Anche le farfalle stanno scomparendo: cosa possiamo fare per salvarle?

Agosto 1, 2025 - 10:30
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Anche le farfalle stanno scomparendo: cosa possiamo fare per salvarle?
Cassandra - Zerynthia cassandra

In Europa le farfalle fronteggiano minacce molto insidiose, fra tutte l’agricoltura intensiva, l’abbandono da parte dell’uomo delle aree montane (con conseguente aumento del bosco e perdita di aree aperte, preferite dai lepidotteri), la perdita di habitat, la crisi climatica. Ce ne parla Francesco Gatti, autore dell’Atlante delle Farfalle del Parco lombardo della Valle del Ticino, che ci indica anche qualche azione di salvaguardia

Che gli insetti stiano diminuendo è fatto assodato e quale sia la gravità della situazione cosa ben nota, grazie alle varie ricerche di cui si dispone, perlomeno nel nostro mondo occidentale.

Ne fornisce un esempio uno studio condotto in alcuni parchi naturali della Germania, divenuto (tristemente) famoso tra gli studiosi, i cui risultati parlano di una diminuzione della biomassa degli insetti volanti pari addirittura al 75% in 27 anni (Hallman C.A. et al., More than 75 per cent decline over 27 years in total flying insects biomass in protected areas, PLoS One 12, 2017, e0185809).

Successive ricerche hanno delineato tendenze addirittura più negative riguardanti gli insetti (e altri artropodi) europei, mostrando come il fenomeno avvenga in diverse tipologie di ambiente, dalle praterie alle foreste.

Restringendo il campo alle farfalle la situazione non è rosea. Prendiamo una delle specie più conosciute e affascinanti al mondo: la farfalla monarca americana (Danaus plexippus).

Dal 1997 al 2019 la popolazione che sverna in California ha fatto registrare un calo degli individui pari al 97% (Van Swaay C.A.M. et al., The European Indicator for Grassland Species 1990-2013, Report VS2015.009, De Vlinderstichting, Wageningen, 2015). Non molto meglio se la passano quelle messicane: -80%.

Le farfalle in Europa

In Europa le farfalle fronteggiano minacce molto insidiose, fra tutte l’agricoltura intensiva, l’abbandono da parte dell’uomo delle aree montane (con conseguente aumento del bosco e perdita di aree aperte, preferite dai lepidotteri), la perdita di habitat, la crisi climatica.

Se in alcuni Paesi, tra cui l’Italia, la conoscenza non è (ancora) abbastanza solida da fornire dati significativi, in altri sono invece disponibili numerose prove del declino delle farfalle.

Nel Regno Unito, che probabilmente è l’area meglio studiata al mondo da questo punto di vista, la situazione è decisamente a fuoco… e drammatica. Specie ritenute comuni mostrano un calo del 46%, mentre quelle più specializzate se la passano assai peggio.

In Italia, come detto, non abbiamo un quadro conoscitivo paragonabile a quello britannico, olandese o tedesco, ma non c’è motivo per ritenere che la situazione sia diversa.

Un esempio è fornito da uno studio effettuato nel Parco lombardo della Valle del Ticino, dove tra gli anni ’60 e ’90 del secolo scorso si sono estinte circa il 20% delle specie note nell’area (Gatti F., Atlante delle Farfalle del Parco lombardo della Valle del Ticino, Parco lombardo della Valle del Ticino e Fondazione Lombardia per l’Ambiente, 2021, p. 255).

Che gli insetti – e la biodiversità nel suo insieme – siano in diminuzione è dunque un fatto assodato e oramai di dominio pubblico; gli scienziati ripetono da anni quali siano le drammatiche conseguenze legate a questo fenomeno.

In molti casi ne conosciamo anche le cause e non mancano le proposte (e talvolta anche le azioni concrete) per cercare di limitare questo grave e rapido declino. Ciò che manca, tuttavia, è una reale presa di coscienza da parte del pubblico, senza la quale è arduo se non impossibile l’avvio di una reazione efficace.

Infatti, pur essendo vero che alcune tematiche legate alla diminuzione degli insetti vanno di moda, lo è altrettanto il fatto che in genere l’informazione che se ne dà è alquanto superficiale, parziale, e per di più raggiunge persone le cui basi culturali naturalistico-scientifiche sono mediamente assai scarse.

Tutto questo rende pressoché incomprensibili i significati profondi e le nefaste conseguenze che la drammatica diminuzione degli insetti pone in essere.

Non comprendere le complesse interazioni tra organismi, le quali regolano gli equilibri degli ecosistemi determina l’incapacità di mettere in relazione i vari fenomeni. In questo senso diviene complicatissimo afferrare i principi di causa-effetto. A meno che essi non siano immediati e diretti, ben visibili, facilmente comprensibili e, soprattutto, strumentali al (presunto) benessere umano.

Tutti gli impollinatori sono da salvare…

Prendiamo per esempio il tema degli impollinatori. Tra gli insetti che maggiormente svolgono questa fondamentale funzione ecosistemica vi sono, certo, le api, ma va ricordato che esse non sono le sole e che anche gli altri imenotteri (bombi, vespe, api selvatiche), i ditteri (mosche e affini), i lepidotteri (farfalle e falene) e i coleotteri sono attori importanti, che al pari delle api vanno tutelati.

Eppure è radicata l’idea che siano soprattutto, se non esclusivamente, le api – e per dirla tutta, la sola specie domestica, Apis mellifera – a farsi carico della gran parte del lavoro di impollinazione.

Questo ha generato, almeno a parole e slogan, un’attenzione per l’ape, talvolta dando luogo a pensieri benevoli nei confronti di questo animale, il che di per sé, almeno potenzialmente, è positivo.

Ma se andiamo ad affrontare il problema nella sua complessità ecco che i nodi vengono al pettine. Il pensiero che si radica a partire da una visione parziale, anche quando è dettato da buona fede, può persino portare ad azioni dannose.

Favorire una sola specie può infatti determinare seri squilibri nelle comunità, in questo caso quelle degli impollinatori, ponendo in una condizione subalterna le altre specie rispetto a quella favorita dall’intervento umano.

I rapporti numerici tra specie diverse vengono fortemente alterati e vengono a crearsi situazioni innaturali di competizione che vanno a discapito delle specie selvatiche, meno abbondanti, più specializzate; insomma quelle che in un contesto così artificialmente modificato risultano, per qualche ragione, meno competitive.

Da parte di alcuni l’ape vorrebbe forse rappresentare la specie bandiera, che fa leva sulle emozioni, quindi quella attorno alla quale formare un ampio favore, con il fine ultimo di proteggere anche le altre.

Ma, appunto, la specie bandiera va selezionata in modo accurato e l’informazione deve dar conto della complessità. Siamo sinceri, in fondo l’ape domestica ci è simpatica (anche) perché ci fornisce il miele.

Il servizio fornito da coleotteri, mosche, vespe e falene, pur essendo più rilevante finisce con il passare in secondo piano, se non addirittura scomparire del tutto agli occhi dell’opinione pubblica.

Cosa fare per salvare le farfalle

Per contenere questo – e altri – fenomeni di degrado della natura è senza dubbio necessario intervenire su larga scala.

Certo, cambiare i paradigmi che attualmente regolano l’agricoltura globale, per esempio, avrebbe tutt’altra efficacia rispetto a iniziative locali, di pochi attori e su porzioni di territorio limitate.

Ma siamo sicuri, come sostengono alcuni, che queste ultime siano così poco utili da non doverle neppure considerare? E se anche fosse, come ignorare gli effetti positivi che l’accogliere la natura vicino a noi genera in un’ottica di diffusione del consenso attorno agli insetti?

Prendiamo l’esempio dei giardini, pubblici e privati. La pratica convenzionale ha come scopo quello di mantenere ordine e pulizia. Le piante che vi si trovano devono essere assoggettate al controllo, addomesticate e contenute entro gli spazi e nella forma che il giardiniere di poco spirito decide di concedere loro.

Il prato all’inglese è nei fatti un prato morto, una forzatura artificiale che rende sterile un giardino, richiede consumo di benzina, acqua e tempo. Un prato da giardino convenzionale è un inno alla non-vita!

Non si tratta di discutere su bello o brutto, questi sono concetti mutevoli nel tempo e nello spazio. Si tratta di guardarsi allo specchio e chiedersi “voglio favorire la vita o la sua assenza?“.

La questione si risolve in questa semplice domanda. Nei giardini dei più sono d’obbligo le forme geometriche, le specie esotiche, tosaerba e prodotti chimici, povertà di specie e di spirito. Viene il sospetto – per così dire – che la povertà della vita coltivata nei giardini corrisponda a una povertà di pensiero.

La Sfinge del galio o Sfinge colibrì

La sfinge del galio Macroglossum stellatarum (Linnaeus, 1758) – è una falena attiva però durante il giorno – appartenente alla famiglia Sphingidae.

L’epiteto generico Macroglossum, dalle parole greche μάκρος (lungo, grande) e γλῶσσα (lingua), indica la caratteristica della specie di avere la lingua lunga.

Di certo non perché sia una chiacchierona, bensì per via della sua spirotromba (ovvero l’apparato boccale dei lepidotteri e quindi lingua è un termine improprio) di notevole lunghezza, che essa introduce nei fiori per suggerne il nettare.

La sfinge del galio si alimenta senza posarsi ma rimanendo in volo stazionario, un comportamento che – per convergenza evolutiva – è simile a quello adottato dai colibrì, con i quali viene spesso confusa; con una certa superficialità dato che i colibrì non sono in alcun modo presenti in Europa e Asia, dove vive la sfinge del galio.

Recenti studi dimostrano che la spirotromba della sfinge del galio può rimanere intrappolata nei tricomi del fiore di Oenothera speciosa (pianta nordamericana importata in Europa per scopi ornamentali) talvolta determinando la morte dell’animale, che non riesce più a liberarsi da questo macabro e insolito bacio della morte.

Un normale rifornimento di nettare può dunque rivelarsi fatale! È questo un caso paradigmatico di come importare specie esotiche (oltretutto per futili motivi) sia potenzialmente dannoso per le specie indigene e per gli interi ecosistemi.

Questo è soltanto una delle numerose ragioni per cui dovremmo abbandonare l’insostenibile e insensata pratica di importare fiori alloctoni, per cominciare invece a utilizzare le specie locali, disponibili nelle vicinanze, meglio adattate al clima del posto e perfettamente inserite nel determinato contesto ecologico.

Complessità, interazioni, interdipendenze, competizione: concetti che, ahinoi, sono pressoché sconosciuti dalla maggioranza della popolazione, italiana e non solo; una cecità che produce effetti tremendi non soltanto per quanto riguarda la biodiversità ma anche per il pensiero: uccidendo la capacità di contemplare, capire e apprezzare le differenze e la complessità della Vita.

La farfalla Cassandra

Cassandra - Zerynthia cassandra
Immagine di Sergio Mazzoleri

Cassandra – Zerynthia cassandra (Geyer, 1828) – è una specie endemica dell’Italia che compare nell’Allegato IV della Direttiva Habitat 92/43/Cee. Nonostante non sia formalmente considerata minacciata, si tratta di una specie che merita attenzione in quanto in alcune aree è sottoposta a diverse pressioni di origine antropica.

Nel settore settentrionale del suo areale, per esempio, non è affatto comune e negli ultimi anni si è assistito all’estinzione di alcune popolazioni (in provincia di Pavia).

L’eccessivo taglio della vegetazione erbacea o, al contrario, l’avanzata del bosco, così come l’utilizzo di pesticidi e l’isolamento delle popolazioni la pone in realtà in una condizione di rischio.

Oltre alla sua relativa rarità sconta la pena di essere assai bella, caratteristiche che la rendono molto ambiti e perciò oggetto di raccolta da parte di collezionisti e commercianti (leggi bracconieri) senza scrupoli.

Cassandra ci dice che andiamo verso la catastrofe, ma la sua voce e quella della natura in generale, non raggiunge (più) le nostre orecchie in quanto la sua lingua è diventata barbara, come ci ricorda Clitemnestra nell’Orestea di Eschilo.

Se le orecchie (e la mente, la razionalità) non sanno ascoltare il monito lanciato da Cassandra, così anche il cuore (lo slancio passionale, irrazionale) è sordo.

Conclusioni che ci riguardano da vicino

Cassandra la profetessa, cassandre gli scienziati, Cassandra la farfalla. Tre voci che dicono il vero, tre voci che restano inascoltate. Nella mitologia greca Cassandra, figlia del re di Troia Priamo, pur avendo il dono della preveggenza non veniva presa in considerazione a causa di una maledizione.

Gli scienziati si sforzano di capire e far capire quanto siano fondamentali gli insetti, per la nostra stessa sopravvivenza o quantomeno benessere; Cassandra è una farfalla endemica dell’Italia, che rischia l’estinzione in varie località, perché le sottraiamo spazio, l’avveleniamo e tutt’oggi la catturiamo in quanto colpevole d’essere bella e rara, quindi ambita preda per collezionisti e commercianti di figurine.

Fino a quando la maledizione di Cassandra ci renderà sordi? Nella nostra casa o giardino non c’è più posto per la varietà della vita, non ci piacciono gli estranei, per i diversi.

E chi è più diverso da noi degli insetti? La nostra casa è il pianeta Terra con tutti i suoi abitanti, continuare ad allontanarli da noi e allontanarci da loro contribuisce a quello sradicamento dell’uomo del quale ci mettono in guardia molti filosofi, dai Greci antichi fino a Heidegger. Cantavano i Consorzio Suonatori Indipendenti: “… insolente promessa sciocca vacua solenne di bastare a sé…“.

articolo redatto da Francesco Gatti che consiglia una lettura in più: Goulson D., Terra silenziosa, (Il Saggiatore, 2022, p. 377).

L'articolo Anche le farfalle stanno scomparendo: cosa possiamo fare per salvarle? è stato pubblicato su GreenPlanner Magazine.

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