Usa. Russiagate, la verità capovolta: ora Brennan e Comey finiscono sotto accusa

di Giuseppe Gagliano –
La storia è di quelle che sembrano uscite da un romanzo di spionaggio, ma è cronaca purissima. John Brennan e James Comey, rispettivamente ex direttore della CIA e dell’FBI, sono finiti sotto inchiesta penale per il loro ruolo nel Russiagate, quell’intricata vicenda che per anni ha monopolizzato la politica americana e intossicato le relazioni con Mosca.
Secondo le rivelazioni del Dipartimento di Giustizia, Brennan avrebbe spinto per includere nel documento ufficiale dell’intelligence del 2017 il famigerato dossier Steele, un compendio di accuse tanto esplosive quanto inconsistenti contro Donald Trump. Quel dossier, finanziato dalla campagna elettorale di Hillary Clinton e dal Comitato Nazionale Democratico, era stato già definito dagli analisti come un insieme di voci non verificate, ma fu ugualmente usato per giustificare l’apertura dell’indagine “Crossfire Hurricane”.
È proprio qui che la narrazione inizia a capovolgersi. Mentre Brennan e Comey apparivano come difensori dell’ordine costituzionale contro un Trump descritto come “uomo di Mosca”, oggi emerge il sospetto che abbiano strumentalizzato l’intelligence per scopi politici. Un sospetto alimentato da documenti declassificati che raccontano di riunioni ad altissimo livello, con Obama, Biden, Clapper e Lynch, in cui veniva discusso un piano attribuito a Clinton per “delegittimare Trump diffondendo lo scandalo della Russia”.
L’indagine sul Russiagate durò quasi due anni e fu affidata al procuratore speciale Robert Mueller. Ma alla fine il verdetto fu inequivocabile: nessuna prova di collusione tra la campagna di Trump e il Cremlino. Da lì iniziò un lento ma inesorabile ritorno di fiamma: il procuratore John Durham fu incaricato di indagare sulle origini dell’indagine stessa e mise in evidenza un intreccio di errori, omissioni e forzature.
Oggi Brennan e Comey devono rispondere di presunte dichiarazioni false al Congresso e dell’uso distorto delle informazioni di intelligence. La Casa Bianca, per voce di Karoline Leavitt, parla senza mezzi termini: “Trump aveva ragione. Ora chi ha cospirato per minare la sua presidenza deve essere chiamato a rispondere davanti al popolo americano”.
Ma questa vicenda, per quanto concentrata sugli Stati Uniti, ha conseguenze che si allargano ben oltre l’Atlantico. Il Russiagate fu usato per giustificare anni di tensioni con Mosca, sanzioni a ripetizione e una narrativa che ha spinto la NATO a rinnovare le sue posture militari ai confini della Russia. Se ora risultasse che quella vicenda era, in parte, una costruzione politica, come reagiranno le cancellerie europee che hanno seguito Washington sulla linea dura?
In gioco c’è la credibilità dell’intero apparato di sicurezza americano. Se le agenzie di intelligence vengono piegate a fini di parte, che garanzie restano per gli alleati e i cittadini? È un interrogativo che scuote anche l’Europa, già attraversata da tensioni tra chi spinge per la linea dura verso Mosca e chi, come Francia e Germania, tenta timide aperture.
Il Russiagate non fu soltanto un’inchiesta giudiziaria: fu un paradigma, un filtro con cui leggere la geopolitica e giustificare un nuovo confronto tra blocchi. Oggi, mentre Brennan e Comey finiscono sotto indagine, si apre un altro capitolo: capire chi abbia davvero manipolato chi, e con quali obiettivi.
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