Capire, credere o vivere, i dubbi di Giulia Mei | Indie Talks

Lug 30, 2025 - 12:30
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Capire, credere o vivere, i dubbi di Giulia Mei | Indie Talks

Io della musica non ci ho capito niente è il pretesto che utilizza Giulia Mei per creare un disco dove esplora le sue esperienza di cantautrice e di donna, in una realtà che spesso appare confusa dalle infinite possibilità che offre.

Le canzoni diventano una serie di domande, a volte senza un risposta definita, che danno sfogo a spunti di dialogo tra l’artista e se stessa o verso il pubblico, molte volte entità che deve essere stimolata per renderlo parte attivo della musica, suscitando idee e pensieri che vanno al di la del brano stesso, diventando però spunto per paragonare la vita all’arte.

C’è molta libertà in questo progetto e anzi Giulia Mei lo racconta proprio così:«Volevo solo fare un disco pieno di vita ordinaria, il diario di una
bambina che parla di tutto senza preoccuparsi della forma, senza sovrastrutture, volevo colorare fuori dai bordi, giocare. Questo disco per me è una dichiarazione d’amore al disordine che non mi sono mai concessa per paura, a quella curiosità infantile che non mi ha mai abbandonata, a quel divergere che mi ha fatto sbagliare strada tutte le volte che ho avuto bisogno di liberarmi dalle pressioni esterne della “musica che funziona”.

Ma questo disco è dedicato a chi non sa funzionare, se non coi propri unici ingranaggi, e a chi ascolta tutto come se non avesse mai ascoltato niente.»

L’ascolto di “Io della musica non ci ho capito niente diventa esperienza” è un esperienza che crea racconti, interroga l’essere umano ripensando a domande ancestrali, arrivando ad emozionare per la sincerità e la passione nascosta al suo interno. Ogni tanto anche la confusione può essere un modo per ragionare.

GIULIA MEI X INDIE TALKS

Cosa non hai ancora capito della musica da quando è uscito il disco ad adesso che sei in tour?

Non ho capito come fa la musica a essere sempre così imprevedibile e spiazzarmi ogni volta, da quando è uscito questo disco succede spezzo, ed è bellissimo.
La scrittura di questo disco ha dissipato molti dubbi, ma ne ha posti altri, mi ha dato molte consapevolezze. Proprio da quelle consapevolezze sono nate altre domanda, ed è per questo che sono già a lavoro per un nuovo disco.
Anche per quanto riguarda il tour, ho capito che ogni palco mi chiede qualcosa di nuovo e mi insegna qualcosa di necessario, quello che non ho capito è come faccio a non avere nostalgia ogni volta che finisce un concerto.

Il non sapere è una strada verso la paura?

A volte sì, ma anche verso la libertà. Il non sapere mi spaventa solo quando sento il bisogno di controllare tutto (spoiler: capita spesso!).
Ma poi mi ricordo che non sapere è la casa dell’intuizione, del gioco, del cambiamento, è stato accettare il non sapere e metterlo al centro di tutto che mi ha permesso di cominciare questo viaggio incredibile. E allora paura sì… ma con la valigia pronta.

Quanto è difficile spiegare il femminismo a certi uomini?

Ah, qui potrei scriverci un concept album. Diciamo che se spieghi il femminismo e la risposta è “eh ma allora è una guerra contro di noi?” capisci che è molto più difficile del previsto. Diciamo che anche lasciare passare il messaggio che le donne hanno il dovere di spiegare e istruire gli uomini, può essere pericoloso, perché alimenta il circolo vizioso dell’immaginario che vuole la donna super responsabilizzata l’uomo derensponsabilizzato.
Invece penso che la chiave sia proprio far comprendere agli uomini che nella lotta al maschilismo tossico il ruolo della loro responsabilità è cruciale, come lo sono la capacità di immedesimarsi e di empatizzare con i mali di un problema che è anche un loro problema. La chiave di tutto sarebbe comprendere che il femminismo fa bene anche a loro, ma tanto.
PH: Ufficio Stampa

Sei più fan della teoria o della pratica?

Dipende in cosa. Nella vita di ogni giorno a volte è tutta teoria, altre volte tutta pratica praticata male. Se parliamo di musica… eh, lì la teoria mi affascina perché ho un animo un po’ bacchettone (colpa di Bach) ma la pratica mi salva e mi permette di fare della musica il mezzo di espressione più autentico che conosco. Ultimamente propendo più verso la pratica, perché la pratica mi permette di affondare le mani nel caos, di sporcarmi. Poi, dopo, arriva la teoria, l’ordine.

I desideri sono una via di fuga dalla realtà, da seguire senza farsi troppe domande?

I desideri sono come quelle uscite di sicurezza che trovi nei sogni: ti portano altrove, ma non è detto che scappi davvero, a volte finisci in trappola.
Io i miei li ho sempre seguiti, con un occhio felice e l’altro che piange, perché a volte i desideri sono un’accozzaglia di aspettative e delusioni, che ci fanno dimenticare che siamo umani, che siamo imperfetti e che la vita non è una gara.
Quindi sì desiderare, e seguire i desideri pure in capo al mondo, ma accogliendo ogni possibilità e amando sempre l’errore.
PH: Ufficio Stampa

I perché però stanno diventando più importanti dei come?

Forse si. Viviamo nell’epoca del fine che giustifica i mezzi, dell’obbiettivo da raggiungere a tutti i costi a dispetto del come e al prezzo di cosa lo si raggiunge.
Io i miei come me li tengo stretti, perché sono quelli che mi fanno costruire qualcosa di vero che aderisce veramente a ciò che sono e voglio essere in questo mondo.

Gli sbagli insegnano davvero?

Certo, se li ascolti e li usi come materiale da costruzione, sono come i lego: presi uno per uno ti sembrano inutili, poi li metti insieme e viene fuori l’inaspettato.

Lasciando spazio alla fantasia, magari un giorno?

Magari un giorno riuscirò e vincere la mia ansia del futuro, magari un giorno non dovremo scegliere tra la libertà e la vita, magari un giorno i bambini di Gaza torneranno a mangiare un gelato in riva al mare.

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