Moretti e Balzerani, a dichiarare pubblicamente in TV, all’indomani dell’omicidio del senatore DC Roberto Ruffilli (16 aprile 1988), la fine della stagione della lotta armata. Una posizione sottoscritta anche dagli altri e dalle altre componenti del gruppo. Tanto bastò perché, a norma di legge, usufruissero dei benefici di cui avevano goduto anche altri che avevano compiuto scelte analoghe. In merito alle definizioni di “pentimento” e “dissociazione”, si rende necessario un approfondimento. La categoria di pentito richiama aspetti di tipo morale e religioso. Di conseguenza, costituisce una questione del tutto individuale. Il problema è che in Italia, dove aleggia l’ombra ingombrante del Vaticano, il piano giudiziario tende ad essere confuso con quello morale. L’ammissione delle proprie responsabilità, sulla scia di questa impostazione, equivale a una confessione di tipo religioso, a un’espiazione dei propri peccati. Non è questo il caso.

Fiore, al pari degli altri BR cosiddetti “irriducibili”, ha sempre ammesso le proprie responsabilità. Politicamente, le ha anche rivendicate. Si tratta di un comportamento che stride fortemente con le categorie morali che in Italia introiettiamo sin da bambini, tra il catechismo e le letture di infanzia, e che ha il suo culmine nell’Innominato manzoniano. Rinnegare, presentarsi come folgorati da una verità più alta come paravento per un opportunistico cambio di posizione che consente di rifuggire la propria responsabilità, rappresenta, nel nostro paese, una costante anche troppo inflazionata. I pentiti sono in realtà collaboratori di giustizia, come vengono giustamente definiti in altri Paesi. Impariamo a definirli e a concepirli così anche in Italia. D’altro canto, bisognerebbe anche sgombrare il campo delle ambiguità rispetto alla distinzione tra irriducibili e dissociati, che alligna principalmente anche tra i reduci di quella esperienza. Si tratta di una distinzione figlia di una lacerazione dolorosa all’interno di chi prese parte all’esperienza della lotta armata, ma che oggi, alla luce del fatto che anche chi non si dissociò ha usufruito dei benefici di legge, andrebbe superata, soprattutto per ricostruire quella storia con accuratezza e serenità.

Si tratta di un percorso necessario da intraprendere, alla luce del fatto che, a partire dalle formazioni armate, è in atto da anni un percorso di criminalizzazione dei movimenti degli anni settanta, liquidati come anni di piombo. Laddove, all’interno di quella storia, si collocano le lotte per l’emancipazione delle donne, lo statuto dei lavoratori, la riforma del diritto di famiglia, il decentramento amministrativo, la riforma penitenziaria. Soprattutto, in nome del piombo, si occulta il tritolo delle stragi di Stato, e si rimuovono le repressioni di piazza in cui persero la vita in modo assurdo, tra gli altri, Giorgiana Masi e Francesco Lo Russo. Nonché le leggi speciali e le torture commesse dagli apparati di stato, e ammesse solo recentemente L’invito a pentirsi, se suona per i reduci della lotta armata come una doppia damnatio memoriae (in quanto pentiti e in quanto terroristi), per chi prese parte ai movimenti suona come un invito a rinnegare le ragioni delle loro lotte. E a non potere chiedere giustizia per quei morti. Riposi in pace, Raffaele Fiore.

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Redazione Eventi e News Redazione Eventi e News in Italia