Un «cantico di luce» chiude il gemellaggio Milano-Gaeta



Un cantico di luce suggella il gemellaggio, perfettamente riuscito, tra le Arcidiocesi di Gaeta e Milano. Cantico della Trasfigurazione del Signore che pare illuminare anche il cielo stellato nella notte che avvolge lo stadio «Antonio Riciniello» di Gaeta, dove l’Arcivescovo presiede l’Eucaristia concelebrata da monsignor Luigi Vari, arcivescovo della città ospitante, e da una trentina di sacerdoti delle due Chiese.
Tantissimi i ragazzi che si affollano sul campo per la Messa animata dai canti del Coro «Shekinah», accanto alle autorità militari e civili, tra cui il sindaco di Gaeta e quello di Formia.
«Il golfo di Gaeta ha accolto la Chiesa di Milano. Un golfo è come un abbraccio e spero che lo abbiate sentito», dice il vescovo Luigi, ringraziando le centinaia di persone che «si sono fatte protagoniste di tale abbraccio».
«La Chiesa di Milano – prosegue – risplende per la sua grandezza e i suoi santi, sant’Ambrogio, san Carlo, Paolo VI (di cui proprio il giorno della Trasfigurazione ricorre la data del ritorno alla casa del Padre nel 1978), per le splendide figure dei suoi Pastori come il cardinale Schuster e il cardinal Martini. La Chiesa di Milano, attraverso il vescovo Mario e i giovani, è stata qui ed è stato bello soprattutto condividere la stessa fede, essere Chiesa: continuiamo a essere insieme pellegrini di speranza».
L’omelia
Dal Vangelo di Luca al capitolo 9, con la veste del Signore che «divenne candida e sfolgorante» prende avvio l’omelia del vescovo Mario.
«Voglio cantare della veste del mio Signore che divenne candida e sfolgorante, voglio cantare della nube luminosa. Voglio cantare la luce che si irradia dalla carne del Signore, dal suo essere “uomo in carne e ossa”. Il cantico della luce non esalta l’evasione dalla storia, esalta l’incarnazione: la gloria di Dio non abita nella fuga dal mondo, nel disprezzo della storia, nella fantasia che abita altri mondi e improbabili paradisi, non brilla in una qualche euforia artificiosa, lontano dal peso del quotidiano e dalla fastidiosa convivenza ordinaria».
Al contrario, il cantico della luce «esalta la rivelazione del Verbo che si è fatto carne perché la carne, cioè la vita concreta dei figli degli uomini, potesse diventare la vita dei figli e delle figlie di Dio. Canto della vocazione della storia umana a diventare la storia del Verbo, storia dell’amore di Dio che tutti accoglie nel suo regno e avvolge della sua luce. Voglio cantare il canto della luce che risplende nella carne di Gesù, perché oggi, troppo spesso, si disprezza la carne, la storia, la vita».
Un cantico, insomma, capace di vincere le tenebre in questo tempo di confusione e smarrimento. «La luce di Gesù rivela la via del bene e della gioia e smaschera l’inganno che confonde male e bene, smentisce la persuasione ostinata e sciocca che il male sia divertente e che, in torbide acque velenose, si possa immergersi piacevolmente. Canto la luce che illumina il bene e smaschera il male».
«Il cantico della luce ascolta la parola che si può ascoltare, la presenza che si può incontrare, l’amicizia che si offre nella vita del Figlio e rivela la via della vita, della gioia che non delude, della verità che salva; canta la vocazione di ciascuno come via alla pienezza, al compimento della propria libertà, che aiuta a distinguere con pazienza il bene dal male».
Una luce, che si fa «fuoco dentro». «Voglio cantare del fuoco che ci rende fuoco, di quell’ardore che rende appassionati della vita trasfigurata dalla gloria del Signore. Voglio cantare della vita che vuole farsi dono, della vita che genera vita, della vita che condivide il dono di essere vivi e di essere pellegrini di speranza».
«Il cantico della luce non è il rumore inquietante e, forse, affascinante, non è il bagliore artificioso dell’andare dietro a favole artificiosamente inventate», conclude l’Arcivescovo, in riferimento alla I Lettera di Pietro, proclamata nella liturgia della Parola. «Piuttosto canto di quella luce che viene dal Figlio glorificato che avvolge di luce tutta la vita e la vita di tutti, come fu in quella notte quando apparve l’angelo del Signore e avvolse di luce i pastori che vegliavano. Voglio cantare il cantico della luce che siete voi, inviati come angeli del Signore perché tutti coloro che incontrate possano riconoscere un frammento di luce e ricevere la rivelazione della vocazione di tutti a entrare nella gloria del Signore. Ecco, voglio cantare il cantico della luce che si compone di tre strofe, della luce che abita nella carne della storia, che distingue il bene dal male, che avvolge come una parola amica che continua a essere un messaggio di speranza».
E, alla fine, dopo i ringraziamenti dei due responsabili della Pastorale giovanile, don Marco Fusi per Milano e don Alessandro Casaregola, per Gaeta, il dono ai ragazzi gaetani delle magliette ambrosiane del Giubileo dei giovani e il canto simbolo di tutte le Gmg, quello di Roma 2000, «Jesus Christ you are my life».
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